La notizia è di quelle che faranno gioire i tanti fans della Fania.
Direttamente dai profili facebook di Ismael Miranda e Cheo Feliciano, abbiamo appreso che la Fania All Stars tornerà ad esibirsi a Portorico il prossimo 18 ottobre 2013 al Colosseo di San Juan!
Indubbiamente un concerto da non perdere per chi avrà la fortuna di poter essere nella Isla del Encanto in quel periodo.
Fra i miti viventi presenti ci saranno:
Il direttore musicale e membro fondatore Johnny Pacheco;
Il Niño Bonito de la Salsa, Ismael Miranda;
Il querendón Cheo Feliciano;
Il Maestro Willie Colón;
I cantanti Adalberto Santiago e Luigi Texidor;
Il pianista Larry Harlow;
Il basssta Bobby Valentín;
Il bongocero Roberto Roena;
Il conguero Eddie Montalvo;
I timbaleros Nicky Marrero e Oreste Vilató;
I trombettisti Héctor “Bomberito” Zarzuela, Eliut Cintrón e Jorge “Ito” Torres;
I trombonisti Lewis Kanh, Roberto Rodríguez Jr. e Reynaldo Jorge;
E il violinista Alfredo de la Fe!
Sarà un re-incontro veramente STORICO!
Peccato solo per l’assenza di Ruben Blades, resto dell’idea che alcune incomprensioni con Willie Colon si dovrebbero superare per il bene della salsa.
E adesso che dire?
Tutti a Puerto Rico!!!
Un video tratto dall’incontro della Fania All Stars nel 1973
EL 18 de Octubre Puerto Rico será testigo de un junte histórico en donde se reunirán por última vez:
El Director Musical y Miembro Fundador Johnny Pacheco; el Niño Bonito de la Salsa, Ismael Miranda; el querendón Cheo Feliciano, el Maestro Willie Colón, los cantantes Adalberto Santiago y Luiggie Texidor, el pianista Larry Harlow, el bajista Bobby Valentín, el bongocero Roberto Roena, el conguero Eddie Montalvo, los timbaleros Nicky Marrero y Oreste Vilató, los trompetistas Héctor “Bomberito” Zarzuela, Eliut Cintrón y Jorge “Ito” Torres, los trombonistas Lewis Kanh, Roberto Rodríguez Jr. Y Reynaldo Jorge, y el violinista Alfredo de la Fe!
Familia, el evento historico de salsa que no se pueden perder. Todos los pioneros vivientes de la Fania All Stars incluyendome a mi estaremos el 18 de octubre desde la 8:30pm en el Coliseo de Puerto Rico deleitando el publico con salsa gorda como en los 70’s. Este sera el ultimo evento de la Fania All Star En Puerto Rico asi que esperamos su presencia! Se soltaron los caballos!
Intervista di Israel Sánchez-Coll
tratta da Herencia Latina
Traduzione a cura di: Salsa Claude
Prefazione
Herencia Latina è uno dei siti più autorevoli sulla storia della musica latina, ricchissimo di articoli su esponenti di varia fama nella scena del passato (herencia significa eredità); questa intervista, oltre a descriverci nei dettagli la biografia di un noto bandleader, offre anche una ricca descrizione delle tre epoche da lui vissute ossia quelle del Mambo, del Boogaloo e della Salsa: il risultato è un racconto che ritrae i più disparati protagonisti (narrandone inattese relazioni), in diverse situazioni che li accomunano.
Infatti, che relazione aveva Joey Pastrana con Machito? Quali circostanze causarono l’ingaggio come lead vocalist di Chivirico Dávila e quali quelle che fecero terminare la collaborazione di Ismael Miranda? Come esordì Joey Pastrana alla Cotique Records e perché rifiutò sempre di entrare in Fania? Quanto lo toccò il boicottaggio del Boogaloo ad opera dei “Veterani del Mambo” e perché?
Tutto ciò è descritto in questa lunga ma interessantissima intervista, ora disponibile anche in italiano.
Claude
Israel Sánchez-Coll: Dove nacque Joey Pastrana?
Joey Pastrana: Nacqui il 22 Agosto 1942 a Santurce, Puerto Rico. A quattro anni la mia famiglia si trasferì a New York a causa del lavoro di mio padre, che era un marittimo mercantile. Crebbi nel Barrio (Harlem) sulla 110a strada dove rimanemmo dieci anni, dopodiché ci trasferimmo nel Bronx. Fu però nel Barrio dove si manifestarono le mie “inquietudini” musicali: suonavo i timbales e la conga. A casa di un cugino c’era uno scantinato con un pianoforte e lì ci ritrovavamo per suonare. Joe Quijano era un mio vicino di casa e gestiva un negozio di dischi. Mio padre si chiamava José P. Pastrana e mia madre Julia Santos.
Israel: Entrambi di Puerto Rico?
Joey: Sì, di Santurce.
Israel: Il nome completo?
Joey: José Luis Pastrana Santos.
Israel: E perché “Joey”?
Joey: A scuola mi americanizzarono il nome, mi chiamavano Joseph Louis Pastrana quindi tutti i compagni iniziarono a chiamarmi Joey.
Israel: Quindi il “Joey” nacque a scuola, e non durante la carriera musicale?
Joey: Esatto.
Israel: Chi influenzò la sua formazione musicale?
Joey: Le mie prime influenze furono quelle di Tito Puente, Daniel Santos – che era cugino di mia madre – Bobby Valentín, Charlie ed Eddie Palmieri; ce ne sarebbero molti altri, ma mi sfuggono i nomi.
Israel: Chi la spinse a scegliere i timbales?
Joey: Di fatto scelsi io la batteria che studiavo presso la scuola del maestro Gene Krupa, uno dei giganti del jazz noto come batterista di Benny Goodman oltreché collaboratore di Lionel Hampton, Teddy Wilson, Charlie Ventura ed altri ancora. Aveva una scuola in centro a Manhattan e lì iniziai a leggere gli spartiti.
Non avendo la macchina ero costretto a prendere il metrò, già scomodo di per se stesso, ed ancor più alle 3 del mattino, quando solitamente terminavamo di suonare, e anche se talvolta amici o familiari mi prestavano la macchina la scomodità della situazione mi portò a valutare alternative.
Decisi di suonare bongó e campana inserendomi in un piccolo conjunto che aveva Bobby Valentín – Bobby suonava il basso nella banda di Tito Rodríguez, il timbalero di Bobby abbandonò il gruppo e lui me ne offrì il posto – e con cui potei partecipare alla registrazione dell’album Ritmo Pa’ Goza’ – El Mensajero nel 1965. Scrissi anche due brani a Bobby usciti con l’album Young Man With A Horn: Que Pollito (Joey canticchia il ritornello “Yo tengo un pollo que quiere bailar”) e un brano mambo jazz chiamato The Gate, riferito al locale “Village Gate” dove al Lunedì suonavano le migliori bande latine ingaggiate dal Dj radiofonico Symphony Sid, che portava avanti una programmazione artistica con molto mambo jazz.
In seguito Bobby Valentín ingaggiò Papi Pagani, figlio di Federico, quando quest’ultimo perse il posto nella banda di Tito Rodríguez a causa del consumo di sostanze stupefacenti. Durante le prove Bobby mi disse semplicemente che adesso avrebbe continuato con “Il timbalero di Tito Rodríguez”, senza però aggiungere alcun dettaglio.
Quella settimana iniziai a scrivere testi e comporre musica a casa mia quando apprendo dalla radio che cercavano orchestre per registrare in studio: chiamai Simphony Sid affinché mi aiutasse e lui mi mise in contatto con un ragazzo che mi aiutò con gli arrangiamenti, cosicché in due settimane fui pronto per entrare in studio. Andai con la mia banda in un negozio – e guarda la combinazione, era quello della moglie di Federico Pagani – dove c’era una stanza per le prove. Il negozio era sulla 183a all’angolo con Williams Avenue, chiamai George Goldner, proprietario della Cotique Records, e gli chiesi di ascoltarci. Al termine della prima canzone ci fermò e disse: “Quando possiamo registrare il disco?” Un po’ sorpreso gli dissi: “Ma se te ne abbiamo fatta ascoltare solo una?” E lui rispose: “A me non importa, quando siete disponibili?” E in risposta alla sua insistenza gli dissi: “Ok, la prossima settimana.” E fu così che uscii col mio primo album: Let’s Ball
Israel: Perché in questo album le cambiarono il nome in Pastrano?
Joey: Ah, fu un errore di George Goldner perché fecero le cose di fretta! Mi ritrovai così con un nome dal suono italiano, ma nei successivi album la Cotique – responsabile dell’errore – corresse il nome.
Israel: Chi erano i componenti di questa orchestra d’esordio?
Joey: Due musicisti “prestatimi” da Joe Quijano (trombettista e bassista), mio fratello Willie Pastrana alle congas, e un ragazzo ai suoi esordi musicali con la banda di Andy Harlow, Ismael Miranda. Il primo album fu un grande successo di vendita, ciononostante la nostra orchestra non riusciva ad avere ingaggi per i concerti e Ismael andò con Larry Harlow.
Israel: Israel Miranda disse che Lei lo ingaggiò dopo averlo visto con Andy Harlow ad un concerto presso il club El Dorado.
Joey: Esatto. Cercavo il mio cantante nei club, e lo trovai in un periodo in cui la banda presso cui lavorava non aveva molte serate quindi gli diedi i miei spartiti e in una settimana registrammo l’album.
Israel: Nel quale c’è un classico: Rumbón Melón.
Joey: Sì, funzionò perché l’esperienza con la banda di Bobby Valentín mi insegnò come andava scritto un brano affinché piacesse al pubblico, e difatti nel giro di tre mesi diventò un successo. Ciononostante, siccome le serate non arrivavano, Ismael se ne andò. In seguito George Goldner mi chiamò per pianificare l’uscita del secondo album, avvisandomi che i risultati sarebbero arrivati in tempi più lunghi.
Registrammo perciò l’album “Joey” col cantante Chombo che conobbi a New York e che aveva già partecipato ai cori del primo album, dimostrandosi così anche un ottimo lead vocalist.
Israel: Il suo nome completo?
Joey: José “Chombo” Rodríguez.
Israel: Fu il successore di Ismael Miranda?
Joey: Sì. Con Chombo il secondo disco uscì bene. Nel ’67 entrambi gli album erano recensiti sulle riviste e competevano per il primo posto.
Israel: Lei fu un direttore d’orchestra innovatore, mise due voci femminili nei cori dando una nuova caratteristica alla sua musica laddove le altre bande seguitavano a tenere schemi tradizionali; come sviluppò questa idea?
Joey: Si chiamavano Sonia Rivera e Becky Rivera ma non erano sorelle.
Israel: Dove le conobbe?
Joey: Sonia Rivera era mia cognata ma in realtà la conoscevo da dieci anni prima che si sposasse con mio fratello Willie Pastrana, quando la sentii cantare in un gruppo di musica nordamericana mentre Becky Rivera è una mia cara amica d’infanzia: entrambe sono di Puerto Rico.
Israel: Sono viventi?
Joey: Sì.
Israel: A New York?
Joey: Credo che Becky stia in Florida e Sonia a New York con le sue tre figlie: credo che canti in un gruppo rock.
Israel: Perché quest’idea di integrare le voci femminili?
Joey: Presi l’idea da Tito Rodríguez che aveva una ragazza nel suo coro. Di fatto un giorno ero ad un suo concerto ed apprezzai come questa voce differente si distinguesse all’interno del coro e mi piacque. Situai inoltre le due ragazze in prima linea per fare scena, cantando e ballando insieme a mio fratello Willie. Ne uscì un suono che ricordava quello della banda di Cortijo.
Israel: Pensi che nel New Swing Sextet le tre coriste erano le sorelle e la moglie di George Rodríguez, il vibrafonista-leader.
Joey: Il New Swing Sextet si ispirò a me (ride), perché nel ’67 poche orchestre, sia grandi che piccole, avevano questo formato, mentre in seguito molti altri lo adottarono.
Israel: L’orchestra suonava bene, era coinvolgente; negli anni ’60 e ’70 le orchestre erano mediamente maschiliste, raramente trovavi donne nei cori.
Joey: Esatto.
Israel: Cosa rappresentò il Boogaloo per la sua generazione?
Joey: All’epoca tutti i giovani volevano ballare ed ascoltare soltanto Boogaloo poiché non conoscevano bene i balli del Mambo né del Cha Cha come le persone più adulte. I giovani fecero da catalizzatore per l’ascesa del movimento, non i vecchi che lo malsopportavano e speravano nel suo declino. Anche le orchestre di veterani non amavano suonare brani Boogaloo.
Israel: E’ vero che Lei spinse Johnny Colón a firmare per Cotique?
Joey: Io scrissi un brano a Johnny Colón. Quando uscì il mio primo album molti impazzirono per il Boogaloo. Johnny lo faceva in maniera diversa dalla mia, riscuotendo successo con un solo disco, Boogaloo Blues, dove compose la musica e suonò come pianista e i cui testi furono scritti da Tito Ramos. Il brano che dava il nome anche all’album nacque come Guajira in spagnolo ma George Goldner suggerì di cambiare il testo in inglese e di riarrangiare la musica di conseguenza; il risultato fu un Boogaloo diverso dal solito ma che piacque al pubblico.
Il Boogaloo più ballabile lo compose Pete Rodríguez: I Like It Like That. Ciononostante Pete Rodríguez si allontanò dalla musica perché il suo vero amore era per il Mambo e la Guajira. Il vero compositore era il suo trombettista, Tony Pabón, che ai cori mise sua moglie e i figli di entrambi.
Israel: Considera il Boogaloo una musica nera?
