Un pistolero. Ecco cosa sembra Ray Pérez. Alto, magro e meticcio (trigueño*), con una vita sottile, tutto il meglio per portare una sei colpi. Occhi strabici e il sorriso obliquo del fiducioso tiratore scelto – uno che può vedere-leggere musica. In qualcuna delle sue 35 grossolane copertine d’album addirittura porta un cappello da cowboy tipico dei venezuelani delle pianure(llaneros). Poi senti che il suo soprannome è “Il Pazzo Ray”.
Le sue band – che ha concepito, per cui ha composto, arrangiato, suonato il piano e cantato per i Los Dementes, Los Calvos e Los Kenya tra gli altri – sono stati la voce dei giovani di Caracas nel 1967, Caracas nella “Cuarentona”, l’anno del Quattrocentennale (400 anni) dalla sua fondazione. La stessa gioventù che Richie Ray “Las Caraqueñas”, Ray Barretto “A Maracaibo” e “No Olvida a Caracas” e Pete Rodriguez “Arranca en Fa” hanno celebrato in brani dello stesso periodo.
I Los Dementes erano la voce della gente dell’est, la gente della classe lavorativa dei quartieri di San Agustin, La Pastora e il rivoluzionario e pazzo-per-la-salsa 23 de Enero. I brani del loro LP di debutto, che si traduce come “Attenzione Mondo! Gli Uomini Pazzi Sono Arrivati” spesso cominciavano con fischi, suoni di clacson, e i rumori di una classe di bambini impazziti, esplodendo velocemente verso descargas grezze ed eccitanti. Timbales alla velocità della luce si sentono non appena entrano i tromboni come i clacson di un diciotto ruote. I montuno di Ray, insistenti e pieni di sentimento, trasformano un dime (decimo di dollaro)in stacchi di Boogaloo pieni di Swing, dando notizia ai gruppi “country-club” come i forti Billo’s Caracas Boys: i reclusi si sono impadroniti del “manicomio”.
Ray ha appassionati fan in Europa, specialmente in Italia, Germania, Francia e Spagna.
Luis Silva, meglio conosciuto come “Melon” di Lobo e Melon, ha detto al giornalista Alfredo Churion che Ray è un idolo salsero in Messico, dove lui ancora suona dal vivo. La Colombia ha apprezzato a lungo il guaguanco di Ray e io ho sentito che la sua versione di “Tanti auguri” è la canzone scelta per le feste a Cali e Barranquilla. Ma Ray è stato poco apprezzato negli Stati Uniti, che forse per via delle tendenze musicali del gruppo di Niche e Oscar D’ Leon tendono ad ignorare i contributi fondamentali di paesi come Panama, Colombia e Venezuela nella storia e corpus della musica Afrocaraibica.
Il disco “La Salsa Llego con Los Dementes” (1967) è uscito molto prima che si usasse “salsa” come termine commerciale a New York. E se puoi trovare l’LP originale in vendita su Ebay, aspettati di pagarlo oltre 200usd, o per uno qualsiasi di quel periodo. Per quanto riguarda gli originali di Los Calvos – come mi ha detto un venditore di dischi di Cartagena – sono “MI”. Missione Impossibile.
I salsomani sono fortunati perché Ray ha fatto uso di una brillante schiera di grandi musicisti e cantanti, incluso il carismatico Perucho Torcat, suo compagno di pazzia, che è deceduto tragicamente a Boston all’età di trentadue anni, l’ugola d’oro Carlin Rodriguez, e il brillante “scatman” Calaven (Carlos Yanez), un cantante paragonabile nell’innovazione a Francisco Fellove o Amado Borcela “Guapacha”. Lo stesso Ray canta con un feeling speciale in alcune delle sue tante hit, quali “Asi Mueren Los Valientes”, “Rio Manzanares”, “Emae Emae” e “Adios Madeira”.
Le sue sezioni di percussioni hanno visto il leggendario batterista e timbalero “El Pavo” Frank Hernandez, Alberto Naranjo, maestro nei ritmi folclorici venezuelani, Alfredo Padilla, dopo di La Salsa Mayor, e il grande conguero Nene Quintero. Se soffri di overdose da salsa “matancerizada”, metti su uno solo degli LP di Ray. Ma sei avvisato, come Perucho (QEPD) canta ne “El Trigueño Cintura”:
“Destrozando el piano viene / Facendo a pezzi il piano arriva
aqui El Trigueño Cintura / qui il Meticcio Cintura
es mas salsa que el pescao / è più salsa che pesce
tiene mucha sabrosura. / ha molto sapore
La agilidad de una avispa / L’agilità di una vespa
tiene el trigueño en sus manos / ha il meticcio nelle sue mani
trae un coco que arrebata / prende un cocco che strappa via
que lo goza hasta el gusano.” / che gusta fino al verme
*trigueno: di pelle color grano, meticcio.
Inizia l’intervista a Ray Perez
Grazie per ospitarmi nella sua casa, maestro. È un grande onore incontrarla. Qual è il suo nome completo?
Il mio nome di battesimo è Ramon Epifanio Pérez Rivas. Sono nato a Barcelona, stato Anzoategui, Venezuela, il 25 dicembre del 1938. Questa è la data che mi hanno dato le autorità perché i fogli di nascita sono rimasti bruciati in un incendio. Mia madre mi ha detto che sono nato il 7 aprile del 1937. Così ho due compleanni.
E i suoi genitori?
Il nome di mio padre è Ramon Ernesto e quello di mia madre è Asuncion.
Il mio nome è Roberto Ernesto.
Io sono Epiphanio.
E chi le ha dato il soprannome Ray?
Beh questo è stato negli Stati Uniti, diminutivo di Ramon. Ricordo l’alternarmi con Ray Barretto a Maracaibo nel 1965, lui disse che il tempo dei re era terminato, ma io gli dissi che stava appena iniziando.
E quali sono stati i suoi inizi con la musica?
Bene, è cominciato nella scuola media, c’è una foto là, a dodici anni, con la tuba, perché mio padre era professore di musica nella scuola di San Juan Bosco. Così lui ha creato una band e a me piaceva la tromba, ma, visto che nessuno avrebbe suonato la tuba perché era troppo pesante, l’ha fatta suonare a me. Ho suonato la tastiera del piano ogni tanto ma… io ero alla tuba.
Cosa suonava suo padre?
Tromba, piano, era anche insegnante di musica della domenica a scuola.
Anche sua madre era musicista?
Lei cantava. E cucinava davvero bene.
Qual è stato il primo gruppo in cui sei stato coinvolto?
È un gruppo che abbiamo composto con un cuatro, uno strumento tipico venezuelano, una batteria e maracas. Questo è stato nel ’51 e ’52.
Già conosceva la musica folklorica venezuelana.
Certo, cantavamo “aguinaldos”, nei carnevali facevamo comparse in cui suonavamo musica folklorica: el Carrite, Lancha de Nueva Esparta…
Gliel’aveva insegnato suo padre?
Quelle cose si imparavano a scuola e a casa, ma, sì, io le ho imparate con lui.
Nel 1952 c’erano a Barcelona stazioni radio che passassero musica popolare?
