A distanza di cinque anni ritorna al festival Latinoamericando un cantante che non ha bisogno di presentazioni: Cheo Feliciano.
Diversamente dall’ultima volta, in cui Cheo aveva suonato con i Mercado Negro, in questa occasione si presenta con la sua orchestra, più qualche inserimento di musicisti locali, come il bassista italiano che si è distinto per l’ottimo tumbao.
Diretti dal grande chitarrista e arrangiatore Luis Garcia, che oramai accompagna Cheo da tanti anni, il gruppo si compone di una sezione ritmica tradizionale con congas,timbales, bongò e campana, basso elettrico, piano elettronico Roland ed una sezione fiati composta da due trombe, due tromboni e un sax baritono.
Alla voce il grande Cheo Feliciano supportato da due coristi.
Ma veniamo al concerto.
Tutta piena finalmente, la piazza antistante il palco, che vedeva prevalere le presenze dei colombiani e peruviani.
Ci avevano detto che aveva un calo di voce, ma questo si è sentito solo in pochissimi momenti e da grande professionista ha portato a termine il concerto alternarnando sapientemente boleros (come la splendida “Amada mia”) a salse travolgenti.
Del resto Cheo è uno dei massimi esponenti del Bolero a dimostrazione della sua voce duttile e versatile in ogni genere come solo ai grandi è possibile, vedi anche Ismael Rivera, Beny Morè, Tito Rodriguez, ecc.
Il concerto ha toccato diverse epoche cominciando dagli inizi con Joe Cuba a suon di pachanga con il brano “A Las Seis” dove il nostro ha improvvisato alcuni passi di pachanga alla bella età di 73 anni!
Cheo Feliciano – A las seis
In questo brano e nei successivi due l’orchestra prende le misure e le trombe cominciano a scaldarsi, mentre anche il fonico migliora e riesce a dare piena potenza all’amplificazione mettendo in evidenza la sezione fiati che appariva sbilanciata nella prima fase del concerto.
Dopo una splendida introduzione nella quale ha raccontato di come Joe Cuba l’abbia portato al successo, si passa a grandissima richiesta a “El Raton”, apparso nel disco del 1964 Hangin’ Out del sestetto di Joe Cuba.
Splendido il botta e risposta tra pubblico e Cheo e altrettanto bello l’assolo di Luis Garcia al tres, strumento in cui è uno dei massimi virtuosi al mondo.
Cheo Feliciano – El Raton
Si arriva quindi all’epoca della collaborazione con Eddie Palmieri, che segue la separazione da Joe Cuba, con un paio di brani tratti dal bellissimo “Champagne” del 1969, disco registrato assieme al grande Cachao Lopez.
Splendida la versione di “Busca Lo Tuyo”, dove il bravissimo pianista Alex si lascia andare ad un assolo da antologia: riprendendo le linee guida dell’assolo originario di Eddie Palmieri nella seconda parte accende il pubblico con ribattute nello stile di Michel Camilo con la mano destra e alternando la mano sinistra in controtempo!
Cheo Feliciano – Busca lo tuyo
Si arriva al periodo di maggiore successo da solista di Cheo, quello con il grande Tite Curet Alonso, che davanti al pubblico definisce il più grande autore di salsa! Tra i brani veramente splendida la versione di “Los Entierros” tratto da “Estampas” del 1979 e senza parole la stratosferica “Anacaona”, con un altro grande assolo del pianista.
Cheo Feliciano – Anacaona
Alla fine come bis richiesto a gran voce, il grande Cheo si congiunge idealmente al più amato cantante della storia della Salsa…Hector Lavoe.
A colui al quale era stato vicino nel periodo della droga, dedica l’ultima meravigliosa canzone: Todo tiene su final.
Anche questo pezzo magistralmente interpretato da Cheo deve una buona parte della resa, come tutti i brani proposti al concerto, a colui che da tanti anni cura i suoi arrangiamenti, ovvero al virtuoso della chitarra Luis Garcia.
Luis ha riarrangiato tutti i pezzi, rispettando l’originale ma aggiungendo il suo punto di vista con sofisticate armonie, sostituendo accordi e modificando alcuni stacchi per i fiati, ecc.
Bellissimo ad esempio il montuno nuovo di zecca per Todo Tiene Su Final.