Joey: Nacque nel Barrio da neri e portoricani che frequentavano le stesse scuole e strade; i latini apprezzavano più la musica nordamericana e i neri quella latina, così si contaminarono a vicenda.
Israel: E’ vero che José Curbelo bloccò molti ingaggi di serate alle orchestre emergenti di Boogaloo?
Joey: Sì, è vero. Siccome il Boogaloo stava riscuotendo successo i musicisti più anziani erano gelosi poiché la loro fama consolidata iniziava a venire adombrata dal “nuovo”. Capitò pure che Tito Puente pretese di venir menzionato sulle locandine prima dei gruppi Boogaloo (come Joe Cuba, nonostante quest’ultimo avesse cinque brani di successo e lui nessuno); le nuove bande vendevano dischi, quelle affermate non più, tuttavia volevano dominare le serate e iniziarono a sermonare che “il Boogaloo non serviva a niente, non era niente”. La verità è che la gente voleva ballare Boogaloo, e in seguito avrebbe preso a ballare Salsa. Io nei miei album mettevo entrambi i generi.
Israel: E lo Shingaling?
Joey: Era uno stile di ballo, il movimento in coppia era diverso, mentre il Boogaloo si ballava in una direzione lo Shingaling lo si ballava in un’altra, e tutto sulla medesima musica; fu introdotto dai neri americani.
Israel: Lei ricevette un premio nel ’68 dalla rivista Latin New York per le vendite del brano “Riky Chi”, consegnato da George Goldner; cosa può raccontarci in proposito?
Joey: Fu un disco d’oro che mi diedero per i miei 45 giri, formato che d’abitudine veniva sempre lanciato prima dell’album. Ricordo che al Palladium diedero un disco d’oro anche a Pérez Prado delle stesse dimensioni di quello che ricevetti io. Detto premio riguardava i singoli delle mie prime produzioni ossia Riky Chi, Rumbón Melón, La Güira e altri.
Israel: Quante copie vendette del suo primo disco?
Joey: Del primo album non ricordo, del secondo (Joey) in sole due settimane si vendettero quarantamila copia tra New York e Puerto Rico. Al momento, il primo rimane il più venduto e ciononostante io non ho mai ricevuto un centesimo, pensa te come sono certe situazioni.
Israel: Il suo terzo album?
Joey: Il terzo album fu Joey In Puerto Rico.
Israel: Joey En Carnaval fu il quarto o il quinto?
Joey: Credo il quinto, e lo produssi io perché George Goldner nel frattempo morì e dovetti far tutto da me.
Israel: Questo album viene anche in CD e lo trovo meraviglioso con brani come Joey’s Thing (il mio preferito), Chacaboo, Aguacero, My Girl.
Joey: Lo chiamai “La Cosa Di Joey” perché fu così impegnativo per me comporre e produrre nel contempo che alla fine mi dimenticai il titolo!
Israel: E’ sua la composizione?
Joey: Sì, lo scrissi come lo volevo e lo sentivo, questa è la cosa più importante.
Israel: Suo fratello Willie Pastrana lo accompagna in questo album.
Joey: Sì, fu presente in sei album, poi tornò con Joe Quijano che aveva molti ingaggi all’estero, cosa che desideravo avere anch’io e che si concretizzò all’uscita de El Diferente con Chivirico Dávila poiché tramite la radio riscosse successo anche a Panamá e Venezuela, paesi in cui facemmo una tournée di tre settimane, toccando anche Los Angeles, Florida, St. Thomas Island, Puerto Rico e New York.
Israel: Com’era il Venezuela?
Joey: Interessante, ma non ancora così salsero come lo sarebbe divenuto in seguito poiché all’epoca ascoltavano più orchestre locali che newyorchesi.
Israel: Chi scrisse My Girl?
Joey: E’ mia; tutti i brani cantati in inglese nei miei album sono miei.
Israel: Come ingaggiò Carlos Santos?
Joey: Quando Chombo andò a Puerto Rico durante una delle mie numerose tournée, scoprì di amare profondamente l’isola per cui un giorno mi disse: “Io non torno più a New York, resto qui.” Quindi tornai senza cantante a New York e dopo molte ricerche trovai Carlos Santos, molto giovane e di voce acerba ma con il talento dell’improvvisatore. Il primo album che feci con lui credo fosse Joey en Puerto Rico, dopodiché migliorò la sua voce e nella seconda produzione che facemmo assieme progredì tantissimo, basti sentirlo in Chaca Ca Boom.
Israel: Il Chaca Ca Boom è un brano in risposta ai suoi avversari.
Joey: La gente diceva che io non suonavo veramente poiché durante i concerti presso le sale da ballo non mi producevo in assoli né improvvisazioni, ma d’altronde se la gente voleva ballare io non potevo che assecondare lo scopo per cui venivano alle nostre serate. Alcuni ragazzi tra il pubblico mi chiedevano di suonare loro i timbales per sopperire a questa mia “mancanza” e allora glieli prestavo ma solo per la penultima canzone della scaletta.
Riguardo questo brano scrissi “La gente voleva Chaca ca boom, boom”, che sono i colpi dei timbales, e in questo modo zittii i miei critici (ride) e nel contempo ebbi anche un brano di successo.
Israel: Fu un inno in tanti Paesi latinoamericani.
Joey: Mi lusinga e mi emoziona. Dopo la Cotique io feci altri cinque album tra i quali The Godfather (stesso titolo del film Il Padrino, che spopolava in quell’anno).
Ti racconto un aneddoto, Tito Rodríguez era vivo durante la registrazione dell’album e mi chiamò in studio dicendomi che gli avevano raccontato che stavo registrando il brano de Il Padrino, al ché gli dissi di sì e lui m’informò che stava facendo la stessa cosa, così ci facemmo una risata. Tito ha sempre avuto ottimi rapporti con me, e le nostre orchestre alle serate suonavano spesso assieme.
Altra cosa importante, io uscii con la copertina ispirata alla locandina del film e il brano de Il Padrino come traccia 1 del lato A; Tito Rodríguez invece uscì con la sua immagine e il brano lo mise come ultima traccia del lato B. Credo che lo arrangiò insieme a Louie Ramírez.
Foto di sinistra:Joey ai timbales – foto di destra: Joe Quijano, Joey Pastrana e Joe Cuba.
Foto di Joey Pastrana – cedute a Herencia Latina.
Israel: In quali locali di New York divenne popolare la banda di Joey Pastrana?
Joey: Al club Corso che era un po’ la mia casa poiché ci lavoravo tre volte alla settimana mentre per i restanti giorni lavoravo due volte a Brooklyn e due volte al Tropicana del Bronx, dove si affermò Ricky Ricardo (Desi Arnaz), il personaggio del programma “I Love Lucy”, prodotto da sua moglie Lucille Ball. Ricky Ricardo – nome con cui era noto nel programma – oltre al Tropicana suonava anche al club La Conga di Manhattan. Il Tropicana del Bronx aveva le stesse scenografie del suo programma e divenne popolare come lo fu il Palladium.
Israel: Desi Arnaz interpretò Babalú di Miguelito Valdés e El Cumbanchero di Rafael Hernández, cercando di mischiare il ritmo di Machito con la melodia di André Kostelanetz.
Joey: Imitava Miguelito Valdés, del quale io ero amico da quando lo incontrai a Puerto Rico, dove mi riconobbe prima che io riconoscessi lui; ci trovavamo in fila al Sindacato e ci presentammo l’un l’altro, dopodiché andammo a mangiare ad un ristorante cubano dove incontrammo Johnny Pacheco, Bobby Valentín e Vicentino Valdés e capitò una scena comica poiché Miguelito iniziò a scavare nel riso ed esclamò: “Ma dove sono i fagioli?”, cosa che ci fece ridere tutti per cinque minuti dato che il suo modo di parlare era sempre “cantato”. Fummo amici per i quattro anni successivi, finché morì. A volte mio fratello Willie lo chiamava scherzosamente Ricky Ricardo e lui rispondeva stizzito “Io sono Miguelito Valdés, l’originale, non la copia!” (Joey ride).
Israel: Ti piacevano i ritmi cubani?
Joey: In famiglia abbiam sempre ascoltato i ritmi cubani, mio padre adorava per esempio Sonora Matancera, Pérez Prado – prima di passare dalla musica latina a quella americana – Casino De La Playa, Riverside ed altri.
Israel: Quindi ascoltavi molta Guaracha, Mambo, Cha Cha Chá e Charanga?
Joey: La Charanga era della mia epoca, ‘66/’67 quando tutti si misero a ballarla a New York e nella quale Pacheco, grande amico mio, si inserì approfittando dell’onda. Pacheco amava la mia musica ma non gradiva il Boogaloo, insisteva affinché firmassi per la sua Fania Records ma io gli rispondevo che loro erano troppo in dissintonia con questo genere. Io, del resto, suonavo anche Salsa per non restare a terra qualora il genere fosse tramontato, cosa che altre bande, specializzate e bravissime nel Boogaloo, non fecero, così scomparvero appena arrivò la Salsa; alcune si dimostrarono proprio incapaci di “stare in clave”, così dopo magari un solo disco scomparvero per sempre.
Israel: Ne ricorda alcune?
Joey: No, ma ricordo che erano tante.
Israel: Lei è amico di Joe Bataan?
Joey: Certo, era uno di coloro che non suonavano molta musica latina, faceva musica americana e alla fine concludeva con una Cha Cha Chá; insieme facemmo molte serate, lui aveva la sua hit Gipsy Woman. Johnny Colon fece tre album, il primo di successo, i seguenti a scendere, poi si ritirò dalle scene per dedicarsi all’insegnamento della musica ai giovani.
Israel: Johnny affermò che molti impresari che gestivano le bande di Mambo, tra i quali José Curbelo e Ralph Mercado, boicottarono quelle di Boogaloo non offrendogli serate, montando una vera e propria cospirazione contro il genere musicale.
Joey: Sì, confermo, ma io non ne caddi vittima poiché suonavo anche Salsa; aggiungo che quando il Boogaloo iniziò a scemare, chi gli diede la botta finale fu la Fania Records.
Israel: Chiarissimo. Quindi perché non firmò mai per la Fania?
Joey: Perché la Fania con tutti i miei dinieghi mi divenne ostile, e ridevo su queste loro continue profferte.
Israel: Quindi non volle unirsi a loro?
Joey: No, perché c’erano troppi spocchiosi là dentro, così firmai con la discografica argentina Parnaso che aveva iniziato ad ampliare i propri interessi nella Salsa e composi per loro A Comer e El Padrino. Pure mio fratello Willie incise due album con loro.
Israel: E, dato che da Fania si era autoescluso, Parnaso Records le procurò serate a New York?
Joey: No, io seguitai a lavorare per conto mio e la cosa non mi danneggiò molto perché in radio trasmettevano i miei dischi, come per esempio Malambo che si vendette a New York e a Puerto Rico; tuttavia Jerry Masucci, il proprietario della Fania Records, si comportava scorrettamente perché dissuadeva i Dj radiofonici dal programmare certe orchestre: il Dj Polito Vega era un mio vicino di casa e gli davo io i miei dischi direttamente, al ché lui mi rispondeva “Guarda, io te li programmo ma questa gente potrebbe crearmi problemi perché mi tengono sott’occhio per danneggiarmi.” Ciononostante mi programmò The Godfather e un altro paio di pezzi.
Israel: Nessuno denunciò la Fania per queste pratiche?
Joey: Macché, la Fania si comprava tutti e tutti stavano zitti; per esempio, la Parnaso Records chiamava direttamente i Dj per protestare ma loro rispondevano che avevano già un sacco di musica e “non potevano certo metter tutto”: il risultato fu che la mia musica si diffuse di più in Venezuela, Argentina, Panama e Colombia che a New York.
Israel: Come venne in contatto con Ricardo Ray?
Joey: Stavo registrando un album economico per la Fonseca Records nello stesso periodo in cui stavano registrando Ricardo Ray, Bobby Cruz e Chivirico Dávila, quest’ultimo nel ruolo di lead vocalist perché per quei particolari brani Bobby Cruz non era ancora adatto (lo divenne poco dopo quell’esperienza); facemmo assieme le copertine dei nostri dischi e da allora restammo buoni amici.
Israel: Maestro, Herencia Latina pubblicò un’intervista al magnifico Chivirico Dávila in Cali, Colombia, dove affermò “Con Joey Pastrana io conobbi la gloria”: come ingaggiò Chivirico per il suo album The Real Thing – El Verdadero?
Joey: Lo conobbi quando lavorava per Ricardo Ray, poi cessò la collaborazione e andò a Chicago dove ebbe un serio alterco con suo figlio, della cui moglie si innamorò e con la quale scappò; il figlio lo cercava dappertutto per ammazzarlo quindi Chivirico decise di tornare a New York per sfuggirgli.
Una sera stavo lavorando al club Corso e pernottammo in una casa lì vicino che utilizzavamo per riposarci, allorché arrivò Chivirico, ci spiegò molto scosso la sua vicenda e ci disse che alloggiava lì vicino in un hotel; sotto il cappotto vestiva una camicia e sotto ancora un pigiama (Joey ride).
Gli offrii tre settimane di lavoro in studio per il mio imminente album da registrare; sulle prime rifiutò adducendo problemi di voce ma alla fine accettò perché necessitava denaro; registrammo così Pastrana Llegó (me lo cantò esattamente come volevo io, soprattutto nella splendida intro), poi The Real Thing e Campana: quest’ultimo brano era dedicato alla segretaria Juana del Dj Simphony Sid, eccellente persona di origini latine e giamaicane, brano finalizzato ad essere usato come sigla del suo programma radio. Tuttavia Tito Puente aveva già composto un Mambo per quel programma (Joey inizia a cantarlo) ma dopo la prima mezzora Sid metteva anche la mia, che era più afroide.