Si, c’erano Radio Emisora Unida e Radio Vargas, e passavano musica venezuelana, ma io avevo una radio ad onde corte in casa e ascoltavo Radio Mayague dall’Habana, Cuba. Ascoltavo tutte quelle stazioni, da Puerto Rico, persino la BBC da Londra. Ascoltavo musica classica…
(Ride) No, qualunque cosa fosse, mettevo le calcolatrici su diverse operazioni, 99, 01, in questo modo e ognuna aveva un ritmo… le sincronizzavo per fare musica e loro partivano “takata takata tit tit tit” … questo era negli anni ’50, ’55, ’56.
Quindi aveva quasi vent’anni. Com’era Caracas allora?
Ah bene, era diversa. Non potevi camminare per Piazza Bolivar con una t-shirt, gli unici che potevano erano i turisti ed essi accompagnati dalla polizia, perché non era rispettoso verso il Liberatore, dovevi indossare un abito… anche il clima era diverso, era freddo, Caracas era fredda… per un qualche affare del governo, per andare alla corte, dovevi andare in abito e cravatta.
E per quanto riguarda il razzismo?
Tra le persone non c’era mai razzismo. Qui neri, bianchi, indiani, meticci sono tutti uguali. È qualcosa di cui senti parlare oggi, il razzismo. Non c’era mai discriminazione. Gli unici che erano diversi erano i neri di Higuerote (Barlovento), ma loro vengono dall’Africa. Povera gente, andavamo tutti a scuola assieme, nella stessa classe, di ogni colore, anche cinesi, c’erano italiani, arabi, russi, catalani… andavamo tutti nella stessa scuola.
Erano misti i tuoi gruppi musicali?
Si ma soprattutto neri, perché i neri qui sono forti alle percussioni. Ci sono alcuni bianchi come “El Pavo” Frank Hernandez, con il quale ho suonato, e anche Alfredo Padilla.
Domani vado ad un concerto in onore di “El Pavo” Frank a San Agustin.
Si, lo so, ho suonato là, ma le volte che ci sono stato mi hanno fatto non voler andarci più perché là non c’è rispetto.. una volta mentre avevamo i musicisti in descarga sul palco, c’è stata una sparatoria, hanno ucciso qualcuno… questo è stato anni fa.
(Ray suona la canzone “Uvas Verdes”, un numero sempreverde con una breve descarga jazz di trombe e piano. Le voci serpeggiano attorno al ritmo “los pollitos dicen, pio pio pio…”).
Questa è una rima per bambini in ritmo calypso, il calypso ha una forte presenza nella provincia di Oriente. (Le isole di Trinidad e Tobago si trovano a 10 km dalla costa del Venezuela).
Ho sentito alcuni Afro-Venezuelani parlare un tipo di inglese qui, come un patois, ma non come quello di Panama e Costa Rica.
Esatto, patois. Viene dai neri di Guyana.
Così, io sono andato a studiare al conservatorio di Maracaibo. La gente pensa che sia un Maracucho ma sono vissuto lì solo per tre anni. Sono dell’Oriente.
In che anno si è trasferito a Maracaibo?
1962. Era il periodo di Chubby Checker, Ray Charles. Avevo un gruppo chiamato i Bobos del Twist. Ma allora, dopo ciò, sono arrivato alla mia salsa. A Maracaibo ho creato il gruppo “Ray Pérez y Su Charanga”, i Dementes in realtà, ma inizialmente li avevo chiamati Ray Pérez y Su Charanga. Questo nel 1965.
Bene, perché la gente di classe alta, quello che oggi chiamano oligarchici, quelli che avevano soldi, ballavano sui Billos, che noi chiamavamo musica Gallega. La nuova musica era della nostra generazione, abbiamo dato alla guaracha un feeling differente.
E anche lei viveva in quei quartieri.
Certo. Io vivevo nel 23. Dovunque non viva la gente “alta”, il resto del Venezuela è un quartiere, un grande quartiere.
E in quanto alla sua canzone No Salgas de tu Barrio (non lasciare il tuo quartiere), che dice “si eres de la pastora, no te metes en el calvario” (se sei della pastora, non metterti nel calvario).
Perché fanno scompiglio con te, la polizia, la gente del quartiere. Era così allora, ed è lo stesso ora. Quelli sono tutti quartieri di Caracas, come Brooklyn o il Bronx.
Osservando lei, sembra un ragazzo italiano del Bronx.
(Ride) Mi hanno giusto chiamato per andare a suonare là, e per andare in Italia e Francia.
Wow, quindi sta continuando a suonare?
Certo, suono molto in Messico, dove ho un po’ di popolarità.
(La moglie di Ray è scesa dal suo ufficio del piano superiore. “La sua musica è suonata dappertutto in Messico” dice.)
C’erano altri gruppi a suonare salsa in Venezuela, Nelson y Sus Estrellas hanno avuto molto successo in Colombia, anche Principe y Su Bonche, ho un bel disco di un gruppo chiamato Peter y Sus Brothers Sexteto…
Erano alcuni ragazzi del 23. Vivono ancora là.
Davvero? Può darmi le date per questa discografia dei Los Dementes?
Alerta Mundo: Llegaron Los Dementes
e La Salsa Llego sono del 1966, Manifestacion en Salsa e Manicomio a la Locha! sono del 1967, nel 1968 c’è stato Primer Aniversario, Soneros Somos e Los Dementes nel 1968.
Ha registrato molto in pochi anni!
Certo. Nel 1967 ho registrato due produzioni dei Los Dementes e due dei Los Calvos.
Piper l’ha sentito dai dischi dei Los Dementes, hanno venduto molto in Colombia.
Conosce anche Fruko? Come lo vede come musicista?
Fruko è un mio amico. È uno che vale.
Richie Ray e Bobby Cruz sono stati presenti al festival di Cali nel 1968. Sono venuti anche a Caracas?
Sì, ci siamo alternati a loro. Questo nel Canale 8. Vennero anche Palmieri, Ray Barretto, la Brodway, Pete Rodriguez, Joe Cuba. I Corraleros de Majagual, Orlando y Su Combo dalla Colombia… era un periodo, c’era lavoro, c’era denaro a Caracas. Suonavamo nelle piazze dei quartieri di tutta Caracas, abbiamo registrato dal vivo per la televisione…
Un’altra canzone del periodo dice “que vengan los hippies…”
Gli hippy amavano la nostra musica.
Caracas in “la cuarentona” (il quatricentennale, 1967)
Eccoci. Quello è in La Salsa Llego. Ho fatto un’altra versione di quella canzone con il Negrito Calaven. Lo conosce?
Era un Cubano, è deceduto. Miguel Silva al basso, Araujo e Lewis a trombone e tromba. (Ray Pérez compositore/arrangiatore al piano)Il giornalista Alfredo Churion diceva dei Los Calvos “una delle esperienze più innovative nella musica popolare venezuelana”. Cita “El Pavo” Frank nel dire che la combinazione di calypso e ritmi di salsa con jazz con i Los Calvos era “come indossare uno smoking con sandali di corda”. Come è stato registrare quei due LP? Bene. Era avanti per il tempo. Ci siamo divertiti nello studio con Los Calvos, anche con Los Dementes. Anche se Calaven è stato il cantante dell’orchestra Pedroza, non era mai stato registrato. Entrambi gli LP dei Los Calvos li ho fatti per RCA Victor. (Questi sono Son los Calvos e … Y Que Calvos! 1967).Ha mai suonato dal vivo? No. Con i Los Kenya abbiamo suonato dal vivo nello spettacolo di mezzanotte, Canale 8.Mi dica qualcosa sui Los Kenya.