Cheo Feliciano – Todo tiene su final
Vengono lanciate sul palco magliette con il volto di Hector Lavoe che non mancano mai ad un concerto dove ci sono i latini, che la storia della salsa la conoscono molto bene…
Grazie ancora alla gentilezza di Cheo per l’intervista, al servizio stampa e al Festival Latinoamericando che da tantissimi anni si adopera per portare questi straordinari mostri sacri della musica latina nel nostro paese.
Salve Maestro è un piacere essere qui con lei e vorrei darle il benvenuto nel nostro paese da parte del nostro sito Lasalsavive.org e ringraziarla per questa intervista.
Quando ha iniziato a suonare e quali sono state le sue influenze musicali?
Ho iniziato a suonare a cinque anni grazie ad una fisarmonica che mi regalarono i miei genitori. Sono stato influenzato dai miei familiari, che vantano due generazioni nella musica popolare e classica.
Suonavano anche i miei zii e guardandoli ho imparato molto.
Ci riunivamo tutti a casa dei miei nonni dove c’erano due pianoforti; c’era chi suonava la chitarra, chi il piano e tutti cantavano.
Fu così che mi innamorai del piano, infatti volevo suonarlo sempre.
Però a casa mia non ne avevamo uno e per questo motivo imparai a suonarlo solo più tardi.
Quali sono stati i pianisti caraibici di jazz latino o di musica latina in generale che l’hanno influenzata maggiormente?
Inizialmente c’è un mio antenato Juan Morel Campos che era un grande compositore di danzas portoricane e che era portoricano mentre io sono dominicano.
Lui andava a casa dei miei nonni, questo molto prima che io nascessi.
Perciò si ascoltava e si suonava molta musica sua nella nostra famiglia.
A seguire l’influenza cubana è stata molto importante, Lecuona, Saumel e Cervantes, e anche la contradanza.
Tutta questa musica si suonava molto a casa mia.
Può raccontarci della sua carriera musicale all’inizio e dopo il suo trasferimento a New York?
Dai cinque ai nove anni ho suonato ad orecchio, dopo ho iniziato a suonare il piano e mi sono iscritto al conservatorio nazionale di musica dove ho proseguito gli studi per 13 anni e mi sono diplomato.
A 14 anni ho scoperto il jazz grazie ad un mio zio che faceva un programma radio di due ore tutti i lunedì dedicato al jazz.
Fu lì che ascoltai per la prima volta il grande Art Tatum che suonava “Tea for Two” con un solo piano e fu così che mi innamorai di uno stile nuovo: il jazz.
Fino a quel momento avevo suonato solo musica classica, da lì in avanti avrei iniziato ad approfondire anche la musica popolare e le mie radici latine.
A 16 anni sono entrato a far parte della Orquesta Sinfónica Nacional del mio paese come membro più giovane; i miei maestri del conservatorio, che erano membri della Sinfonica, mi raccomandarono per un provino davanti al direttore che mi ascoltò suonare e mi fece entrare nell’Orchestra.
Successivamente imparai a suonare le percussioni sinfoniche ed entrai a far parte della sezione di percussioni dell’orchestra sinfonica dove rimasi fino alla mia partenza per New York.
Quello fu il mio collegamento con New York, perchè quando si inaugurò il Teatro Nacional di Santo Domingo vennero alcuni musicisti da New York a rinforzare l’orchestra Sinfonica e mi ascoltarono mentre suonavo jazz.
Mi dissero: “Com’è che suoni jazz?” ed io: “mi piace molto suonare questa musica” e loro: “però dovresti andare a New York!”.
Uno di loro mi invitò a New York per guardare e per conoscere l’ambiente jazz.
Dormivo a casa sua e la notte andavo a vedere i club di jazz di New York; fu così che mi innamorai di New York e maturai la decisione di andarci a vivere.
Suonai con alcuni musicisti alcune jam sessions e descargas ma principalmente di jazz e non latine.
Poi ritornai a Santo Domingo e il mio amico continuava a scrivermi invitandomi di nuovo a New York e dicendomi “quando vieni, quando vieni?”.
Finalmente nel 1979 feci il grande salto verso New York e fu lì che il mio modo di suonare jazz cambiò e divenne più latino; non volevo perdere le mie radici caraibiche e per questo incorporai i ritmi e le radici latine nel mio modo di suonare il jazz.
Fu così che iniziò a crearsi il mio stile.
Ci tengo a dire che quando arrivai a New York non fu per lavorare ma per studiare: continuai i miei studi alla Juilliard School e al Mannes College che erano grandi accademie classiche e dove studiai molta musica classica.