The Real Thing fu uno degli ultimi che feci con Cotique Records, l’ultimo fu Joey En Carnaval; quando morì il proprietario George Goldner gli eredi vollero vendere la discografica alla Fania Records e io dissi loro : “Con Fania non voglio lavorare.”
Israel: “Maestro, Lei ingaggiò Chivirico solo per l’album The Real Thing – El Verdadero per poi intraprendere ognuno le proprie strade?
Joey: Be’, Chivirico non era più in grado di cantare, quando lo portavo alle mie serate gli andava via la voce al primo set, e alla ripresa non cantava più; lui stesso mi confessò che non era in grado di cantar più di due brani, così me lo portai a Puerto Rico (dove quasi mi morì) insieme anche ad Héctor Lavoe…
Israel: Ossia che anche Lei invitò Héctor Lavoe nella sua banda?
Joey: Sì, Willie Colón lo aveva scaricato. Héctor Lavoe lo conoscevo prima che lui si unisse a Willie Colón, ed entrambi li conobbi alla spiaggia di Orchard nel Bronx dove suonavano, uno il trombone, l’altro cantando e suonando maracas. Mi divertivo con loro, all’epoca erano molto giovani.
Quando Willie Colón lo lasciò io gli chiesi: “Sarà dura per te adesso?” Ma lui tranquillo rispose: “No, ho un contratto con Fania Records per cui Willie non può incidere senza me né io senza la sua banda” per cui gli proposi di accompagnarmi a Puerto Rico spiegandogli che Chivirico non poteva sostenere una serata intera, accettando di fare il corista ed intervenendo all’occorrenza come lead vocalist (conosceva tutti i miei brani storici).
Israel: Héctor Lavoe faceva sia il corista che il lead vocalist?
Joey: Sì, entrambe le cose, ma quando lo venne a sapere la Fania, fecero le loro rimostranze e quell’esperienza fu interrotta. Come corista, partecipò ai miei due album A Comer e The Godfather.
Israel: A cosa s’ispirò Lei nel comporre Malambo?
Joey: Malambo fu scritta per i timbales (Joey intona il ritornello: “Me gusta los timbales pa’ gozar bembé”).
Israel: Il brano fu un successo a Puerto Rico e molti paesi latinoamericani, a tutt’oggi si può dire che è un classico della Salsa.
Joey: Sì, piacque molto a Puerto Rico, io lo composi per i miei antenati, le mie origini. Un altro classico della mia produzione è Riki Chi che ricordo sempre al mio pubblico cantando “Riki Chi, Oh No, No”.
Israel: All’epoca del Boogaloo quali bande le piacevano?
Joey: Mi piacevano Joe Cuba, Tony Pabón, Ricardo Ray, conobbi l’indio Cherokee, Doc Cheatam quando suonava al Metropol con Gene Krupa, poi Ralfy Pagán che era un cantante interessante ma più orientato verso la musica nordamericana.
Israel: Lei conobbe King Nando?
Joey: Caspita se lo conobbi! Viveva tra la 109a e la 110a strada dove suonava la chitarra e cantava. Fece un disco di successo a New York, “Fortuna”, che era romantico, come molti che uscirono in quell’epoca.
Israel: Perché la sua orchestra esce di scena a fine anni ottanta?
Joey: Pensa che nel ’93 organizzarono una celebrazione in cui mi diedero un premio alla carriera, in pratica mi consacrarono come leggenda della musica latina; lo stesso fecero con Jimmy Sabater, Willie Torres e altri: Marilyn Winters, un’ebrea americana, ex ballerina di Tito Rodríguez che non abbandonò mai l’ambiente latino, ideò l’evento e ci consegnò lei stessa i trofei.
Israel: Lei si allontanò dall’ambiente poco dopo questa premiazione?
Joey: No, a Pasqua ’98 suonai all’Hotel Condado Plaza a San Juan, Puerto Rico, e sporadicamente a New York.
Di fatto ne avevo un po’ abbastanza dell’ambiente, necessitavo una pausa, ero stanco di suonare; oltretutto il clima di New York non fece bene alla mia salute e mi trasferii in Florida: tuttavia ho delle canzoni pronte per una piccola banda qui in Florida e, sebbene non voglia esibirmi dal vivo, ho intenzione di incidere con loro.
Israel: Quando arrivò la Salsa Romantica Lei si tenne lontano da questa onda?
Joey: La Salsa Romantica ha le sue cose buone, ma non è il mio stile, io suono duro, mi piace che la gente avverta questo mio timbro; ha prodotto alcune cose belle, ma non mi inserii mai in quel circuito.
Israel: Quando si trasferì definitivamente in Florida?
Joey: nel 2004, a seguito dell’asma che contrassi nell’esercizio della mia attività di manutentore parchi, respirando il pulviscolo espulso dal tagliaerba; per sei mesi rimasi a letto con la polmonite; mi ritirai e seguii il consiglio di trasferirmi in uno stato con un clima più adatto per chi ha queste insufficienze respiratorie.
Israel: Le piace vivere qui in Florida?
Joey, Sì, il posto è bello e il clima di Fort Myers è simile a quello di Puerto Rico con una media di 21° centigradi; faccio esercizio fisico, compongo musica, scrivo testi, non bevo e non fumo.
Israel: Qual è l’album che le ha fruttato di più economicamente?
Joey: Joey En Carnavale che ha molti brani perfetti, anche se non so esprimere un ordine di preferenza, mi piaccion tutti.
Israel: Come si comportò la Cotique Records sia a livello di compensi che di libertà creativa?
Joey: Economicamente molto male perché a parte il compenso fisso stabilito per l’incisione non ho mai ricevuto alcuna royalty e sto cercando un legale per riappropriarmi di ciò che mi spetta, dato che le mie opere son state riprodotte e rivendute senza che io venissi minimamente coinvolto nei ricavi: stanno lucrando sulle mie opere d’ingegno, è una chiara violazione dei diritti d’autore.
Israel: In una intervista pubblicata su Herencia Latina i New Swing Sextet si lamentarono della stessa cosa, dischi riprodotti da altri ma senza nessun compenso per loro, uno scandalo in considerazione della ricchezza artistica prodotta da tutta una generazione di musicisti.
Joey: In molte parti del mondo vendono tuttora i miei dischi, per esempio in Venezuela, Colombia, New York, Spagna, Inghilterra, Puerto Rico, Panama ed altri, mentre io non ricevo nulla; anche altre bande furono ingannate come i Lebrón Brothers, Johnny Colón, New Swing Sextet e molti altri, mentre i proprietari della Cotique Records si arricchirono con le nostre produzioni: eppure anche noi musicisti invecchiamo e necessitiamo crearci una base economica per vivere quest’ultima tappa della nostra vita felicemente e dignitosamente.
Israel: Joe Quijano mi ha detto che Lei ha raccolto i suoi successi in un CD per metterli in vendita, può darci i dettagli di questa operazione?
Joey: Sì, ho stampato un CD autoprodotto quindi con i costi a mio carico, comprendente brani tutti composti da me, affinché nessun possa reclamarli come suoi, e son tutti registrati alla Società degli Autori; ora cerco un impresario che voglia occuparsi del lancio di questo CD in maniera che possa generare profitti.
Israel: Maestro, Lei è in buoni rapporti con Joe Quijano?
Joey: E’ un fratello per me, lo conosco da quando arrivai nel Bronx…
Israel: Le vostre orchestre suonarono mai assieme nelle stesse serate?
Joey: Sì, diverse volte, come al Bronx Casino (che ora è una chiesa), dove si esibirono bande come quelle di Tito Puente, Tito Rodríguez, la mia, quella di Joe Quijano, Eddie e Charlie Palmieri e Johnny El Bravo López.
Israel: Ha nuovi progetti, nuove sue composizioni da incidere?
Joey: Sì, penso di metter su una banda qui e di rimettermi a suonare.
Israel: Come arrivò al suono forte e crudo che caratterizzò la sua come molte altre bande newyorchesi della seconda metà anni ’60?
Joey: Di fatto all’epoca la gente voleva ballare, e per far sì che ciò accadesse bisognava suonare forte e duro; nel Barrio, se non avevi questa caratteristica, eran problemi per la banda, generava un passaparola negativo, per cui ognuno sentiva la necessità di suonare col diavolo addosso (ride): andar sul palco e non riuscire a far ballare la gente poteva rivelarsi fatale per la banda.
Israel: In quali relazioni è con Ismael Miranda?
Joey: Prima di lasciare New York per la Florida lo chiamai e mi disse che stava bene ed era ingrassato, cosa poco immaginabile per quel “magrolino” che possiamo ricordarci nella foto del nostro primo album; mi raccontò che adesso ha la faccia grande come un pallone!
Israel: Ha più cantato per Lei?
Joey: No, dopo il mio primo album, mai più perché andò con Larry Harlow; io non avevo molte serate e lui aveva il problema di sfuggire alla chiamata di leva per il Vietnam, cosa che gli riuscì lavorando molto per Larry Harlow: gli dissi “Non ti preoccupare, io ingaggerò Chombo in tua sostituzione”.
Israel: José “Chombo” Rodríguez vive sempre a Puerto Rico?
Joey: No, Joe Quijano mi ha detto che è scomparso, sembra per un attacco cardiaco, lo apprese dalla radio; era un bravo ragazzo, anche se talvolta faceva il matto.
Israel: Sa qualcosa dell’altro suo cantante, Carlos Santos?
Joey: Lui si trasferì ad Orlando, a quattro ore da qui.
Israel: Siete in contatto?
Joey: Sì, mi chiama sempre quando passa da queste parti; dovrei avere il suo numero da qualche parte ma non credo che conosca il mio nuovo numero dato che ho traslocato di recente. Certamente mio fratello minore ha il suo numero.
Israel: Chi, Willie Pastrana?
Joey: No, Tony, il più piccolo di noi tre.
Israel: E Willie che fa adesso?
Joey: Vive a New York e lavora per il municipio; al momento sta preparando un CD per la sua orchestra attuale, intende lanciarlo nel 2006.
Israel: Quanti figli ha Lei?
Joey: Una figlia e un figlio.
Israel: Lei è nonno?
Joey: Caspita, sì, ho una nipote di 14 anni.
Israel: I suoi figli amano la musica?
Joey: No, non mi sono usciti musicisti! Miguel suona un po’ la conga ma non a livello da musicista.
Israel: Lei vive con sua moglie?
Joey: No, divorziai circa cinque anni fa quando mi ammalai, vivo qui da solo e ho un po’ di amiche che mi vengono a trovare (ride) ma ci sto attento, perché a portarle a cena son spese (ride).
Israel: La sua ex moglie è cantante?
Joey: No, mi aiutava nella parte grafica e nelle note degli album, si chiama Dana Torres.
Israel: E’ portoricana?
Joey: No, ebrea americana
Israel: Se le dovessero chiedere di radunare la banda di Joey Pastrana, quali integranti sceglierebbe?
Joey: Adesso?
Israel: Sì.
Joey: E come potrei farlo, se nemmeno so dove vivono i miei ex colleghi?
Israel: E allora, proviamo ad immaginarla.
Joey: Ok, me la immagino con Tito Rodríguez come lead vocalist, Mongo Santamaria alle congas, Chiky Pérez (ex integrante della banda di Tito Puente e che lavorò nel mio primo album) al bongó, Puchy (altro mio ex integrante), Angel Rodríguez e Larry Spencer alle trombe, Jack Hitchcok e Barry Rogers ai tromboni infine Bobby Rodríguez (altro ex integrante di Tito Puente) al basso.
Israel: Quali sono le sue bande preferite?
Joey: Machito, Tito Rodríguez, Tito Puente (amavo le big bands, ma durante la mia epoca non c’era lavoro per questo formato orchestrale), Pérez Prado, Charlie ed Eddie Palmieri, Ricardo Ray, Joe Quijano y su Orquesta Cachana e Joe Cuba.
Israel: E tra le orchestre cubane?
Joey: Chapotín, Orquesta Casino de la Playa, Aragón, Fajardo y sus Estrellas (con cui spesso condividevo le serate), Lou Pérez… Mi piace Patato Valdés.
Ti racconto un aneddoto su Patato, stavo suonando congas nel Bronx e gli dico “Son già le 18, devo andare perché domani sera parto per la California” e lui col suo gergo (Joey lo imita) “Va bene, ci vediamo”; il giorno dopo arriviamo al locale e iniziamo a suonare quando all’improvviso entra Patato Valdés e gli chiedo sorpreso “Che ci fai qui?” e lui “Io te l’ho detto che sarei venuto qui, sei tu che non hai capito!”: due giorni dopo me lo rivedo in un locale in Florida e … terminammo la tournée incontrandoci anche a Puerto Rico!
Israel: E tra le orchestre portoricane?
Joey: Cortijo e Ismael Rivera, ho una foto insieme a loro due e Kako, Santos Colón e Azuquita: te la cedo.
Sapevi che avevo scritto due brani a Cortijo? Aguacero e Oriza. Tra le tante volte che viaggiai a Puerto Rico mi capitò di incontrare Cortijo senza Ismael per cui gli chiesi dove fosse, e lui mi rispose che si era nascosto a Panama (era ricercato dalla polizia); recandomi a Panama per la tournée ho chiesto di lui a un nostro fan che ci condusse a un vecchio hotel dove una vecchietta si staccò un attimo dai fornelli per andarmelo a chiamare: Ismael mi abbracciò fortissimo, mi disse che stava bene e parlammo fino a notte inoltrata.