Quell’LP Siempre Afro Latino è fortissimo. Bene, quello è il primo, l’abbiamo chiamato El Kenya. L’abbiamo chiamato così per tutti i bambini che muoiono di fame in Kenya. Contiene le canzoni Te Pongo a Valer, Hoculele…Te Pongo a Valer, con Carlin Rodriguez e Calaven – che combinazione!
Sì, le è piaciuta?
È incredibile. Non posso categorizzarla. Contiene rock, salsa, funk, afro…
Quella canzone contiene tutto. È stata un successo in Venezuela ma in generale quella musica era davvero avanti per quel tempo, la gente era abituata ai Los Dementes, al duro beat latino.
Di nuovo, lei sembra avere una totale libertà artistica.
Tutti i gruppi furono mie produzioni. Così dovetti trovare un sound, uno stile per ogni gruppo.
Lo fa sembrare facile. Cosa significa la canzone Te Pongo a Valer?
È su un ragazzo che mette la sua fidanzata a lavorare così che possa metter su un po’ di autostima, e lei non riconosce cosa ha fatto lui per lei… era il mio messaggio ai musicisti che dicevano che li avevo trattati ingiustamente, alcuni dei musicisti dei Los Dementes. Così gliel’ho rimandata indietro, come il proverbio ebreo che dice “chi di spada ferisce…”
Tutte le canzoni hanno messaggi. C’è un’altra canzone che abbiamo chiamato Pa’ la Cola (mettiti in fila), l’abbiamo fatta per Federico, per Sexteto Juventud. Dimas canta e dice “hay que estudiar, hay que tocar y leer” (bisogna studiare, bisogna suonare e leggere). Siccome Federico suonava il guiro, non leggeva la musica. Olinto di Sexteto Juventud neppure. Glielo dicevo, ma loro non volevano studiare.
Chi erano i musicisti dei Kenia e quanti LP avete registrato?
Alberto Naranjo alla batteria, Luis Arias e Luis Lewis alle trombe, Miguel Silva al basso, Pedro Garcia “Guapacha” alle congas, Cosa Buena ai bongo. Con i Kenya abbiamo registrato quattro album, due per la Velvet e due per la Discomoda.
Chi era Larry Francia, il cantante di “Ra! Rai!” con “Ray Pérez y Sus Kenya”?
Era un meccanico, si chiamava Edmundo, ma noi lo chiamavamo Larry. Cantava e io lo registrai su quel disco. Ho registrato altre canzoni da quel disco più tardi, come Muchacho Barrigon
E chi canta in Asi Mueren los Valientes, El Alacran, Emae Emae…
Io.
Wow. Suonando il piano e cantando? Può farlo dal vivo?
Certo. La Palma, il merengue, ho cantato anche quello. Adios Madeira
Una bella canzone. Con la tromba.
E trombone.
Ha registrato a New York?
Si, ho registrato per Musicor. Al Santiago mi ha chiamato, mi sono alzato e ho registrato.
Le sue canzoni?
No per altra gente. Ho fatto alcuni arrangiamenti per altri. Alcune canzoni per Orlando Contreras… ho fatto alcuni arrangiamenti per Pete Rodriguez, e gli ho dato alcune delle mie canzoni che poi più tardi ha inciso. Dame Felicidad e Bossa Triste (dal disco Pete Rodriguez Now!, Tico, 1970).
Vincentico Valdes ha registrato la mia canzone Donde la Tarde Muere, e Lola Flores ha registrato la mia canzone Muchacho Barrigon per cui ancora mi paga i diritti dalla Spagna.
Lei è ritornato a Caracas nel 1971. Il giornalista Lil Rodriguez, autore di Bailando en la Casa del Trompo dice che i musicisti venezuelani in generale non hanno lasciato per trasferirsi a New York come molti altri che sono diventati stelle nell’America Latina, perché la ricezione locale era così calda verso la cultura della salsa, l’ambiente era così piacevole. Il fatto che la sua permanenza negli Stati Uniti fu così breve sottolinea la teoria. Perché ci tornò?
Ci sono andato e sono tornato nel 1969, poi sono andato di nuovo a New York e rientrato nel 1971… perché, con le donne là, non potevo reggere più. Le donne là vanno bene, ma le donne di qui…
E il freddo non la infastidiva?
No, mi piace il freddo. Il freddo sveglia l’appetito, e devi arrivare infagottato, ben vestito.
Perucho venne con lei entrambe le volte?
Perucho era con me, lavorava con Ray Barretto.
Tratto da Lasalsavive.org
Entrevista a Ray Pérez
Texto y Fotografías de ©Roberto Ernesto Gyemant
La entrevista se realizó en el mes de mayo de 2005, en Caracas – Venezuela.
Lo llamaban El Loco Ray. Ray Pérez concibió, fue miembro, arregló, tocó piano y/o cantó para Los Dementes, Los Calvos, Los Kenya, entre otros, representando a la juventud de Caracas en 1967 – Caracas, en la Cuarentona.
Los Dementes eran la voz de la gente del Este, la gente de la clase trabajadora de los barrios de San Agustín, La Pastora, y el famosamente revolucionario, combativo y salsero 23 de Enero. Los montunos insistentes y llenos de sentimiento de Ray, sirvieron para llamar la atención a grupos de la sociedad, como los prestigiosos Billo’s Caracas Boys y los Melodicos. En otras palabras, los locos se adueñaron del manicomio.
Los salsómanos nos beneficiamos con el uso, de parte Ray, de un grupo de brillantes y talentosos soneros y cantantes, incluyendo al carismático Perucho Torcat —su cómplice—, la garganta dorada de Carlín Rodríguez, y el fascinante Calaven (Carlos Yánez), un cantante que es comparable en innovación con Francisco Fellové o Amado “Guapachá” Borcela.
El propio Ray canta en algunos de sus más poderosos temas, como “Así mueren los valientes”, “Río Manzanares”, “Emae Emae” y “Adiós, Madeira”. Sus secciones de percusión presentaron a la leyenda del timbal, Frank “El Pavo” Hernández; el maestro en ritmos folklóricos venezolanos, Alberto Naranjo; Alfredo Padilla, quien más tarde perteneciera a la Salsa Mayor; y al gran conguero Nene Quintero.