Inoltre prendevo lezioni private di jazz da altri maestri.
In queste due accademie importanti ebbi l’opportunità di studiare piano, composizione, orchestrazione e direzione d’orchestra.
Tutto questo a New York!
C’è un nostro amico cubano che ci aveva raccontato di una sua amicizia con Emiliano Salvador, può confermare se ha avuto delle collaborazioni con lui?
Beh, in realtà io non conoscevo Emiliano Salvador, però lui mi conosceva per la mia musica così come io lo conoscevo per la sua, per i dischi che avevamo registrato.
Certamente Emiliano era molto rispettato a New York da tutti i musicisti latini perchè a New York i suoi dischi erano reperibili.
E la vita che è sempre piena di sorprese ha voluto che il mio bassista di oggi, Charles Flores, fosse anche il suo bassista e fece molti tour a livello mondiale con lui.
Ma non ci sono mai state delle collaborazioni dirette?
Dirette, no.
Quello che c’è stato è che quando andai a Cuba conobbi la famiglia e i figli di Emiliano, che era già morto.
In quel periodo stavano girando un film sulla sua vita e mi chiesero una dichiarazione; io naturalmente dissi quel che sentivo per la sua musica e quanto lo ammirassi come musicista.
Come nasce la sua tecnica percussiva che ha nel suonare il piano e che esercizi bisogna fare per poterla imparare?
Come ti ho detto prima io ho una formazione come percussionista classico perchè ho appreso tutte le tecniche dei redoblantes, dei timpani e della gran cassa e di tutta la sezione delle percussioni e non solo il piano e la celesta.
Io suono anche il vibrafono e la marimba e il Tom Tom, tutta la sezione intera.
Questo mi tornò utile successivamente quando a New York iniziai a suonare con i grandi batteristi come Steve Gadd, Dave Weckl, Marvin “Smitty” Smith, Horacio “El Negro” Hernandez, Dafnis Prieto, Cliff Almond, insomma molti batteristi hanno suonato con il mio trio e siccome io conosco lo strumento, potevo parlare lo stesso linguaggio con loro.
E tutta questa tecnica mi è servita per comunicare con loro, per dare un suono speciale al mio trio e per poter applicare questa tecnica delle percussioni al piano, perchè il piano è anche uno strumento percussivo.
E il piano nella grande letteratura classica, ad es. Stravinskij, Berio ecc. ha sempre avuto una grande influenza percussiva.
Il piano moderno nella musica classica necessita di questo tocco percussivo, come in Petruška di Stravinsky o Bernstein.
Come ha conosciuto Tomatito e come è nata la passione per il flamenco? Inoltre può dirci qual è stata l’influenza del tango argentino nel suo lavoro Spain II?
Intanto Tomatito era amico di un gruppo di nuovo flamenco che si chiamava Ketama e che era molto popolare in Spagna.
Loro erano molto appassionati di musica latina e volevano fare un disco con molta influenza di salsa e songo.
Questo disco si chiama “Pa gente con alma”, dove suono anche io.
Io li ho aiutati a produrre questo disco al 50%: ci sono molti ritmi latini ed è come un distacco da quello che stavo facendo io fino a quel momento.
Quando stavamo registrando a Madrid, Tomatito era nel nostro studio di registrazione e gli piacque moltissimo il sound latino con flamenco che stavamo registrando; fu così che diventammo amici.
Cinque anni dopo, durante il festival di jazz di Barcellona, gli organizzatori, che sapevano della mia passione per il flamenco, mi chiesero se volevo fare qualcosa in collaborazione sul flamenco.
Gli chiesi: “e con chi?”.
E loro: “sarebbe bello farla con Tomatito“!
Gli risposi che lo conoscevo e che eravamo buoni amici.
Al che mi dissero: “e lui sarebbe disponibile?”.
La mia risposta fu che non lo sapevo, ma che se lui avesse detto di si io sarei stato d’accordo.
Fu così che nacque la nostra collaborazione al festival di jazz di Barcellona ed ebbe un successo a livello mondiale.
Il problema è che il nostro repertorio era molto limitato, c’erano solo tre pezzi pronti così pensammo di fare un concerto in cui suonavamo la chitarra ed il piano da soli per poi incontrarci nel finale e suonare insieme i tre pezzi.