Quando tornai a Puerto Rico riferii l’episodio a Cortijo e i dettagli del suo indirizzo; quando Ismael risolse i suoi problemi con la legge me lo ritrovo nel Bronx con la sua banda offrendomi di presenziare alla sua registrazione, dopodiché chiacchierammo cinque ore: lui mi chiamava “Pastranita”.
Israel: Pastrana è un nome portoricano?
Joey: No, siamo in pochi ad averlo lì.
Israel: Penso sia più sudamericano, per esempio in Colombia elessero due presidenti con quel nome…. Stranamente erano padre e figlio (ridono)!
Joey: A Cuba ci son molti Pastrana, mi dissero che ha origini spagnole ed arrivò a Puerto Rico passando da Cuba; un’altra cosa che mi raccontarono fu che fosse relazionato con la Casa Reale Spagnola, nello specifico i loro cuochi si chiamavano così: non saprei, a mio padre e a molti miei zii comunque piace cucinare, e a Puerto Rico c’è un ristorante con quel nome, credo a Santurce..
Israel: Dei paesi in cui ha vissuto quale le è piaciuto di più?
Joey: Puerto Rico, perché la gente ama ballare e perché è la mia isola, ma mi è piaciuto anche il Panama e mi sorprese pure l’isola di Saint Thomas perché nonostante la sua popolazione fosse di discendenza inglese o africana, apprezzavano la musica latina.
Israel: Joey, a St. Thomas (British Virgin Islands) si stabilirono molti portoricani dell’isola di Vieques e si ascolta molto la radio portoricana.
Joey: Sì, me lo avevan detto in occasione dei miei tre concerti nell’isola.
Israel: Ha saputo che la sua musica si sta ascoltando in Francia, Inghilterra, Italia e Spagna?
Joey: Sì, la cosa mi ha sorpreso e ribadisco che non ricevo un centesimo da queste vendite (ride), dovrebbero pagarmi un tot sulle vendite e sui passaggi in radio, ma ciò succede solo con la BMI con cui mi associai fin dalla mia prima incisione e che tuttora mi manda un resoconto trimestrale sui miei compensi riguardanti il Giappone, la Spagna, l’Argentina e altri paesi.
Israel: Lei vive solo con la pensione?
Joey: Esatto.
Israel: Le due coriste quando smisero di cantare?
Joey: Quando cessò la collaborazione con Cotique Records; non fu facile continuare con la musica latina così si diedero al Rock.
Israel: Ci racconti del Boogaloo che compose per Machito.
Joey: Con Machito era diverso, perché quando la sua discografica non gli rinnovò il contratto rimase senza lavoro, così George Goldner della Cotique Records decise di ingaggiarlo a patto che io mi inventassi un Boogaloo per lui, cosa che non aveva mai avuto nel suo repertorio.
Andai a casa, ci pensai molto fino a ricordarmi che avevo già un brano fatto, ed era adatto a Machito, così andai da Mario Bauzá e gli diedi Ahora Sí, per dargli un’idea di come fosse un Boogaloo.
Ne scrissi uno anche per Graciela, ma con arie più da Mambo; Mario Bauzá disse a Machito “Facciamolo, dai, dai!” e il giorno stesso li aveva arrangiati entrambi; m’invito a tornare l’indomani per sentirli suonati, cosa che mi meravigliò per la velocità.
Il giorno dopo, alle prove, Bauzá mi sorprese per il lavoro fatto e Machito e Graciela mi misero come arrangiatore nei crediti della canzone; i brani furono lanciati e divennero subito dei successi in tutta New York, causandomi anche qualche problema con Tito Puente che non gradiva che uno della sua generazione se ne uscisse con un Boogaloo: di fatto, poi, non erano ritmicamente dei Boogaloo bensì della Guarachas col cantato allo stile Boogaloo.
Un giorno incontrai il figlio di Machito dicendomi che mi “odiava”, e quando gli chiesi il perché rispose “Il Boogaloo che hai scritto per mio padre me lo chiedono in tutto il mondo, Ahora Sí!”
Ho incluso anche questo brano nella raccolta dei miei successi.
Israel: Maestro, chi la spinse a stampare questo CD?
Joey: Tina Roppe, una gran donna che mi ha aiutato molto qui a Fort Myers.
Israel: Grazie Maestro.
VIVA PASTRANA!
Intervista di Israel Sánchez-Coll a Joey Pastrana (Maggio 2006) per www.herencialatina.com
Israel Sánchez-Coll Fort Myers, Florida, Dicembre 2006
Antonio Ramón Hernández Príncipe, è un uomo poco conosciuto al di fuori del suo stretto contesto. Nonostante ciò, diventa uno dei più splendenti musicisti popolari e di maggior importanza quando l’espressione della musica ballabile cerca i propri percorsi, tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta. É l’epoca dell’affermazione definitiva della salsa come genere, il periodo delle grandi orchestre e dei modesti sestetti, caratterizzati da magnifiche sonorità e presenza scenica, grazie alla qualità dei componenti. Alcuni esempi: il sestetto di Joe Cuba, il sestetto Ambaé, il sestetto Yurbistein, il Sexteto Juventud e la formazione capitanata dal nostro amico, Príncipe y su Sexteto.
Príncipe proviene dalla regione Portuguesa, nato a Guanare il 9 Gennaio del 1948; ancora piccolo, la sua famiglia si trasferisce a Caracas e si stabilisce nell’affollata Parrocchia di Caricuao. Qui frequenta le scuole e familiarizza con le sonorità che lo avrebbero portato successivamente verso i sentieri della musica. E’ il 1967 quando assume il cognome materno, forse a causa dei due significati che esso rappresenta: da una parte la provenienza famigliare e dall’altra la relazione facilmente utilizzabile dal mezzo pubblicitario a fini promozionali, quindi presenta il suo gruppo musicale come Príncipe y su Sexteto.
É così che Príncipe con la sua tumbadora crea un trabuco con José de los Santos Rada (Kiko), eccellente vocalist e compositore, Carlos Kírico come bolerista e prima voce nei cori, Jesús Cordero (Pillí) al basso, Reinaldo Azocar come timbalero, ai bongò Enrique Ruiz ed alla chitarra Chelino Agüero; insieme provano, creano un repertorio ed iniziano a fare concerti. Nel 1968 escono con il loro primo lavoro discografico, un singolo con “Salsa de Guaguancò”, creazione di Príncipe, ed il retro con un tema di Kiko, “Violeta”. Di questo lavoro, in tempi record, vende più di cento mila copie e vince il suo primo Disco d’Oro, che riceve dalle mani del comico Joselo, in una cerimonia celebrata nel canale 8 della televisione venezuelana. Príncipe y su Sexteto esplodono e da subito i confini della patria gli rimangono stretti. Ventisette paesi mettono a disposizione i più prestigiosi scenari per presentare il gruppo venezuelano che addirittura approda al continente Europeo e presenta la sua musica in Spagna. É la prima volta che un gruppo di musica popolare ballabile venezuelana riesce a compiere il grande salto.
Quel giovanotto che “ammazzava tigri” a Caracas, che era molto richiesto per registrazioni e che aveva accompagnato Julio Jaramillo, Marco Antonio Muñiz e Tulio Enrique León, tra gli altri, adesso si presenta nella città di New York al fianco di Johnny Pacheco, Celia Cruz, i fratelli Palmieri, Joe Cuba e di altri astri della musica latina. In Colombia, Príncipe y su Sexteto, raggiungono un successo senza precedenti; Bogotà, Cali ed altre città reclamano, per le celebrazioni del carnevale e per ben sette anni consecutivi, la presenza di Príncipe y su Sexteto. Ed è proprio nel paese fratello che riceve un altro dei suoi più importanti premi della carriera: il Disco di Platino.
I carnevali in Venezuela, godono ancora di buona reputazione, ed oltre ai posti esclusivi dove poter ballare, ci si diverte anche nell’ambiente popolare, con grandi balli nelle piazze pubbliche, che fanno da scenario tanto alle grandi orchestre che visitano il Venezuela, quanto ai gruppi nazionali. I carnevali in Piazza Venezuela sono rinomati. Proprio in quella piazza Príncipe ha realizzato uno dei suoi più agognati sogni, affiancarsi agli idoli di sempre: Dámaso Pérez Prado e Richie Ray.
Príncipe y su Sexteto diventano i pezzi forti dell’etichetta discografica El Disco de Moda; i suoi manager propongono una collaborazione con il Sexteto Juventud, gruppo appartenente all’etichetta rivale, El Palacio de la Música. Il confronto avviene in una celebre sala da ballo nella strada San Martín di Caracas chiamata El Palacio del Baile. L’evento è una vera apoteosi per i ballerini e per i seguaci di quello stile musicale.
Príncipe y su Sexteto sperimentano ciò che è già comune nei gruppi musicali, l’entrata ed uscita di elementi nel gruppo, e così nell’anno 1972 entra nel gruppo lo straordinario sonero venezuelano Orlando José Castillo “Watussi” che registra in un 45 giri il pezzo “Hola Ocumare” di Príncipe, ed il bolero “Te amaré y te olvidaré” del chitarrista Francisco Rivero. Da sottolineare come questa sia la prima registrazione professionale di Watussi.
I 4 Lps registrati da Príncipe tra gli anni 1968 e 1972.
Il 1974 è l’anno cruciale per Príncipe. L’unità del gruppo viene meno, i musicisti abbandonano l’orchestra in cerca di altre strade, ma il leader tenta di resistere, e nonostante ciò compie uno scivolone, “di quelli che chiunque compie nella vita”, e definitivamente, dopo sette anni di duro lavoro e tanti successi, il gruppo scompare; escono dalle scene Príncipe y su Sexteto.
Ma Príncipe, che è sempre stato un lottatore, si risolleva e continua nella musica. Si reca alle Valles del Tuy e si insedia ad Ocumare. Il suo fiuto lo conduce alle dipendenze del purtroppo scomparso Augusto Gutierrez, che aveva creato all’epoca un Sonero. Príncipe entra nel gruppo e lo ribattezza “Sexteto Típico Venezolano“. Con loro passa ben sette anni e li abbandona solo per prendere posto alla “Sonora Sabor de Ayer“, con cui fa musica matancera e riesce ad alternarsi con la celebre Orchestra Aragón di Cuba.
Príncipe con el Sexteto Típico Venezolano
Príncipe partecipa e collabora alla prima registrazione della Sonora Sabor de Ayer, incidendo quattro pezzi, tuttavia questa produzione non esce per la vendita professionale ma solo come materiale promozionale per poter vendere l’orchestra agli impresari. In seguito, nel 1998, l’organizzazione sceglie di fare a meno dei servizi di Antonio Príncipe nell’orchestra, decisione che lo rattrista molto perché, nonostante fosse un salsero era anche un grande amante della musica matancera.
Nello stesso anno, 1998, Antonio Príncipe si sveglia un giorno con il sogno di mettere su un’orchestra e la forma proprio così come l’aveva sognata: tre tromboni, un flauto, percussioni, piano, basso ed un cantante di nome Jesús Enrique Álvarez, e così iniziano le danze con temi di Palmieri, Grupo Libre, El Gran Combo, Dimensión Latina ed altri.
Da un concerto nella città di Charallave viene addirittura ricavato un CD, registrato negli Studi di Jeraul Sánchez.
Il 30 Maggio del 1998 gli consegnano il premio “Tuy de Oro”, per mano del Sig. Antonio Rondon del Sindacato R.T.V.
Ad oggi, l’ultima orchestra di Príncipe conta già nove anni dalla fondazione. Sono stati introdotti cambiamenti ai suoni oltre ad aver composto brani originali di Antonio Príncipe.
Mostra per il 38° Anniversario di Vita Artistica di Antonio Príncipe: Biblioteca dell’Edificio Santa Rosa, Ocumare del Tuy.
Per tutti gi appassionati, Antonio Príncipe sta per compiere i 40 anni di carriera musicale e sta ancora lavorando sodo con la sua orchestra, con la Fundación del Músico delle Valles del Tuy e come archivista del Registro Civile del Dipartimento Lander nelle Valles del Tuy.
Príncipe y su Sexteto Antonio Ramón Hernández Príncipe, es un hombre con poca resonancia fuera de su entorno íntimo. Sin embargo, es el apelativo de uno de los más refulgentes músicos populares y de mayor entidad cuando la expresión bailable buscaba sus propios derroteros a finales de la década de los sesenta y comienzo de los setenta. Era la época del asentamiento definitivo de la salsa como género, tiempo de las grandes orquestas y de los modestos sextetos, de magnifica sonoridad y presencia, lograda a base de calidad de los integrantes. El sexteto de Joe Cuba, El sexteto Ambaé, El sexteto Yurbistein, El Sexteto Juventud y la Organización liderada por nuestro amigo, Príncipe y su Sexteto.
Príncipe viene del Estado Portuguesa, nació en Guanare el 9 de Enero de 1948, aún infante, su familia se traslada a Caracas y se asientan en la populosa Parroquia de Caricuao. Allí hizo su escolaridad y se familiarizó con los sonidos que lo conducirían más tarde por los senderos de la música. Es en 1967 cuando asume el apellido materno, quizá, por las dos vertientes que presenta: por una parte la condición filial y por otra la relación, fácilmente aprovechable por el medio publicitario para efectos de mercado y presenta su agrupación musical como Príncipe y su sexteto.