Ray tiene muchos seguidores apasionados en Europa, particularmente en Italia, Alemania, Francia y España. Luis Silva, mejor conocido como “Melón”, cantante del famoso grupo mexicano Lobo y Melón, le expresó al periodista Alfredo Churion que “Ray es un ídolo de la salsa en México” —en algunas ocasiones Melón aún canta en vivo. En Colombia —país el cual, ha apreciado durante muchos años el guaguanco de Ray Pérez—, yo he escuchado que su versión “Feliz Cumpleaños”, es la canción predilecta en las fiestas de cumpleaños en las ciudades de Cali y Barranquilla. Pero la propuesta músical de Ray se ha apreciado muy poco en los E.E.U.U., excepto y salvándose quizás, el Conjunto Niche y Oscar de León. La tendencia ha sido a ignorar las contribuciones que han hecho países como Panamá, Colombia y Venezuela —sin siquiera con una visión crítica—, el significado para la historia de la música Afro-Antillana, los aportes de estos países.
En la grabación: “La Salsa llegó con los Dementes” (1967), Los Dementes se adelantaron con el uso del termino “salsa” como ritmo musical [y no como “sofrito”], mucho antes que la utilizaran como etiqueta comercial los conjuntos y orquestas en la ciudad de Nueva York. Y si usted puede encontrar un LP original a la venta en el sitio Ebay [en la red de Internet], espere pagar un precio mayor a los $200 dólares —o por cualquiera de ese período. Como el caso apremiante de las grabaciones originales de Los Calvos, al requerírselas al vendedor Cartagena, éste me dijo: “Esas son “MI” (Misión Imposible)”.
En está entrevista, presentamos al Trigueño Cintura, al brillante Ray Pérez, opinando de su trayectoria artística en sus propias palabras.
Entrevista
Roberto Ernesto Gyemant (REG): Gracias por tenerme en su casa, es un gran honor conocerle. ¿Cuál es su nombre completo?
Ray Pérez (RP): Mi nombre de pila (bautizo) es Ramón Epifanio Pérez Rivas. Nací en Barcelona, Estado de Anzoategui, Venezuela, el 25 de diciembre de 1938. Ese es el día que me dieron las autoridades, porque las actas de nacimiento se destruyeron a causa de un fuego. Pero mi madre me dijo que nací el 7 de abril de 1937. Así que tengo dos cumpleaños.
REG: ¿Cómo se llaman sus padres?
RP: Mi papá se llamaba Ramón Ernesto y mi mamá Asunción.
REG: Yo me llamo Roberto Ernesto
RP: Yo soy Epifanio.
REG: ¿Y quién le dio el apodo de Ray?
RP: Bueno, eso fue en los Estados Unidos, el diminutivo de Ramón. Por cierto, alternando con Ray Barretto en Maracaibo en 1965, él me dijo que los Reyes (Kings) se estaban acabando, y yo le dije que ahora es que habían reyes en el mundo.
REG: ¿Cuándo comienza con la música?
RP: Bueno, comencé en el colegio, hay una foto allá, a los doce años, con la tuba, porque mi papá era profesor de música en el colegio de San Juan Bosco. Entonces hizo una banda, y a mí me gustaba la trompeta. Pero como no había quien tocara la trompeta, porque era muy pesada, él me la designo. A veces tocaba el piano pero… era con la tuba.
REG: Y su papá, ¿qué tocaba?
RP: Trompeta, piano, y era maestro de capilla de iglesia.
REG: ¿Y su mamá estaba involucrada en la música?
RP: Ella cantaba. Y cocinaba muy bien
REG: ¿Cuál fue el primer grupito que usted integró?
RP: Fue un grupo que hicimos, con un cuatro, que es un instrumento típico venezolano, un tambor y las maracas. Y fue en 1951 y 1952.
REG: Ya conocían la música folklórica venezolana.
RP: Claro, hacíamos aguinaldos. En los carnavales hacíamos comparsas donde tocábamos temas de folclor, como el “Carrite”, “La Lancha de Nueva Esparta”…
REG: ¿Su papá le enseñó eso?
RP: Es que esas cosas se aprenden en el colegio y en la casa, pero yo sí los aprendí con él.
REG: En el 1952, ¿había emisoras de radio tocando música popular en Barcelona?
RP: Sí, eran la Radio Emisora Unida y Radio Vargas, y tocaban la música de aquí, pero yo tenía un radio “shortwave” (onda corta) en la casa, donde escuchaba la Radio Mayague, de La Habana, Cuba. Oía todas esas estaciones de Puerto Rico, hasta la BBC de Londres, y oía música clásica.
REG: ¿Cómo cuáles? ¿La Aragón, Benny Moré…?
RP: No, ni me acuerdo de los nombres. Había un septeto o quinteto, que no me acuerdo el nombre, después yo conseguí un disco de ellos. Habían pegado en esa época con ‘La campana” —“tócame la campana, campanero”. Luego lo grabó José Mangual Jr. Yo tenía ese disco.
Y la primera charanga que vi, la vi en Barcelona durante la Segunda Guerra mundial. Llegaron de los barcos, y como mi papá era músico, fueron allá a mi casa y tocaron… flauta, violín, marímbula, bajo… no tenían piano. Guitarra, tres. Tres y guitarra. Estaba muchachito.
REG: ¿Cómo fue su juventud?
RP: Yo iba al colegio, mañana y tarde. Al llegar al mediodía a la casa, tenía que salir a vender tabaco, porque mi papá tenía una tabaquería. Vendía el tabaco, regresaba a la casa, y me iba al colegio otra vez. Otras noches jugábamos los muchachos en la esquina. O nos poníamos a hacer música; yo cogía un cuatro, ellos cogían una perolita (instrumento venezolano), y hacíamos música.
REG: ¿Cuándo se gradúa del colegio?
RP: Salí del colegio a los doce años. Salí a trabajar. Seguí estudiando. Trabajaba para ayudar, porque éramos dieciocho hermanos.
REG: ¡Whoa!
RP: Mi papá ganaba, en esa época, 150 bolívares mensuales, que no era nada. Entonces yo salí a trabajar, a coger café.
REG: Ayer compré un chicle bubaloo que costaba 150 bolívares.
RP: Eso era lo que ganaba mi papá.
Bueno, cuando yo cumplo los diecisiete años, él muere, y entonces migramos a Caracas. Entonces tuve que seguir trabajando. Me puse a trabajar en la Remington brand —máquinas sumadoras, calculadoras—, e hice cursos en la jornada nocturna de la escuela. En el año 1958, hubo el problema aquí, del ditador: Marco Pérez Jiménez. Cae Pérez Jiménez y yo me compro una guitarra, y empiezo a tocar guitarra. Entonces empezó mi vida de bohemio; yo tocaba guitarra…
REG: Alguien me dijo: “¿Sabes que Ray Pérez aprendió a tocar el piano con las calculadoras en la Remington?”
RP: (Risas) No, lo que sucedió es que yo ponía las calculadoras en diferentes operaciones, como 99, 01 —de esa manera—, y cada una tenía un ritmo. Yo las sincronizaba para hacer música, y ellas hacían “takata takata tit tit tit”… Eso fue a finales de los cincuenta, para 1955 o 1956.
REG: Tenía veinte años. ¿Cómo era Caracas en este entonces?
RP: Ah, bueno, era diferente. En la Plaza Bolívar uno no podía pasar con camisa; los únicos que podían pasar en camisa eran los turistas y los acompañados por la policía, porque era por respeto al libertador. Tenía que andar en traje. También el clima era otro; era frío. Caracas era frío. Para cualquier cosa del gobierno, como los tribunales, tenía que ir con traje y corbata.