Il pubblico impazzì e i promotori presenti cominciarono a chiederci di suonare insieme; abbiamo fatto due anni di concerti per il mondo ancora prima di registrare il primo Spain.
Fu un successo clamoroso e dopo quattro anni in tour per il mondo, tra Caraibi, Stati Uniti, Europa e Giappone, decidemmo di fermarci un po’.
Dopo tre anni ci riunimmo e nacque Spain II: l’occasione fu quella di un Festival europeo molto importante, il North Sea Jazz Festival in Olanda.
Fu lì che ci rincontrammo.
Suonammo tre volte, la prima io da solo, poi Tomatito sempre solo e alla fine tutti e due insieme dove suonammo Spain.
La cosa ci piacque tanto, la musica ci sembrava fresca, forse anche per il fatto che era da tempo che non suonavamo insieme.
Così decidemmo che era giunto il momento per realizzare la seconda parte di Spain.
In camerino iniziammo a parlarne, Tomatito mi disse che andava spesso a Buenos Aires, che gli piaceva il tango e che era un fanatico di Piazzolla.
Gli risposi che anche io lo ero!
Fu l’inizio del disco.
Pensammo di fare un tributo a Piazzolla e così nacque la radice del disco, la parte centrale; il resto lo creammo in seguito.
Con Spain II facemmo 42 concerti per il mondo con grande successo.
Suonammo due volte anche in Italia, a Roma, nell’auditorium Parco della Musica.
Girammo tutto il mondo e fu una cosa meravigliosa.
Adesso stiamo pensando alla prossima tappa e forse il prossimo anno realizzeremo un altro album di Spain, il terzo.
Quali sono i suoi pianisti contemporanei preferiti e con chi vorrebbe suonare insieme?
Ti posso dire che ho avuto la fortuna di suonare già con alcuni di loro, ad esempio con Herbie Hancock in un Festival in Giappone e alla fine facemmo una gran descarga, una jam session con la Orchestra de la Luz.
Iniziammo a suonare “So What” di Miles Davis ed io chiamai anche Herbie Hancock e Wayne Shorter che stavano suonando insieme.
Facemmo un gran finale davvero molto speciale suonando per circa mezz’ora “So What” a tempo di salsa!
Fu una follia!
Con loro sono molto amico.
Devo fare una tourneè per tutta l’Europa, gli Stati Uniti ed i Caraibi con Chucho Valdes che è un grande amico. Questa collaborazione è nata per caso quando mi invitò al Festival di Jazz che dirige all’Habana e alla fine del mio concerto mi chiamò per suonare al piano una descarga improvvisata che piacque a tutti quanti e così la portammo in giro per tutto il mondo.
Se andate su youtube potete vedere le immagini.
Abbiamo fatto un incontro fra pianisti dei caraibi con Gonzalo Rubalcaba a Santo Domingo ed è stato fantastico.
Sai che a New York esisteva una serie di concerti chiamata “Latin Piano in concert” che si svolgevano al Lehman College dove si esibivano cinque pianisti latini per volta accompagnati da una band di salsa. Una tradizione importante che non si svolge più.
Lì avevo fatto delle descargas con Eddie Palmieri, Charlie Palmieri, Hilton Ruiz, Chucho Valdes e con tanti altri artisti.
Ognuno suonava alcuni brani del proprio repertorio e alla fine tutti insieme.
Era una vera follia!
Quali sono i progetti futuri che vorrebbe realizzare?
Ho un progetto che non è latino ma di musica classica.
Devo scrivere il mio secondo concerto per pianoforte e orchestra che sarà registrato all’Auditorium di Tenerife (Isole Canarie) il prossimo 13/14 Marzo.(ndr: la data si riferisce al 2009)
Sto scrivendo i pezzi tra un tour e l’altro.
Il primo concerto l’ho scritto nel 1999 e l’ho già suonato almeno 50 volte in tutto il mondo (Danimarca, Spagna, Inghilterra, Stati Uniti, Caraibi), però mi manca ancora l’Italia e spero che presto qualcuno mi inviti a suonare con un’orchestra sinfonica italiana. Michel Camilo saluta LaSalsaVive
Ringraziamo la Sig.ra Maria Savino dell’Ufficio stampa eventiduemila entertainment gruppo ede – Torino, la Sig.ra Sara Soria di Adam e il manager di Michel Camilo, Sig. Toni Lama per averci dato la possibilità di intervistare Michel Camilo.