Príncipe con su tumbadora armó un trabuco con José de los Santos Rada (Kiko), excelente vocalista y compositor, Carlos Kírico como bolerista y primera voz en los coros, Jesús Cordero (Pillí) al bajo, Reinaldo Azocar como timbalero, en el bongo Enrique Ruiz y la guitarra de Chelino Agüero, ensayaron, montaron repertorio y comenzaron las presentaciones. Para 1968 sacan su primer trabajo discográfico un sencillo con Salsa de Guaguanco, inspiración de Príncipe y el respaldo con un tema de Kiko, “Violeta”. De este trabajo, en tiempo record, vende mas de cien mil copias y gana su Primer disco de Oro que recibe de manos del cómico Joselo en acto celebrado en el canal 8 de televisión. Príncipe y su Sexteto se catapulta y ya los limites de la patria le quedan estrechos. Veintisiete países presentan su más prestigiosos escenarios para presentar el grupo venezolano que incluso ganó la hazaña de pasar al continente Europeo y presentar su música y su espectáculo en España. La primera vez que una agrupación de música popular bailable venezolana logró el gran salto fue Príncipe y Su Sexteto.
Aquel joven que “mataba tigres” en Caracas que era muy solicitado para grabaciones y que acompaño a Julio Jaramillo, a Marco Antonio Muñiz y a Tulio Enrique León entre otros; ahora se presentaba en la ciudad de New York alternado con Jhonny Pacheco, Celia Cruz, Los hermanos Palmieri, Joe Cuba y otras luminarias de la música latina. En Colombia Príncipe y su Sexteto alcanza un éxito sin precedentes, Bogota, Cali y otras ciudades reclamaron, para sus celebraciones carnestolendas, hasta por siete años de manera consecutiva la presencia de Príncipe y su Sexteto. En el país hermano, recibió otro de los importantes galardones de su carrera: el Disco de Platino.
Los carnavales en Venezuela, todavía gozaban de buena reputación y además de los bailaderos exclusivos, también se disfrutaba en el ambiente popular con grandes bailes en las plazas públicas que servían de escenario para las grandes orquestas que nos visitaban para la época, así como para las agrupaciones nacionales. Los carnavales en la Plaza Venezuela eran célebres. Allí cumplió Príncipe uno de sus más queridos anhelos: alternar con sus ídolos de siempre Dámaso Pérez Prado y Richie Ray.
Príncipe y su sexteto eran piezas claves del sello disquero El Disco de Moda, sus promotores plantearon un mano a mano con el Sexteto Juventud, elementos del sello de la competencia El Palacio de la Música. La confrontación de produjo en un celebre bailadero de la avenida San Martín de Caracas llamado el Palacio del Baile. El evento constituyo una verdadera apoteosis entre los bailadores y seguidores de este estilo musical.
Príncipe y su Sexteto experimenta lo que es ya común en los grupos musicales, salen unos y entran otros, así en el año 1972 se incorpora el extraordinario sonero venezolano Orlando José Castillo “Watussi”quien apuntala al conjunto y graba en un 45 rpm el tema “Hola Ocumare” de Príncipe y el bolero “Te amaré y te olvidaré” del guitarrista Francisco Rivero. Es de hacer notar que está es la primera grabación profesional de Watussi.
Los 4 Lps grabados por Príncipe entre los años 1968 y 1972
En 1974 es el año fatídico para Príncipe. La unidad del grupo se resquebrajó, se disgregaron los músicos en busca de otros caminos, pero el Líder trató de subsistir, mas, los embates del destino son impostergables, Príncipe se da un resbalón, “de los que cualquiera da en la vida” y, definitivamente, siete años de dura pero exitosa labor se viene al traste; sale de la palestra Príncipe y su Sexteto.
Príncipe siempre ha sido luchador, se levanta y continua en la música. Viene a los Valles del Tuy y sienta plaza en Ocumare. El olfato lo lleva a los predios del lamentablemente fallecido Augusto Gutierrez que tenia armado un Sonero. Príncipe entra y lo bautiza como “Sexteto Típico Venezolano”. Con ellos pasa siete años y sale para integrarse a la “Sonora Sabor de Ayer”; hace música matancera con la cual lográn alternar hasta con la celebre Orquesta Aragón de Cuba.
Príncipe con el Sexteto Típico Venezolano
Príncipe participa y colabora en la primera grabación de la Sonora Sabor de Ayer, grabando en aquel entonces cuatro temas, pero dicha producción no salió a la venta profesional, quedando solo como material productivo para vender la orquesta a los empresarios. Después en el año 1998 la organización opta por prescindir de los servicios de Antonio Príncipe en la orquesta, cuya separación de la cooperativa fue muy sentimental ya que Príncipe a pesar de ser salsero también ha sido un gran amante de la música matancera.
En el mismo año 1998, un día cualquiera Antonio Príncipe, despierta con un sueño de hacer una orquesta y la ensambla tal y como lo soñó; tres trombones, una flauta, percusión, piano, bajo y un cantante llamado Jesús Enrique Álvarez, y así comienzan los bailes con temas de Palmieri, Grupo Libre, El Gran Combo, Dimensión Latina y otros.
En una actuación en la población de Charallave realizan un concierto que quedó plasmado en un CD, grabado en los Estudios de Jeraul Sánchez.
El 30 de Mayo del año 1998 le hacen entrega del premio “Tuy de Oro”, elaborado por el Sr. Antonio Rondon del Sindicato R.T.V.
La Orquesta de Príncipe ya tiene ocho años de fundada y le han introducido un cambio de sonido, además de montar temas originales de Antonio Príncipe.
Exposición 38 Aniversario de Vida Artística de Antonio Príncipe
Biblioteca del Edf. Sta Rosa, Ocumare del Tuy.
Para información de todos sus seguidores Antonio Príncipe esta por cumplir los 40 años de vida musical y se encuentra trabajando arduamente con su orquesta, con la Fundación del Músico de los Valles del Tuy y como archivista del Registro Civil del Dto. Lander en los Valles del Tuy.
“¡Señores qué pachanga!..¡Me voy pa’ la Pachanga!…¡Señores qué Pachanga!…¡Me voy pa’ la Pachanga!” Eduardo Davidson.
Questo interessante articolo sull’origine della pachanga fu pubblicato dalla rivista Nuestra Historia de “El Diario La Prensa” di New York. Si tratta di alcune dichiarazioni fatte da Arsenio Rodríguez e pubblicate il 30 aprile 1961. (Herencia Latina)
C’è un nuovo ritmo a New York che sta facendo impazzire gli amanti del ballo. La pachanga, il movimentato ritmo i cui fedeli interpreti sono oggi due giovani direttori di orchestra – Charlie Palmieri e Johnny Pacheco – , rispettivamente portoricano e dominicano.
La pachanga ha trasformato questa città ed ha fatto impazzire migliaia di persone che si sono sentite attratte da un ritmo così coinvolgente. Quello che è cominciato come un ballo “da pazzi” in meno di due anni si è propagato in tutti i locali notturni della città fino a contagiare gli amanti della musica brava.
Già non si sentono più frasi come “Andiamo a rumbear” oppure “si va a mambear”. Ora tutti vanno a pachanguear, i giovani, gli adulti e i bambini. Si balla la pachanga nelle feste famigliari del Barrio e di Long Island, del Bronx e di Manhattan, come anche in tutti i club notturni della città, dal più umile al più elegante.
Origine
C’è una discordanza di idee sull’origine di questo movimento. Senza dubbio i più autorevoli direttori d’orchestra della città, tra cui il popolare Machito Juanucho López, Belisario López e Fran Ugarte, concordano che la pachanga è una combinazione di ritmi provenienti dal merengue, dal son montuno, dal mambo e dagli altri ritmi tropicali più movimentati.
Di una cosa sono tutti sicuri, che lo stile col quale i giovani newyorkini ballano la pachanga è originale del Bronx. Il brinquito (passo, ndr) tipico della pachanga non è stato importato da nessun paese. Ha avuto origine qui.
Secondo le ricerche che abbiamo fatto, tutto pare indicare che il ritmo che sta causando furore in città, nacque qui dalle orchestre di Fajardo e di Aragon, le quali giunsero in questa città nel 1959. Queste orchestre introdussero il ritmo ma non prese subito piede.
I Re della Pachanga.
Nel teatro Puerto Rico del Bronx, venerdì 12 maggio del 1961 si celebrerà “La Prensa’s Pachanga Nite” per presentare le coppie che si contenderanno lo scettro de “I Re della Pachanga”. I partecipanti a questa serata avranno la possibilità di vedere le coppie in azione e di sentire questo ritmo interpretato dai massimi esponenti.
“¡Señores qué pachanga!..¡Me voy pa’ la Pachanga!…¡Señores qué Pachanga!…¡Me voy pa’ la Pachanga!”
Così ripete il coro di una delle pachangas più popolari del momento, e così ripete il coro nella Gran Pachanga (festa tipica, ndr) che ha causato la serie di articoli che “La Stampa” ha cominciato a pubblicare da domenica (2 aprile del 1961), firmati da José Torres Citrón.
Gli articoli si sviluppano attorno ad una serie di ricerche realizzate da Torres Citrón e ciò che ne viene fuori riguardo a questo ritmo ed a questo ballo così popolare in questi giorni sono stati dettagli trascurati da chi, pur animato dalle migliori intenzioni, ha creduto di conoscere la realtà sulla pachanga. Ma si dà il caso che qui venga intervistato il grande musicista cubano formidabile autore di musica popolare, quella dei ritmi calienti, sonero veterano, uno degli uomini cui è stato attribuito il titolo di “Re del Ritmo”, l’unico Arsenio Rodriguez il quale spiega dettagliatamente come la pachanga sia nativa ed abbia la sua culla nei campi dell’indomito Oriente (Santiago di Cuba).
“La storia torna a ripetersi. Mi hanno tolto il mambo e adesso vogliono levarmi il montuno”, afferma Arsenio. “ Però, prima di entrare nelle spiegazioni della verità sulla pachanga, lasciatemi chiarire che non ho nulla contro Charlie Palmieri, né contro Pacheco (che sono segnalati come i più importanti con le loro rispettive orchestre per i ritmi pachangueros). Entrambi hanno la mia stima. Con questo resta inteso che il mio unico obbiettivo è quello di segnalare dettagli importanti sul ritmo chiamato pachanga.”
“La pachanga – dichiara Arsenio – nasce a Cuba. Ha la sua culla a Santiago di Cuba. Un saggio una volta disse: ‘A questo mondo nulla scompare, tutto ritorna al suo posto’. Questo ritmo che oggi si riconosce come pachanga è nato in Oriente, in una località chiamata El Pilón. All’inizio si chiamava chivo (“capra”).
Si suonava con un tres, le cui corde erano di interiora di juntia, che si mettevano ad essiccare e poi venivano utilizzate per il tres. Una latta di carburante fungeva da bongó o tumbadora; un tino con un cavo ad uno dei lati faceva le veci del contrabbasso (si colpiva) e due pezzi di legno che furono chiamati claves erano gli strumenti originali per eseguire quella che oggi chiamiamo pachanga”.
“I primi chivos che furono suonati – continua Arsenio – , dicevano: ‘Yo no como corazón de chivo camará, porque el chivo me indigesta el buche’… oppure: ‘La pisé, la pisé, la pisé, mamamá’, ‘Compay contunto que te coge el día’. Questi versetti erano cantati dalla prima voce, quasi sempre quello che suonava il tres, mentre i ballerini facevano il coro”.
Arsenio Rodriguez però dice che il merengue non smette mai di avere una piccola influenza nella pachanga originale, e spiega: “Nelle colonie per la raccolta della canna di Cuba – in particolare là nella provincia orientale – si riunivano molti Haitiani, Giamaicani, Portoricani, uomini di lavoro che venivano a Cuba per il taglio della canna durante il raccolto. Per nessuno è un segreto che il merengue nasce da un ritmo haitiano giunto a Santo Domingo”.
“Il chivo originale prese a volte il nome di “Capetillo”, altre di son montuno ed oggi si chiama pachanga. La pachanga – assicura Arsenio – è una composizione musicale ballabile, composta di son montuno e zapateo cubano (danza folklorica basata sul battito dei piedi, ndr). Dal momento che la maggior parte dei giovani a New York è portoricana, così posso dire che il chivo se fosse suonato là a Puerto Rico, sarebbe il seis chorreao (ballo di coppia tipico dei campesinos portoricani, molto veloce, ndr)”.
“La miglior dimostrazione che la pachanga sarebbe il seis chorreao di Puerto Rico l’abbiamo nelle interpretazioni di ballo. E’ un ritmo che va nel sangue ed i Portoricani lo interpretano per intuizione, eseguendo una combinazione di zapateo cubano e son montuno”.
“Non è meno certo – prosegue Rodriguez – che la prima pachanga composta è legata al merengue, come ho già detto in precedenza. Il testo di questa pachanga dice: ‘Señores qué Pachanga, me voy pa’ la Pachanga’ secondo un modello molto simile al merengue. ‘A la Rigola yo no vuelvo más’ ha un ritmo simile. Questa somiglianza fra la pachanga ed il merengue è stata la causa dell’accoramento di Pacheco, divenuto un magnifico interprete di questo ritmo cubano proveniente dal chivo e dal son montuno che oggi è diventato così famoso a New York”.
“Subito ci si è allontanati da questa prima pachanga e si è arrivati alla sua origine, il chivo ed il son montuno”. Questi pezzi lo confermano: ‘Dile a Malcolina que te toque el guiro’ è una copia di ‘Dile a Catalina que te compre un guayo’, solo con un paio di note cambiate. Óyeme Mulata è lo stesso son montuno di Cangrejo Fue A Estudiar. ASCOLTA
Tra i sones montunos di Arsenio abbiamo: ‘El reloj de la pastora’, ‘Se acabó los guapos en Yateras’, ‘Dame un chachito para guele’, ‘Tocoloro pájaro que nunca vuela’ e ‘Yo no engaño a las nenas’.“In questi sones montunos, oltre agli strumenti già citati dei conjuntos, vengono affiancati il flauto ed un violino e nasce la pachanga.”