REG: ¿Y cómo era el racismo en este entonces?
RP: Entre la gente nunca hubo racismo. Aquí, negro, blanco, indio, o trigueño, todo era lo mismo.
El racismo es algo de lo que tú escuchas en estos tiempos. Nunca había discriminación. Los únicos negros diferentes eran los de Higuerote (Barlovento), pero ellos eran de Africa. Eran gente pobre. Todos íbamos juntos a la misma escuela, estábamos en el mismo salón, gente de todos los colores, incluyendo los chinos. Había italianos, árabes, rusos, catalanes… Todos fuimos a la misma escuela.
REG: ¿Y sus grupos musicales eran mezclados?
RP: Sí, negros más que todos, porque los negros aquí son los que dominan la percusión. Hay ciertos blancos como Frank “El Pavo” Hernández, que tocaba con nosotros. También Alfredo Padilla.
REG: Mañana van a hacer un concierto en honor del “Pavo” Frank en San Agustín.
RP: Si, yo sé. Yo hice un espectáculo allá, pero las veces que he ido no me han dado ganas de ir otra vez, porque no hay respeto. Una vez, cuando montamos los músicos a descargar, había un tiroteo allí, mataron a alguien. Eso fue hace años.
(Ray toca el tema “Uvas Verdes”, un número de vanguardia que incluye una pequeña descarga de jazz con las trompetas y el piano. Las letras marcan un ritmo que va “los pollitos dicen ‘pío pío pío’…”)
Esta es una rima de niños, con ritmo de calipso. El calipso mantiene una fuerte presencia en la provincia de Oriente.
(Las islas de Trinidad y Tobago están a 10 Km. de la costa de Venezuela)
REG: Escuché gente afro-venezolana aquí, hablando inglés, como un patois, pero no como el del caribe, como Panamá y Costa Rica.
RP: Sí, exacto, es patois. Eso viene de los coolies, de allá, de Guayana.
Con Los Singers grabamos una canción de los Estados Unidos, “Raindrops”. Hice una versión en español y fue un éxito aquí. Estaba en un 45 r.p.m, con cuatro temas. Otra pieza era “Pissi Pissi Bao Bao”. Desde pequeño, escuchaba mucha música norteamericana, gracias a mi hermano Luis Pérez, quien tocaba la trompeta en el Club Sans Souci, en Maracaibo.
REG: ¿Qué tipo de música tocaban Los Singers?
RP: Era rock. Pero no duro, no. Era lo de la época.
REG: Y lo que grabó con Los Singers, ¿eran sus composiciones, sus líricas?
RP: Sí. Luego hice un quinteto llamado Los Mikers.
REG: ¿Y le pagaron para grabar con Los Singers?
RP: Claro.
REG: Entonces su mamá estaba feliz. ¿Llegó con el cheque?
RP: Claro, todo el mundo estaba feliz. Estaba metido en la música, hice giras, para la interior, para Colombia.
REG: Cantando rock, rock en español. Podemos decir el primer rock en español. Mucho antes de Juanes y Shakira
RP: Exacto. (risas)
REG: ¿Ha escuchado a los Amigos invisibles? ¿Qué le parecen?
RP: Son buenos. Son venezolanos.
REG: ¿En qué año se mudó para Maracaibo?
RP: 1962. Fui a estudiar al Conservatorio de Maracaibo. La gente piensa que soy maracucho, pero solo viví allí tres años. Soy de Oriente.
Era la época de Chubby Checker, Ray Charles, y yo tenía un grupo que se llamaba Los Bobos del Twist. Pero ya después, yo me metí en mi salsa. En Maracaibo hice el grupo Ray Pérez y su charanga – Los Dementes, después—, pero primero le puse Ray Pérez y su Charanga. Estamos en 1965.
Entonces yo hice mi grupo, y llegué a tener un programa en la televisión, “Fiesta con Ray Pérez y su Charanga”, con Raúl Bales Quintero, en el canal 13
REG: Wow, ¿de pronto así?
RP: Me puse a estudiar; trabajaba de noche, estudiaba en la mañana. A veces salía a las cinco de la mañana, para ir a estudiar a la academia a las siete, como oyente, allá con niños de cinco, seis años, porque tenía que comenzar… Bueno, a los seis meses ya estaba haciendo arreglos, porque después de esa clase me iba a las clases de armonía y dictado musical.
REG: ¿Cuáles canciones tocaban? ¿Covers u originales?
RP: Eran la mías – “Mango Maduro”, “Rompe el Coco”. Lo que yo montaba era mi música.
Debutamos en el Club Trinidad, en 1965, y alternamos con Ray Barretto ese año. Esa fue su primera visita a Venezuela; fue directo a Maracaibo.
REG: ¿Es cierto que no los dejaban tocar como Los Dementes?
RP: Mi profesor de música no nos dejaba tocar como Los Dementes, porque decía que los músicos no pueden ser catalogados de locos. Así que tuvimos que llamarnos Ray Pérez y su charanga. Había una patrulla amenazante que estaba presta a arrestarnos si usaba ese nombre ofensivo.
Poco después me fui para Caracas a tocar, alterno con Los Panchos, armo el grupo aquí como Los Dementes, y grabo con Prodansa. De allí sale la descarga “Cuatrocentinario”, “Rómpelo”, todos esos temas. Fue un éxito de ventas.
REG: El gran Perucho Torcat. ¿Cómo conoció a Perucho?
RP: Bueno, él es oriental, de la misma región que yo. El era de Sucre, y yo de Anzoátegui —paisanos, pues. Entonces él estaba con un grupo de estudiantes, y yo le dije: “Perucho, ¿por qué no te aprendes unos temas?”, porque el que en realidad iba a grabar los temas era un muchacho, Pastor López. El iba a grabar inicialmente conmigo, pero no sé qué pasó con Pastor. Yo le dije a Perucho, y Perucho se aprendió los temas y los grabó. Yo se lo grabé a él… Cuando él cantaba, él trataba de imitar a Tito Rodríguez, y yo le dije: “No, imítame a mí”, y así cantaba esas canciones.
REG: Ese primer disco LP era “Alerta Mundo”, 1967.
RP: “Alerta mundo, llegaron Los Dementes”. Llegaron los crazy men. Tomamos una foto en el parque…
REG: ¿Y de dónde salió el nombre Los Dementes, los crazy men?
RP: Ah… es que unos muchachos decían que yo estaba loco.
REG: De allí es de donde viene el Loco Ray.
RP: Me decían loco, porque me paso inventando vainas, y decían: “Ese muchacho está loco”.
REG: A mí también me dicen loco. Imagínese viajar a Venezuela y Colombia, buscando músicos de una época en que yo ni siquiera existía. Más bien, usted tiene una línea en una canción, “Emae Emae” que dice: “Lo malo en este mundo es ser diferente, y si tú eres cuerdo te dicen loco demente”
RP: Así es. Cuerdo es legal, correcto. A las personas que tenemos una línea, una conducta honesta, nos las cambian, entonces dicen todo lo contrario. Si yo no me meto drogas, dicen todo lo contrario, que ése es drogadicto. Pero yo no nunca he usado drogas, nunca.