Fu Arsenio Rodriguez a portare il son montuno a New York. Arsenio arriva nel 1927 dalla Playa de Marianao, a La Habana, per imporre questo ritmo. “Ciò che un tempo si chiamava capetillo, venne rinominato mambo, più tardi cha-cha ed ora, stanchi di tanti accordi dissonanti con la possibilità di sentire altri ritmi, hanno trasformato quello che si chiamava chivo con meno armonizzazioni rispetto al son montuno: la qual cosa è stata la mia grande caratteristica come interprete”. “Quando lo chiamai mambo lo ha adottato Pérez Prado e quando sono tornato a chiamarlo son montuno, hanno aggiunto flauto e violino. E’ stato ripreso da Fayardo e Argon ed ultimamente da Palmieri e Pacheco, e tutto questo nel Bronx. ¡Qué cosas tiene la Pachanga!”
“E per concludere dirò – dopo aver chiesto perdono per l’immodestia – che io, Arsenio Rodriguez, sono stato il padre della creatura ora chiamata pachanga.”
Quando il reporter si congeda da Arsenio, dopo aver sentito la sua relazione sul chivo, il capetillo ed il son montuno convertito in mambo e più tardi in cha-cha, ai nostri orecchi rimangono come un’eco la musica e le parole di: “¡Señores qué Pachanga!…Me voy pa’ la Pachanga!…¡Señores que Pachanga!…¡Me voy pa’ la Pachanga!”.
Hector Juan Perez nasce a Ponce1 una città di Portorico, il 30 settembre 1946 e nel seno di una numerosa famiglia che sconfisse la povertà grazie al loro talento musicale. Sua madre Francisca Martina de Perez cantava nelle feste patronali e ai funerali, suo padre Luis Perez era un conosciuto direttore musicale. Hector Perez conobbe la fatalità e la sensazione d’abbandono sin dai suoi primi anni, un segno che lo accompagnerà in ogni passo della sua vita. Sua madre, Francisca de Perez, muore a seguito di una strana malattia respiratoria.
Priscila Perez sorella del cantante dice: “Nostra madre morì che noi eravamo tutti piccoli, all’incirca quando io avevo 7 anni, allora quando lei morì mi mandarono con mio padre mentre il mio patrigno si occupò degli altri e si prese cura di Hector.”
Suo padre si converte allora in suo mentore e, seguendo l’inclinazione musicale della famiglia, decide di iscriverlo all’accademia musicale Juan Morel Campos.
Priscila segue: “Quello che succedeva era che a volte andava e altre no e diceva a papà che andava, lui sempre raccontava storie però io lo so perchè lui non andava, andava solo quando voleva.” (ride)
Hector non era un bambino che seguiva le regole, per questo cambiò la formazione musicale classica per imitare le figure della musica popolare portoricana, come Chuito el de Bayamon.
(DON) Tite Curet racconta: “C’èra qualcosa in lui che ricordava un Jibaro, (ndr: cioè un contadino Portoricano), praticamente cantava come “Chuito El De Bayamón“, anche la bocca aveva la stessa impostazione di quella di Chuito, non so come riuscisse a farlo, quello che so è che lui in quest’ aspetto ebbe un trionfo che mai più si sarebbe ottenuto in radio, mai più nella vita.”
Priscila continua: “Lui cantava nelle feste della scuola, lui sempre cantava, mi ricordo che aveva circa 12 anni venne a casa e disse: sto provando! Ed io: che stai provando? E rispose: Campanitas de cristal perchè canterò alla festa della scuola… e si mise a cantarmi Campanitas de cristal“.
La sua determinazione lo portò a formare una sua banda di 10 componenti quando aveva solo 14 anni, allora suonava con i suoi amici nei locali notturni di Ponce.
Papo Lucca racconta: “Il venerdì c’era sempre un programma a scuola dove si presentavano talenti, di teatro, cantanti, musicisti di piano, conga, qualsiasi cosa e lì si presentò ed io lo accompagnai per la prima volta e da lì andammo ad un programma in televisione per gareggiare, allora accadde che io mi sbagliai, gli diedi un tono molto alto e a lui uscì una stecca e non vinse, quindi quando uscimmo da lì il papà di Hector ci regalò un uovo, invece dell’uovo d’oro voi avete vinto questo!”
Priscila: “Quando aveva 12 anni cantò in televisione e Felipe Rodriguez, che riposi in pace, gli diede la mano e disse tu sarai una futura stella, sarai grande.”
L’approvazione del pubblico fu immediata, subito furono accattivati dalla voce di quell’adolescente che delirava al ritmo della musica popolare portoricana. Guadagnare 18 dollari a notte era troppo per un giovane che non aveva nemmeno terminato gli studi basilari. In mezzo alle tentazioni della notte Hector conobbe la controparte della pericolosa doppietta che lo accompagnò per tutta la vita: il successo e la tragedia.
Fine prima parte.
Note: 1 Precisamente in Calle Belgica, Ponce, Puerto Rico.(N.d.T.)
La video biografia di Hector Lavoe
Parte 2 di 6
Traduzione a cura di Paola “Calle Luna” Sampaolo
Hector era deciso ad essere il miglior cantante del mondo, adesso la sua meta era New York, la capitale musicale del momento. Però il principale ostacolo proviene proprio da New York, suo fratello, che era andato precedentemente lì a cercare fortuna, muore a causa delle droghe.
Priscila: “Quando aveva 16 anni se ne andò a New York. Il patrigno non era d’accordo siccome l’altro mio fratello era morto in un incidente, lui temeva che gli accadesse lo stesso, che si rovinasse o gli accadesse qualsiasi cosa là quindi si opponeva però lui venne a vivere con me a New York e rimase con me finché si sposò e fortunatamente gli andò bene nella musica.”
Contro tutte le censure di suo padre che vedeva New York come un luogo di mal auspicio, Hector Perez arriva nella grande mela il 3 maggio 1963 a soli 17 anni. E’ l’epoca del sesso libero, delle droghe, del rock n’ roll e della violenza. Nel mezzo di questo turbinìo di conflitti, Hector cominciava ad aprirsi il campo nell’ambiente musicale.
Priscila: “Una volta disse: io vado a cercarmi un lavoro perchè la musica non rende. Allora andò a cercare lavoro da un signore che pitturava e lo stesso giorno passo io e vedo un ragazzino aggrappato all’impalcatura e lui mi chiama e io gli dico: che fai tu aggrappato lì?- Sto lavorando, e io dissi: guarda scendi di lì che con quello che guadagno viviamo però tu non farai questo lavoro che ti ammazzi, il vento ti porta via! perchè era magrolino.”
E così una notte, dopo due settimane dal suo arrivo, Hector accompagna il suo amico Roberto Garcia ad un’audizione in un locale notturno, offrendosi in buona fede di dimostrare al corista come si canta la musica latina, in cambio di questo nobile gesto, hector rimase con il suo posto.
Cristòbal Diaz Ayala, collezionista di musica latina dice: “Hector ha dovuto ascoltare, da bambino, le registrazioni di plena che si fecero nella città di New York soprattutto negli anni 30. Queste registrazioni qui si sono un pò perse nei ricordi però in quegli anni se ne fecero molte e questa plena fece un pò quello che fece Lavoe, cioè parlava del barrio, aveva stampo umoristico e un pò sarcastico su quello che era il barrio, per esempio qualcuna parlava del proibizionismo dell’alcool, parlava dei problemi sociali che si avevano e tutto questo ha dovuto impressionare il ragazzo.”
Cominciò allora una carriera vertiginosa durante la quale fece parte di differenti band: Orquestra Nueva York, Caco y las estrellas e The Alegre All Stars e il momento più importante della sua carriera stava per arrivare.
Nel 1966 conosce Johnny Pacheco, proprietario e direttore della casa discografica del momento, Fania.
Johnny Pacheco presentò allora Hector Lavoe con Willie Colon, altro genio di appena 15 anni che dirigeva una banda conosciuta come “ Boogaloo y latin jazz”.
Willie Colon racconta: “Noi ci siamo conosciuti da adolescenti e conoscemmo il mondo insieme, uscimmo dal barrio del Bronx ed io imparai a parlare spagnolo. Lo capivo ma parlavo molto poco. Era un ragazzo con un senso dell’umorismo brillante, brillante con una mente incredibile , con un repertorio di cui tu potevi menzionare un titolo e lui non solamente sapeva le parole ma ti imitava il tipo che la cantava, fosse Carlos Gardel o Sadel o Ramito o Chuito el de Bayamon, quello che fosse, te lo imitava perfettamente.”
L’affinità tra i ragazzi fu istantanea, Hector aveva la voce precisa per far conoscere l’esperimento musicale di Willie Colon.
César Miguel Rondón, autore di “El libro de la salsa” dice: “c’era in questo gruppo una nozione del canto del barrio, che fu distintivo e molto particolare. Essi avevano molto talento, quello rudimentale di Willie per portare la musica che gli apparteneva ma molto anche il talento di Hector, per entrambi.”
Willie Colon apparteneva ad una corrente di musicisti latini che praticavano la fusione dei ritmi caraibici, fu allora che il son montuno, il guaguancò e la guaracha si unirono in una mistura che immediatamente si convertì in un boom, la SALSA.
Cristòbal Diaz Ayala: “La plena parlava di storie del barrio, così come lo faceva anche Carlos Gardel e tanti altri musicisti dell’America Latina però Lavoe lo sapeva fare in un modo nuovo, in un modo caustico e più intenso ed ebbe la fortuna di unirsi con quel genio musicale di Willie Colon e iniziarono a produrre quella serie di meraviglie.”
Nell’estate del 1967 esce in commercio il primo album di Hector Lavoe e Willie Colon “EL MALO”1, completamente un fenomeno musicale. Con l’esplosione del rock e il fenomeno dei Beatles che contagiavano il mondo, la SALSA, ritratto musicale del barrio e dello stile di vita Latino, si convertì nell’unico modo di identificazione possibile dinanzi all’imminente alienazione musicale, mentre la gioventù nord americana ed europea predicava SESSO, DROGA E ROCK n’ ROLL, l’America Latina aveva un suo proprio slogan SESSO, DROGA E SALSA.
Tite Curet: “Lì fu che ci azzeccarono perchè la gente era nell’epoca delle pandillas2, nell’epoca di Paul Simon, nell’epoca dei “cattivi”e questo fu quello che loro prospettarono, nella loro musica dipinsero quell’epoca “cattiva”.”
Note: 1 Letteralmente “il cattivo”. (N.d.T)
2 Nel senso latino americano, gruppi di giovani violenti e sovversivi. (N.d.T.)
Per anni Johnny Pacheco è stata una delle figure più importanti della Musica Latina. Le sue 9 nomination ai Grammy Awards, i 10 dischi d’oro e i numerosi premi ricevuti rendono onore al suo talento creativo come compositore, arrangiatore, direttore di orchestra e produttore musicale. Inoltre è stato il pioniere di un indimenticabile periodo musicale che ha modificato la storia della Musica Latina, ovvero il periodo della Fania All-Stars.
Durante i suo i 40 anni di carriera impegnato nell’innovare la Latin Music, Johnny Pacheco ha ricevuto molti riconoscimenti ufficiali per il suo straordinario genio. Nel Novembre del 1998 è stato insignito nell’International Latin Music Hall of Fame. Nel 1997 ha ricevuto il Bobby Capo’ Lifetime Achievement Award, premiato dal Governatore George Pataki. Nel 1996 il presidente della Repubblica Dominicana, Juaquin Nalaguer, gli ha conferito la prestigiosa Medaglia Presidenziale di Onore. Inoltre, Pacheco ha ricevuto il primo International Dominican Artist Award dall’eminente Casandra Awards. Nel Giugno del 1996 Johnny Pacheco è stato il primo produttore musicale latino a ricevere il premio NARAS (National Academy of Recording Arts & Sciences) a New York.
Johnny Pacheco y Pete Conde – Viralo Al Reves
Il suo approccio musicale innovativo lo ha reso uno dei più richiesti produttori nel panorama della musica latina. Ha lavorato con i più grandi artisti della Salsa come Celia Cruz, Willie Colon, Hector Lavoe, Ruben Blades, Cheo Feliciano e Pete “El Conde” Rodriguez. Il suo Curriculum Vitae comprende anche la produzione di hit come “Bailando Salsa” per il gruppo pop spagnolo Mecano il cui album ha venduto mezzo milione di copie in un mese subito dopo la sua uscita. Johnny Pacheco è stato anche co-autore e ha prodotto tre canzoni per il primo album da solista di David Byrne intitolato Rei Momo.
Pete “El Conde” Rodriguez and Johnny Pacheco – Sonero
Ha scritto più di 150 canzoni molte delle quali sono ancora dei classici. Tra queste citiamo “La Dicha Mia”, “Quitate Tu Pa’ Ponerme Yo”,“Acuyeye”, “El Rey de la Puntualidad” e “El Numero Cien” di Tito Puente. Pacheco è stato anche di ispirazione per le nuove generazioni: ha registrato e suonato con il gruppo DLG come artista ospite in una delle loro composizioni. Artisti Rap come Mangu hanno voluto questa leggenda della Latin Music per scrivere gli arrangiamenti, partecipare come corista e suonare il flauto nel loro album “Calle Luna Y Calle Sol”. Pacheco ha anche prodotto musiche per colonne sonore di film. E’ stato il direttore musicale del film “Our Latin Thing”, il primo film sulla Salsa e la sua influenza sul popolo latino di New York. Nel 1974 ha lavorato sul secondo film intitolato Salsa. Nel 1980 ha scritto le musiche e i temi per i film Mondo “New York” e “Something Wild”, quest’ultimo in collaborazione con David Byrne, leader del gruppo Talking Heads. La sua ultima collaborazione col mondo del cinema è la colonna sonora del film Mambo Kings, prodotto da Warner Brothers.