REG: ¿Y no era que escuchaba a Eddie Palmieri y su Perfecta?
RP: No, no. Todavía no. A Palmieri lo oigo en Caracas —“Tu tu tu, ta ta”, que me gustó bastante. Mon Rivera sí tenía trombones. Y resulta que a mí me gustó el sonido del trombón, porque dentro de los instrumentos, el que se parece mejor al hombre es el trombón. El sonido de la trompeta es más femenino. El del trombón es más sobrio, pues. Pero con Los Kenya hice unos arreglos con la trompeta, que eran vigentes.
REG: ¿Cómo reaccionó la gente en Caracas con este sonido bravo del trombón?
RP: Ah, bueno, se volvió loca la gente. Yo tocaba de lunes a lunes. Salía el lunes en televisión, y luego salía a tocar en bailes, lunes, martes, miércoles, jueves, viernes, sábado y domingo. Domingo en el día y a veces domingo en la noche. Pura rumba en Caracas.
REG: “Alerta Mundo” fue un gran éxito – ¿Cuántos discos vendieron?
RP: En una semana vendimos 10,000 discos, era un fenómeno. Pero esos se siguen vendiendo. De todos esos discos, yo tengo las cintas, son mías.
REG: La versión de “Rómpelo” en el CD de lo mejor de Ray Pérez me suena diferente, de la que salió en Alerta Mundo. ¿Cuándo la grabó?
RP: Esa era otra versión que grabamos en 1969. La primera versión fue grabada en 1965 o 1966.
REG: Usted tiene varias versiones de algunos de sus números. Usted hizo una versión más jazzística de “Mi Salsa llegó”, de Los Dementes, con Los Calvos. Igualmente hizo “Sonero Soy” con Los Dementes y Los Kenya, y “Emae Emae” con Los Dementes en los 70s, como “Golpes de Pecho”. Entonces es que su música va evolucionando, va trabajando temas que primero hizo de una manera…
RP: Sí, así es.
REG: La música de Los Dementes, Sexteto Juventud, y Federico y su Combo Latino era música del barrio. ¿Por qué?
RP: Bueno, porque la gente “high”, los que llaman oligarcas ahorita —que tienen plata—, ellos bailaban con el Billos, lo que llamábamos la música gallega. La nueva música es la generación de nosotros, que echó a la guaracha otro sentido.
REG: Y vivió en esos barrios también.
RP: Claro. Viví en el 23. Todo lo que no es donde viven los high. Venezuela es todo un barrio, un barrio grande
REG: Cantó la canción “No sales de tu barrio”: “Si eres del Pastora, no te metas en el Calvario.”
RP: Porque te joden. Eso era de la época, pero igual ahora. Esos todos son barrios de Caracas, como Brooklyn o Bronx.
REG: Mirándolo, usted parece un tipo italiano del Bronx.
RP: Ha, ha. Ahora me llamaron para ir para allá, para Italia y para Francia.
REG: Wow. ¿Todavía sigue tocando “en vivo” entonces?
RP: Claro, toco mucho en México, donde tengo un poco de fama.
(La esposa de Ray acaba de bajar de su oficina. “Su música se escucha en todo México”, nos dice)
REG: Había otros grupos tocando salsa aquí, en Venezuela. Nelson y sus Estrellas tenían mucho éxito en Colombia… Príncipe y su Bonche… Yo tengo un disco muy bueno de un grupo que se llama Peter y sus Brothers Sexteto.
RP: Ellos eran del 23 de enero. Ellos todavía viven allí.
REG: ¿De verdad? ¿Me puede por favor dar las fechas de la discografía de Los Dementes?
RP: “Alerta Mundo: Llegaron los Dementes” y “La Salsa Llegó” son de 1966; “Manifestación en Salsa” y “Manicomio a la Locha!” son de 1967; “Primer Aniversario”, “Soneros Somos” y “Los Dementes en el 68” son de 1968.
REG: Grabó mucho dentro de unos pocos años
RP: Claro. En el 1967 hice dos producciones de Los Dementes y dos de Los Calvos
REG: He notado que da muchos consejos en sus canciones. “Emae Emae” dice: “Si quieres amigo mío llegar a viejo, no bonchees todos los días, porque no es bueno; busca siempre en los ancianos un buen consejo, se sencillo buena gente y sin complejo”. ¿Escribió todas esas letras?
RP: Todas. Todas las canciones tienen mensaje. Qice allí ser sencillo, sin broncas.
REG: Cuénteme de los vestidos en las portadas del Los Dementes, porque me parece que ustedes se estaban divirtiéndose mucho.
RP: Claro, mucho. Esos los consiguí yo en la utilería y en el vestuario en Radio Caracas televisión, del canal 8. Salimos así, entonces lo continuamos.
REG: ¿Y el grito ese, ahahahahahahahaa?
RP: Ah, eso es Ángel Pérez, el bongocero. Vivió mucho tiempo en Europa, pero ahora vive aquí otra vez.
REG: ¿Y ese es el grito de Los Dementes?
RP: Sí. El de Los Kenya es kooi kooi. Siempre cuando un grupo sale, algo sale de allá.
REG: ¡Qué dichoso que tenía tanta libertad artística! Como casi todo con Los Calvos, mezclando salsa, jazz y surf rock; era muy experimental
RP: Hice la pieza “El Trigueño Cintura” en Manifestación en Salsa. Tiene ocho minutos de duración, y tiene un solo de piano de jazz largo.
REG: Ese es un número asombroso. El coro dice: “Es más salsa que pescao”, el cual Piper Pimienta Díaz decía con Los Latin Brothers. Creo que Jimmy sabater también lo usó en uno de sus LPs. ¿Lo escucharon ellos de su canción?
RP: Piper lo escuchó en uno de los LPs de Los Dementes. Ellos vendieron bastante en Colombia.
REG: ¿Fruko también es amigo suyo? ¿Cómo lo ve como músico?
RP: Fruko es amigo mío. Es uno de los bravos.
REG: Richie Ray y Bobby Cruz hicieron mucha fama en la Feria de Cali de 1968. ¿También llegaron a venir a Caracas?
RP: Sí. Alternamos. Eso fue en el Canal 8. Palmieri también vino, [al igual que] Ray Barretto, La Broadway. Pete Rodríguez, y Joe Cuba. De Colombia, los Corraleros de Majagual, Orlando y su Combo… Era una época, había trabajo y había plata en Caracas.
Tocamos en las plazas de los barrios por todo Caracas, y grabamos programas en vivo en la televisión de allá.
REG: Otra canción de esa época dice: “Que vengan los hippies…”
RP: A los hippies les gustaba nuestra música.
REG: Caracas en “La Cuarentona”, 1967.
RP: Así es. Esa es de La Salsa Llegó. Hice otra versión de esa canción con Negrito Calaven. ¿Lo conoces?
Lo conocí en el 23. Nos veíamos durante los fines de semana, porque yo trabajaba en la fábrica Remington. A él le gustaba cantar, y a mí tocar el piano. Nos encontrábamos y pasábamos ratos juntos; íbamos a los clubes nocturnos y tocábamos, y él cantaba. Lo hacíamos por amor a la música y no por dinero. Así comenzó nuestra amistad.
El era de verdad un hombre con mucho calor humano y espectacular.
No tenía mucha educación formal. Cuando triunfó en grande, todo el mundo lo llamaba, para que cantara aquí y allá. Cantó en los barrios, en la calle, con cualquier banda disponible. Después de Los Calvos, cantó con Federico y su Combo.
Bebía licor, y el licor lo mató. Aunque el doctor le prohibió la bebida, él no hacía caso. Le traté de decir: “Mira…” Murió en mayo 28, 2003.
REG: ¿Quiénes formaban Los Calvos?
RP: El Pavo Frank en la percusión, Pedro García en la conga – él era cubano, fallecido. Miguel Silva en el bajo, Araujo y Lewis en el trombón y la trompeta. (Ray Pérez, compositor y arreglista, en el piano)
REG: El periodista Alfredo Churion llamó a Los Calvos “una de las más innovativas experiencias en la música popular venezolana”. El cita a El Pavo Frank diciéndole que la combinación del calypso, los ritmos salseros y el jazz en Los Calvos era como “vestir un traje de gala, con sandalias de hilo”. ¿Cómo fue grabar esos dos LPs?
RP: Así es. Estábamos adelantados a nuestra época. Nos divertimos mucho en el estudio con Los Calvos, y también con Los Dementes. Y, aunque Calaven había sido cantante de la orquesta de Pedroza, él nunca había grabado. Ambos LPs de Los Calvos los hice para RCA Víctor. (Estos Son los Calvos y …¡Y Qué Calvos! 1967)
REG: ¿Alguna vez tocaron en vivo?
RP: No. Con Los Kenya tocamos en vivo en el Show de Medianoche, Canal 8.
REG: Hábleme de Los Kenya. Ese LP Siempre Afro Latino es asombroso.
RP: Exacto, ese primer LP lo llamamos El Kenya. Lo llamamos así por todos los niños que estaban muriéndose de hambre en Kenya. Ese incluye los temas “Te Pongo a Valer”, “Hoculele”…
REG: “Te Pongo a Valer”, con Carlín Rodríguez y Calaven – ¡qué combinación!
RP: Sí… ¿Te gustó?
REG: Es asombroso. No lo puedo categorizar. Tiene rock, salsa, funk, afro…
RP: Esa canción tiene de todo. Fue un hit en Venezuela, pero en general, esa música estaba adelantada a su tiempo. La gente estaba acostumbrada a Los Dementes, a ese ritmo fuerte latino.
REG: Vuelvo y repito, ustedes parecieran haber tenido completa libertad artística
RP: Todos los grupos eran mis producciones, así que tenía que buscar un sonido, un estilo para cada grupo
REG: Usted lo hace sonar como si fuera fácil de hacer. ¿Qué significa “Te Pongo a Valer”?
RP: Trata sobre un tipo que pone a su novia a trabajar, de manera que ella adquiera auto-estima, pero ella no reconoce lo que él hizo por ella. Era mi mensaje a los músicos que decían que yo los trataba injustamente, algunos de los músicos de Los Dementes. Así les riposté, como el proverbio judío que dice: “Aquel que vive de la espada…”
Todas las canciones tienen mensajes. Existe otro tema que hicimos llamado “Pa’ la Cola”. Ese lo hicimos para Federico, para el Sexteto Juventud. Dimas lo canta, y dice: “Hay que estudiar, hay que tocar y leer”, debido a que Federico tocaba el guiro, y él no leía música. Tampoco Olinto, del Sexteto Juventud. Yo se los hice saber, pero no quisieron estudiar.
REG: ¿Quiénes eran los músicos de Los Kenya, y cuántos LPs grabaron?
RP: Alberto Naranjo en la percusión, Luis Arias y Luis Lewis en trompetas, Miguel Silva en el bajo, Pedro García “Guapachá” en las congas, “Cosa Buena” en los bongoses. Con los Kenya grabamos cuatro LPs, dos para Velvet y dos para Discomoda.
REG: ¿Quién era Larry Francia, el cantante de “Ra! Rai!” con Ray Pérez y sus Kenya?
RP: Era un mecánico; Edmundo era su nombre, pero lo llamábamos Larry. El cantaba, y lo grabé en ese único LP. Yo re-grabé algunos temas de ese LP, como “Muchacho Barrigón”.
REG: ¿Quién canta en “Así Mueren los Valientes”, “El Alacrán”, y “Emae Emae”?
RP: Soy yo.
REG: Wow. ¿Tocando piano y cantando a la vez? ¿Lo puede hacer en vivo?
RP: Claro. “La “Paloma” —el merengue— lo canto yo. “Adiós Madeira”.
REG: ¡Qué canción! Con trompeta.
RP: Y trombón.
REG: ¿En qué año se fue para Nueva York?
RP: Del 69 hasta el 71.
REG: ¿Y por qué se fue?
RP: Yo me fui a estudiar, y también para quitarme un poco de encima las… mujeres. Me fui a estudiar con el maestro Nick Rodríguez, panameño. Me hizo un examen, armonizando, así, pero me dijo: “No, hombre, usted no tiene que estudiar, lo que tiene que hacer es escribir”.
REG: ¿Y tocó en Nueva York?
RP: Claro. Yo tocaba con Kako y su All Stars. Cuando yo me montaba al piano, montaba todo el mundo a cantar —Cheo Feliciano, Chivirico… Palmieri, en vez de tocar al piano, cogió al timbal. Patato, Totico, Chombo Silva… Eso era en la Segunda, el after hours de Kako. Después salíamos a los seis de la mañana a un desayuno musical en el Broadway. Eso era una rumba… También tocaba con Cortijo e Ismael Rivera, y con Rudy Calzado.
REG: Le pagaron.
RP: Claro. Yo cobraba cincuenta dólares. Tocaba los fines de semana. El sábado había misa, siempre tocaban en la iglesia. Salsa.
REG: ¿Salsa en la iglesia?
RP: Claro, ¿tú no sabes eso? Las mejores fiestas las hacían en la iglesia. Tocamos con la Broadway — Eddie Zervigón me llamaba. Y los curas, pues vendían el aguardiente. Decían que esa es la casa de Dios, y que los niños de Dios deben disfrutar en la casa de Dios.
REG: Tiene sentido.
RP: Tenían tarimas grandísimas. Toqué en una iglesia en Connecticut, también. Y durante la fiesta dijeron: “Mañana es la misa a tal hora”…
REG: ¿Grabó en Nueva York?
RP: Sí, grabé para Musicor Records. Me llamó Al Santiago, me monté, y grabé.
REG: ¿Sus canciones?
RP: No, para otra gente. Hice arreglos también para otra gente. A Pete Rodríguez le hice arreglos, le di unos temas míos que él grabó después —“Dame felicidad” y “Bossa Triste”. Vicentico Valdés me grabó “Donde la tarde muere”… También para Orlando Contreras. Lola Flores me grabó “El Muchacho Barrigón”, que eso me sigue dando plata en España.