Azuquita – Fania All Stars e Johnny Pacheco
Hector Lavoe e Johnny Pacheco Live – NY Paladium
Nato a Santiago de Los Caballeros, Republica Domenicana, Johnny Pacheco ha ereditato la passione paterna per la musica. Suo padre, Rafael Azarias Pacheco, era clarinettista e direttore di un’orchestra molto conosciuta in quel tempo (The Santa Cecilia Orchestra). Fu il padre ad avvicinare il figlio al mondo della musica. All’età di 11 si trasferisce con la famiglia a New York dove la passione per la musica diventa motivo di studio serio e accurato. Impara a suonare diversi strumenti (fisarmonica, violino, sax e clarinetto). Frequenta anche la Julliard School of Music dove impara anche le percussioni diventando il principale percussionista di quel periodo. Suona e registra album con i più importanti artisti americani. Infine impara anche il flauto tanto da diventare uno dei più grandi flautisti sulla scena musicale.
Nel 1960 fonda la sua prima orchestra, chiamata “Pacheco y su charanga”, che esordisce con l’album “Pacheco y su charanga, vol.I” (di cui sono state vendute più di 100.000 copie nel solo primo anno di uscita), sotto il marchio Alegre Records.
In questi anni, fino al 1963, Pacheco introduce un nuovo tipo di ballo: la pachanga, per la quale diventa anche molto famoso. In questo periodo gira molto in tourné sia negli Stati Uniti, sia in Europa, Asia e America Latina. Inoltre Pacheco Y Su Charanga è stata la prima orchestra latina ad essere in cartello all’Apollo Theatre nel 1962 e nel 1963.
Alla fine del 1963, la sua carriera ebbe un’importante svolta quando egli creò la Fania Records assieme a Jerry Masucci. Nel 1964, la casa discografica lanciò il successivo lavoro di Pacheco intitolato Cañonazo che si caratterizza per una svolta dallo stile Charanga al Conjunto. Come dirigente, direttore artistico e produttore musicale della società, egli fu responsabile del lancio della carriera di molte delle giovani star che fecero parte della Fania Records.
Mi Gente. Hector Lavoe & Fania All Stars. Kinshasa. 1974
Nel 1968, egli riunì molti dei musicisti della casa discografica e li presentò tutti insieme in un concerto. Questo evento segnò la nascita della leggendaria Fania All-Star. Nel 1971, questa orchestra composta dal meglio della Fania occupò tutto lo scenario della salsa dando inizio a un incredibile periodo musicale per la musica Latina che continuò per oltre 30 anni sotto l’autorevole direzione di Mr Pacheco.
Per più di 40 anni, Mr Pacheco è stato uno degli artisti più richiesti nel campo dell’industria musicale in generale. Si è esibito come solista e come guest artist in molti Festival Jazz Internazionali. Ha suonato con i migliori musicisti latini del secolo, inclusi Perez Prado, Xavier Cugat, Tito Rodriguez, Tito Puente e Celia Cruz tra gli altri. Si è esibito e ha collaborato con numerose leggende della musica Jazz e della musica popolare americana come ad esempio Quincy Jones, Stan Kenton, Tony Bennett, George Benson, Sammy Davis Jr., Ethel Smith, Stevie Wonder e molti altri.
Johnny Pacheco è fortemente impegnato nella crescita della comunità latina nel mondo. Ha dimostrato la sua solidarietà verso le vittime dell’uragano Georges collaborando con la Fondazione Hispanic Federation Relief durante l’evento “Hurricane Georges Relief Fund 1998”, trasmesso dal vivo in tutti gli Stati Uniti del nordest dalla NBC e partecipando a un evento nello Hostos Community College. Ha anche preso parte al concerto benefico per l’AIDS, Concerto Per La Vita, nel novembre del 1988 a New York presso l’Avery Fisher Hall.
Nel 1994 fondò la Fondazione Borsa di Studio Johnny Pacheco dimostrando il suo amore per la musica e il suo impegno per una migliore educazione. Ogni anno una matricola del college riceve una borsa di studio e la benedizione di Mr Pacheco. Egli dice: “Io spero di riuscire a dare a un musicista talentuoso e con aspirazioni la possibilità di diventare un artista e di beneficiare dell’educazione di un college.”
La musica di Johnny Pacheco Y Su Tumbao Anejo continua a consacrare il settore della musica latina. Pacheco è ancora fortemente attivo nel campo della musica, esibendosi e registrando con il suo gruppo avendo come guida ispiratrice la migliore musica tropicale. Sempre all’avanguardia, egli è uno degli artisti più ammirati e amati nello scenario musicale di tutto il mondo. Johnny Pacheco è un pioniere, un grande innovatore e, cosa più importante, una leggenda vivente.
For decades, Johnny Pacheco has been at the center of the Latin music universe. His nine Grammy nominations, ten Gold records and numerous awards pay tribute to his creative talent as composer, arranger, bandleader, and producer. Moreover, he is the pioneer of an unforgettable musical era that changed the face of tropical music history, the Fania All-Stars era.
Throughout his 40-year involvement with the development of Latin music, Johnny Pacheco has received many kudos for his extraordinary genius. In November of 1998, he was inducted into the International Latin Music Hall of Fame. In 1997, he was the recipient of the Bobby Capo’ Lifetime Achievement Award, awarded by Governor George Pataki. In 1996 the president of the Dominican Republic, Juaquin Balaguer bestowed him with the prestigious Presidential Medal of Honor. In addition, Pacheco was presented with the First International Dominican Artist Award from the distinguished Casandra Awards. In June 1996, Johnny Pacheco was the first Latin music producer to receive the NARAS (National Academy of Recording Arts & Sciences) Governor’s Award in New York City.
Pacheco’s pioneering musical approach has made him one of the most solicited producers in Latin music. He has worked with many of the best Salsa artists like Celia Cruz, Willie Colon, Hector Lavoe, Ruben Blades, Cheo Feliciano, and Pete “El Conde” Rodriguez. His resume also includes producing the hit song “Bailando Salsa” for the Spanish pop group, Mecano whose album sold half a million copies one month after its release. Johnny Pacheco also co-wrote and produced three songs for David Byrne’s first solo album entitled Rei Momo.
He has written more than 150 songs and most of them are now classics. Among them are “La Dicha Mia”, “Quitate Tu Pa’ Ponerme Yo”, “Acuyuye”, “El Rey de la Puntualidad”, and Tito Puente’s “El Numero Cien”. Pacheco has also been inspirational to the younger generations.He recorded and performed with the group DLG as a guest artist in one of his own compositions. Rap artist Mangu asked this Latin legend to write arrangements, sing chorus, and play the flute in his album Calle Luna Y Calle Sol. Mr. Pacheco has also produced music for feature films. He was the musical director of the film, Our Latin Thing, the first film about Salsa and its influence on New York Latinos. In 1974, he worked on a second film entitled Salsa. During the 1980s, he wrote the musical scores and themes for the film Mondo New York and Something Wild. The last one was in collaboration with David Byrne, leader of the group Talking Heads. His most recent work in the movie industry was the feature film The Mambo Kings released by Warner Brothers.
Born in Santiago de los Caballeros, Dominican Republic, Johnny Pacheco inherited his father’s passion for music. Rafael Azarias Pacheco, his father, was the bandleader and clarinetist of one of the most famous orchestras of that time–the Santa Cecilia Orchestra. It was his father that first put a musical instrument into his son, Johnny’s hands. At the age of 11, the Pacheco family moved to New York where he continued polishing his musical skills. He learned to play accordion, violin, saxophone and clarinet. He attended the Julliard School of Music where he studied percussion making him the leading percussionist of the time. He performed and recorded with the most important American artists. He then learned to play flute. He is recognized as one of the top flutists of his era.
In 1960, he organized his first and legendary orchestra, Pacheco y Su Charanga. The band signed with Alegre Records and its first album Johnny Pacheco Y Su Charanga Vol. 1 sold over 100,000 copies within the first year, becoming the best selling album of the time. The album is a classic. Beginning then and through the end of 1963, Pacheco introduced a new dance craze called “Pachanga”. He became an internationally renowned star. He toured extensively throughout the United States, Europe, Asia, and Latin America. Moreover Pacheco Y Su Charanga, was the first Latin band to ever headline the Apollo in 1962 and 1963.
In late 1963, his career took another historical turn when he created Fania Records with Jerry Masucci. In 1964, the label released Pacheco’s next endeavor entitled Canonazo featuring a switch from the Charanga to Conjunto style. As the company’s executive, creative director and musical producer, he was responsible for launching the careers of many of the young stars that formed part of Fania Records.
In 1968 he gathered many of the musicians from the label and showcased them together in concert. This marked the birth of the legendary Fania All-Stars. In 1971, this orchestra consisting of Fania’s elite exploded all over the Salsa scene starting an incredible musical era for Latin music that has continued for over 30 years under the masterful direction of Mr. Pacheco.
For more than 40 years, Mr. Pacheco has been one of the most in-demand artist in the music industry in general. He has performed as soloist and guest artist in many Jazz Festivals worldwide. He has played with the best Latin musicians of the century including Perez Prado, Xavier Cugat, Tito Rodriguez, Tito Puente, and Celia Cruz among others. He has performed and collaborated with many legends of Jazz and popular American music such as Quincy Jones, Stan Kenton, Tony Bennett, George Benson, Sammy Davis, Jr., Ethel Smith, Stevie Wonder and many others.
Johnny Pacheco is deeply committed to the improvement of the Latin community worldwide. He demonstrated his solidarity with the victims of Hurricane Georges by collaborating with the Hispanic Federation Relief Fund during “Hurricane Georges Relief Fund 1998” transmitted live across the northeastern United States by the NBC television network and by participating at an event at Hostos Community College. He also participated in the AIDS benefit concert Concierto Por La Vida, in November 1988 at New York City’s Avery Fisher Hall.
In 1994, he established the Johnny Pacheco Scholarship Fund demonstrating his love for music and commitment to higher education. Each year a college freshman is honored with financial support and Mr. Pacheco’s blessing. He says, “My hope is to give a young aspiring and talented musician a chance to develop as an artist and benefit from a college education.”
The music of Johnny Pacheco Y Su Tumbao Anejo continues to bless the Latin music industry. He remains highly active in the recording industry performing and recording with his group as the guiding force behind the best tropical music. Always ahead of his time, he is one of the most admired and loved musicians on the music scene all over the world. Johnny Pacheco is a pioneer, an innovator and more importantly a living legend.
Domande a cura della redazione de Lasalsavive, Tommy Salsero, Enzo “Ciccio” Luoni, (si ringraziano inoltre Fabrizio Zoro e la Radio Svizzera Italiana) traduzione di Max Chevere, foto di Cafè Caribe, Daikil e Max Chevere
Milano, 15 luglio 2006
Come si formò musicalmente e come arrivò alla musica latina?
Tutta la mia famiglia era formata da musicisti, mio padre bassista e cantante, mia madre cantava l’opera, mio zio suonava il violino ed il sassofono e di conseguenza sin da bambino a casa mia ascoltavo musica 24 ore al giorno.
Quando avevo 13 anni andai alla scuola di musica a Manhattan (New York) e frequentando il barrio latino ebbi modo di girare per i negozi di musica e ascoltare i cantanti ed i gruppi che in quel periodo andavano per la maggiore, come Tito Puente, Machito, Tito Rodriguez e questa musica mi colpì molto, al punto che decisi di approfondirne la conoscenza.
In quell’epoca, anni 50, se non eri afro-americano e se non facevi uso di droghe eri quasi escluso dal giro del jazz ed io ero un ebreo bianco che non si drogava e di conseguenza mi avvicanai al genere musicale più vicino al jazz: la musica latina.
Iniziai a suonarla con gruppi afro americani, anche se si trattava spesso di canzoni molto semplici, come Mambo N.5 e Mambo N.2, e sapendo leggere musica molto bene fui accettato nel gruppo.
Durante la prima prova cominciai a suonare leggendo le note scritte nello spartito ma il direttore dell’orchestra sentendomi mi disse “ehi ragazzo, tu suoni in modo terribile!” e mi mandò fuori dal gruppo. Ero molto triste perchè non ne comprendevo il motivo.
Mi recai al primo negozio di dischi e comprai due LP uno di Noro Morales ed uno di Joe Loco, che erano pianisti molto famosi in quel periodo e imparai a memoria gli assoli.
Quando andai ad altri saggi e cominciai a suonare gli assoli di Joe Loco e Noro Morales, mi dissero:“ehi ragazzo ma tu suoni molto bene!!!”
Iniziai a suonare a 15 anni con una band chiamata Randy Carlos ed ebbi l’opportunità di fare le prove per due mesi a Catskills, una località di montagna a circa un’ora e mezza da New York City che era piena di hotel dove suonavano le migliori band di Rumba formate da cinque/sei musicisti e fra questi c’erano artisti come: Charlie Palmieri, Eddie Palmieri, Tito Puente, Joe Loco.
Cominciai a suonare con un gruppo piccolo che divenne nel tempo molto famoso.
Nel periodo natalizio del 1956 andai a Cuba con il mio collegio per una vacanza di dieci giorni, e per me fu come vedere un Paradiso, questa è la verità, in ogni strada si trovavano gruppi, trios, charangas, trovas, Benny More’ di quà, Aragon di là, fu un’esperienza fantastica.
Quando rientrammo a New York decisi di tornare a Cuba per studiare con questi grandi musicisti le radici della musica afro-cubana anche se nel 1959 con l’ascesa al potere di Fidel Castro, tutti gli americani furono obbligati ad andarsene dall’isola e così dovetti tornare a casa.