REG: Retorna a Caracas en 1971. La periodista Lil Rodríguez, autora de “Bailando en la Casa del Trompo”, menciona que los músicos venezolanos generalmente no se iban o mudaban para Nueva York, como otros que se convirtieron estrellas en Latinoamérica, porque la recepción local era muy buena para la cultura de la salsa, y el ambiente era muy propicio para la misma. El hecho de que su estadía en Nueva York haya sido corta provee evidencia a esta teoría. ¿Por qué retornó a Venezuela?
RP: Yo fui y regresé a Nueva York en 1969, e hice lo mismo en 1971, porque con las mujeres allá ya no se podía. Las mujeres de allá son buenas, pero las de aquí…
REG: ¿Y el frío no le molestó?
RP: No. A mi me gusta el frío. El frío te abre el apetito, y tienes que llegar bien abrigado y bien vestido
REG: ¿Perucho fue con usted ambas veces?
RP: Allí estaba Perucho conmigo; él trabajaba con Ray Barretto.
REG: Tiene “Catalina”, “Mi Salsa Llegó”, “La Cenicienta”…
RP: “Catalina” y “Mi Salsa llegó” sí son míos, en esos sí toco yo. “Mi perrita”, “Floro”, eso sí. “La Cenicienta”, que canta Alfredo Padilla, ese tema me lo dio un amigo mío —un argentino—, y se lo grabé.
REG: ¿Qué me puede decir acerca Psiquiatría Popular SA y Yo Tengo un Guía, de Los Nuevos Dementes, ambos para el sello Velvet? Perucho canta en Psiquiatría Popular.
RP: Eso no es mío. Perucho regresó y grabó eso con ellos. Estaba el Cholo Ortiz en el piano.
REG: Alfredo Padilla tocó los timbales en esos LPs.
RP: Si. Pero más bravo es Frank “El Pavo”. El Pavo es el primer baterista que tocaba allá en el norte, y pues, tenían que quitarse el sombrero Tito Puente y toda esa gente…
REG: ¿Cuál sello?
RP: Pyraphon. Hice 50 producciones, de varios grupos de música venezolana, música del tercer mundo.
El LP “Ray Pérez y su Mae Mae” es cuando llego de Nueva York y hago mi compañía de discos. Eso es de lo mejor de Ray Pérez. Cuando yo vine en 1969, yo grababa mis boleros, mis sones. Hice este LP para el Palacio de la Música. “El Tribilin”, “Adiós Madeira”, eran temas que pegaron aquí, en Cali y en todos lados. Después hice dos para Sergio Secchi, del sello Melser.
REG: ¿Qué me puede decir del LP Perucho y El Loco Ray, con Palacios?
RP: Eso fue en 1971. Regresamos para grabar. Aquí Estoy de Nuevo (Palacios) fue alrededor de ese periodo. Siempre estaba trabajando. Perucho grabó un LP en Nueva York, respaldado por las orquestas de Ray Barretto y Eddie Palmieri, para Fonseca. Se llama Homenaje a Perucho… En Nueva York.
Bueno, estábamos tocando aquí, en los carnavales. Entonces llegó Justo Betancourt, que tenía su orquesta, y vino a hablar con él, para llevárselo para su orquesta. Yo le dije: “Perucho, bueno, vaya, si tiene trabajo allá, no hay problema”. Pero le dije: “Lo que puedes hacer allá, lo podemos hacer aquí”. [El me decía]: “No, que tú sabes, que yo quiero ser internacional…” Yo le dije que los discos “van a salir aquí, y tú vas a ser internacional”.
El trabajaba en el Corso cuando por primera vez fue a Nueva York, pero regresó aquí. Cuando se fue con Justo, tenía unos problemas allá; andaba detrás de Justo, porque como era cantante, no tenía nada que hacer durante el día — no era mecánico ni nada así. Me parece que tuvo un problema con la esposa de Justo Betancourt; tú sabes como son las mujeres de Cuba, era celosa de su esposo. Parece que la mujer lo tiró de la casa. Entonces él se fue, y la sorpresa mía es que un día, a mediodía, llaman por teléfono—collect—, y acepto… Es Justo Betancourt: “Ray, ven a buscar el cadáver de Perucho”.
REG: ¿Cómo así?
RP: Se murió Perucho. Me cuenta Nelson Pinedo, que lo que pasó fue lo siguiente: Ellos fueron a tocar a Boston. Y hace frío en Boston. Estaban en primavera, cuando pegan unos fríos. Entonces, cuando ellos regresaron del baile, Justo le dice a Perucho que se quede en su casa. Pero como a Perucho le daba pena con la esposa, se quedaba abajo, y cuando sintió frío, se fue al carro, cerró las ventanas, y prendió el motor. Cuando abrieron el carro en la mañana, había muerto por monóxido. Eso fue accidental. No como dicen, que lo mataron. No lo mataron, murió por inexperiencia. A lo mejor venía cansado del trabajo, del baile…
REG: Wow. ¿Cuántos años tenía él?
RP: Tenía como treinta y pico años. Buen cantante. El bailaba arrechamente (super bien), como el Gran Combo. Se movía por la tarima – era un showman.
(Ray toca la hermosa “Canto a un Sonero”, la cual escribió para Perucho. El coro dice “Perucho se marchó, sin decirnos un adiós”).
REG: ¿Su conexión con Fania ocurrió en Nueva York?
RP: Yo trabajaba en el edificio de la RCA en Nueva York; el mismo edificio donde estaban Johnny Pacheco, Masucci, Tito Puente, Charlie Palmieri —todos tenían oficinas allí. Era en la 55 Broadway, al lado del Ed Sullivan Theater, en la esquina donde estaban todos los músicos.
Cuando regresé a Venezuela la segunda vez, Palacios estaba representando a Fania. Me hablaron sobre Teo Hernández; él estaba cantando en La Cueva del Oso, que era una discoteca enorme. Él tenía mucho éxito. Lo fui a ver y me gustó su voz, así que lo grabé. Luego convencí a su hermano a que cantara también. Grabamos cuatro LPs como Los Dementes: Mi Deuda de Amor, Estamos en Guerra, Yo Soy el Propio Guaguancó y Chévere.
REG: Nadie lo llama para pagarle en este mundo, usted tiene que llamar para que le paguen.
RP: ¡Coño!
REG: Eso no es justo. Si no hubiera hecho las composiciones, haberlos grabado, ellos no tendrían negocio.
RP: Claro.
(Ray toca uno de sus más respetados boleros. Su esposa, una profesora de Derecho Laboral y Negociación Colectiva, ya jubilada, se nos acerca y dice: “El canta bellamente los boleros”.)
REG: Siendo estrellas en Caracas, cantantes, deben haber llegado muchas mujeres alrededor de uno…
RP: Claro que sí. (Ray Sonríe ampliamente)
REG: Es que, entrevistando a músicos, me parece que la gente después sacan sus composiciones y las venden sin pagarles regalías. La gente llega a sus casas y roban los LPs, los recuerdos… Pero también durante sus épocas, la vivieron a todo dar, o sea…
RP: Disfruté.
REG: Eso me hace sentir un poco mejor.
Cortesía de Herencia Latina