A quell’epoca Jerry Masucci studiava con me all’Università dell’Havana (Cuba) e di fronte c’era una cafeteria (coffe shop) che si chiamava “Fania” dove c’erano un piano acustico, un contrabbasso, delle congas, e altre percussioni e tutti gli studenti si trovavano lì per descargar (jam session) e questo nome rimase impresso a Jerry.
Nel 1964 suonavo nella Fiera mondiale di New York con Johnny Pacheco che cercava un avvocato per aprire un’attività di casa discografica indipendente per registrare musica differente, e Pacheco pensò di chiamare Jerry Masucci (che era avvocato), lui gli prestò 30.000 dollari e così nacque la Fania Records.
In quel periodo non esistevano gruppi di trombe e tromboni, c’erano orchestre di trombe o di tromboni e flauto come Eddie Palmieri,Machito con sax e trombe, e quindi cominciai a scrivere musica differente; suonavamo un giorno a settimana (il venerdì) con questa nuova formazione (Orquesta Harlow) che includeva trombe e tromboni in un locale che si chiamava “Chez Josè” a New York.
Un giorno arrivò Jerry Masucci e dopo averci sentiti suonare disse: “Hey kid!Io ho una compagnia discografica e devo farti firmare un contratto discografico.Mi ha mandato il mio direttore musicale per sentire il tuo gruppo”.E sapete chi era il suo direttore musicale?…Johnny Pacheco! (e scoppia in una grossa risata).
E così io fui il primo artista a firmare per la Fania Records.
Vorrei chiederle qualcosa della sua esperienza musicale con Joe Cuba e Cheo Feliciano
Negli anni 50 Joe Cuba era molto famoso nel barrio “montañas” perchè suonava con un sestetto compatto che comprendeva cantanti come Cheo Feliciano e Jimmy Sabater, (ndr: all’epoca c’erano in genere orchestre di dimensioni maggiori), inoltre lui suonava in modo differente e scriveva musica differente in uno stile da strada, “de barrio”.
Adesso e’ molto malato ma vivo, ha settantotto anni e non può camminare ma continua a lavorare in quanto è ancora molto lucido (ndr Joe Cuba morirà alcuni anni più tardi).
Che pensa della salsa di oggi?
Adesso c’è una rinascita della salsa dura, specialmente a Portorico e negli Stati Uniti, anche in Venezuela.
Io credo che la musica latina si rinnovi con cicli settennali, negli anni cinquanta c’era il mambo, dopo è arrivata la musica latina, poi è arrivato il boogaloo, a seguire la salsa dura, poi il latin hustle, quindi la salsa monga.
Adesso i giovani che ascoltano salsa stanno riscoprendo la salsa dura, anche se non conoscono Larry Harlow o Johnny Pacheco quando sentono una canzone di salsa monga ed una di salsa dura ci pensano un attimo e poi scelgono subito la salsa dura (scoppia in una fragorosa risata!). Ed in questo modo stanno riscoprendo la salsa dell’epoca d’oro.
Molti grandi artisti adesso sono morti (TIto Puente, Celia Cruz, Pete El Conde, Hector Lavoe), siamo rimasti Eddie Palmieri ed io, Johnny Pacheco ormai non suona più,e adesso io sono diventato uno dei grandi artisti viventi e negli Stati Uniti la gente che adesso ha cinquant’anni ha una concezione della musica legata a quei tempi e di conseguenza quando vogliono organizzare un concerto o promuovere qualche iniziativa latina, chiamano gli artisti come Larry Harlow o Eddie Palmieri.
E adesso il mio telefono suona continuamente!
Cosa pensa degli artisti che mischiano il reggaeton con la salsa (salsaton)?
Bene, come sai gli artisti che suonano reggaeton copiano i temi musicali dei musicisti che suonavano salsa dura. Adesso i proprietari della FANIA di EMUSICA hanno preparato un nuovo progetto per mischiare il reggaeton con la salsa della Fania che dovrebbe uscire il prossimo Dicembre (con Tego Calderon e Ivy Queen fra gli altri) e del quale sono il direttore musicale.
Ad esempio Ivy Queen canterà Quimbara e sarà una fusione fra salsa e reggaeton.
Negli anni settanta lei seguiva due principali filoni musicali, uno principalmente legato alla tradizione cubana e l’altro più innovativa e d’avanguardia…
(Larry interrompe la domanda…)In realtà io ne ho tre.
Una produzione musicale mischiata con la musica americana, un’altra legata alla tradizione del Conjunto e l’altra di Charanga.
E questo perchè ho la fortuna di avere alcuni musicisti nella mia orchestra che alternano due violini ed i fiati allo stesso tempo, perchè come sapete hanno tre suoni diversi.
Nell’anno 69 io avevo un gruppo che si chiamava Amber Gris che era formato da due o tre ragazzi del gruppo afro americano Blood Sweat Tears, quando registrammo “Me and my Monkey” mischiando musica americana con salsa e dove suonavano molti musicisti americani.
Infatti negli anni settanta ci furono molti esperimenti di musicisti afro americani che suonavano con i latini, un pò quel che accade oggi con la salsa e l’hip hop, ed oggi quel che fanno a Cuba con la timba mescolando funky con rumba…
Il problema a Cuba dopo l’avvento di Fidel Castro, con generi come Mozambique, Songo, Timba è che la gente negli Stati Uniti non li sa ballare.
Un gruppo cubano è venuto a suonare al Copacabana di New York e dopo il primo pezzo il proprietario ha fermato il gruppo e annullato il concerto. Alla gente non piaceva e questo perchè non sapevano ballare la timba.
Secondo me l’embargo a Cuba è negativo, molto negativo.
La musica di Cuba è incredibile, i musicisti altrettanto.
Vi immaginate cosa sarebbe potuto nascere dalla fusione della salsa con la timba?
Un altro problema secondo me è legato ai Congressi di Salsa.
Ai ballerini non interessa sapere chi sta suonando.
Pensano alle scarpe, se sono visti da altre persone ma non gli interessa della musica.
Negli anni del Palladium i ballerini erano ispirati dai musicisti ed i musicisti erano ispirati dai ballerini e più i ballerini ballavano bene, più l’orchestra caricava i pezzi.
Tornando ai Congressi…avevo chiamato l’ufficio di Albert Torres e mi risponde un ragazzo, gli dico:”vorrei parlare con Albert Torres” e lui: “chi parla?” ed io: “Larry Harlow”.
Mi risponde:”in questo momento non si trova in ufficio…come si scrive Larry Harlow?” (scoppia una grande risata). Gli dico:”Sei latino?E quanti anni hai?” e lui”quindici”!
Non sanno chi sono io o chi è Eddie Palmieri. Interviene il cantante di Larry Harlow: un altro problema è legato alle radio, particolarmente quelle di New York, che spingono quasi esclusivamente il reggaeton.Adesso la musica sta bene, abbiamo nuovi musicisti e vorremmo poter esprimere la nostra musica.Purtroppo le radio non danno spazio alla salsa, non c’è equità fra salsa e reggaeton. Riprende Larry:Ad esempio La Mega (la catena di Radio) che è presente negli Stati Uniti e a Portorico con diverse radio.
I proprietari sono due cubani, la radio è una delle più importanti di New York, tanto per dire 30 secondi di pubblicità costano 2.000 dollari! E’ incredibile! Nell’ultima registrazione che ho fatto con la “Leyenda Latina” nel 1998 mi ero proposto alla radio La Mega dicendo che avevo realizzato un disco con musicisti di varie estrazioni (latin jazz, charanga, salsa romantica)ma la risposta fu:”non avete nulla di reggaeton?” Ed io riposi:”come???”.
La gente a Portorico conosce la musica, la radio Z93 propone salsa 24 ore al giorno. Interviene di nuovo il cantante: in questo momento abbiamo molto bisogno dei siti internet come il vostro (riferito a Lasalsavive), e dell’aiuto dei dj, che sono altrettanto importanti.
In Europa non abbiamo molte radio che trasmettono latino, ed i siti internet ed i dj hanno un ruolo fondamentale per divulgare questa musica…
E non solo.
Pensate che per venire a suonare in Europa ho dovuto subire la concorrenza di gruppi cubani che vendono i propri spettacoli a 3000 euro e noi non possiamo suonare a quella cifra.
A parte alcune realtà come a Milano dove hanno pagato una cifra giusta, il volo e l’hotel a cinque stelle, ce ne sono state altre (come alle Isole Canarie o ad Amsterdam) che ci volevano per 3000 Euro perchè dicevano che i gruppi cubani chiedono quella cifra.
Vedete, loro suonano per poco, il viaggio da Cuba è quasi gratis, magari si accontentano di sistemazioni economiche perchè a Cuba non c’è quasi nulla. Interviene il cantante: noi non vogliamo togliere nulla ai cubani, loro sono ottimi musicisti.
Il punto è che l’embargo a Cuba sta rovinando anche i musicisti degli Stati Uniti perchè da Cuba vendono gli spettacoli per pochissimo e questo crea problemi anche a noi.
Per fortuna che ci sono orchestre come quella di Larry Harlow che danno l’opportunità anche ai più giovani di poter suonare, in questa orchestra ci sono molti musicisti che hanno già realizzato un proprio disco. Ancora Larry: Pensate alla Leyenda Latina, i musicisti che ne fanno parte sono tutti dei grandi. Bobby Sanabria ha fatto molti dischi, Luis Bauzo ha suonato con Machito per diversi anni, il sassofonista ha suonato con Mariah Carey, Lewis Kahn ha suonato con tantissimi musicisti, Chembo Corniel con Tito Nieves. Sono tutti dei grandi musicisti.
Attualmente chi sta facendo la miglior salsa a New York e Portorico?
Più o meno sono sullo stesso livello.C’è una differenza, a New York sono più creativi. Le armonie jazz,gli arrangiamenti ed i compositori sono più moderni.
Negli anni 50 la musica era molto semplice, fatta di storie semplici come quelle con il cha cha cha.
Non c’era storia.Negli anni seguenti, soprattutto negli anni sessanta e settanta la musica cambiò moltissimo.Era il tempo delle rivoluzioni giovanili, di Woodstock, del Vietnam,delle proteste, della guerra, ed i compositori realizzarono canzoni con tematiche importanti, di amore e umanità, mentre gli arrangiatori iniziarono ad utilizzare armonie più moderne dal jazz, e piano piano nasce la musica che si chiama salsa.
Successivamente con i film della Fania si aprirono le porte del Sud America, e a seguire dell’Europa e del Giappone e adesso è incredibile, vado in Finlandia e trovo orchestre di salsa che cantano in finlandese!In Giappone anche.
C’è il gruppo di Sakamoto che suona come Machito!
Il prossimo mercato ad aprirsi alla salsa sarà quello della Cina.
Come mai Lewis Kahn ha mantenuto il suo nome e lei che si chiama Lawrence Ira Kahn l’ha cambiato?
Entrambe le nostre famiglie sono di origine austriaca, di Vienna, entrambe ebree. Il mio bisnonno aveva 19 fratelli e sorelle.
Mio padre a 19 anni suonava il sassofono, se ne andò a Washington dove ebbe un’incidente automobilistico. Il dottore che l’operò e gli salvò la vita si chiamava Harlowe, io ho tolto la “e” ed in suo onore ho preso il suo cognome.
Però la gente in Sud America aveva difficoltà a pronunciare il mio nome d’arte e per semplificarlo nacque il secondo soprannome “El Judio Maravilloso” che per loro era più immediato di Larry Harlow.
Qual’è il cantante che nella sua carriera le è piaciuto maggiormente?
Io iniziai con un cantante cubano che si chiamava Felo Brito, che era anche un ballerino nell’orchestra di José Fajardo.
Da allora, anche quando tornai a New York da Cuba, continuai a cercare musicisti cubani. Avevo Chocolate Armentero, Monguito el unico come secondo cantante.
Quando Ismael Miranda aveva 15 anni lavorava per mio fratello Andy che aveva un sestetto. Capii subito che per la sua età aveva una marcia in più, lo presi dall’orchestra di mio fratello e lo feci cantare al lato di Monguito per un anno.
Era un incredibile maraquero ed un ottimo sonero, fin dall’inizio si intravedevano le sue grandi qualità di sonero, ad es.aveva i suoi piccoli segreti, aveva qualcosa di Miguelito Cuni e sapeva già utilizzare i piccoli trucchi del soneo, l’uso di certe parole come “camarà” per finire la frase, imparò molto in un anno e dissi ciao a Monguito.
A 16 anni diventò il mio primo cantante, era l’epoca del boogaloo, quando registrai dischi come El Exigente. C’era una canzone che si chiamava las luces (le luci), perchè le luci erano tipiche della psicadelia che andava in quegli anni.
Fu un periodo molto pazzo della mia vita! (esplode in una fragorosa risata)
Miranda restò con me per sette anni, poi andò a Portorico ed io chiamai Junior Gonzalez per registrare “Hommy” dove c’erano altri grandi artisti come Justo Betancourt, Celia Cruz, Pete El Conde Rodriguez, e nel palco imparò moltissimo da loro.
Dopo arrivò Nestor Sanchez, che per me è uno dei grandi fra i soneros.
Mi piaciono molto anche Tito Allen, Andy Montañez, Oscar D’Leon che sono davvero grandi soneros con le parole e la poesia che arrivano dal cuore.
Io non sono un fanatico di Hector Lavoe, che però ebbe un gran periodo con Willie Colon.
Hector era un soneros de la calle (della strada), però per me non aveva melodia, usava bene la parola, però non aveva melodia creativa.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
E voglio morire sul palco! (altra fragorosa risata!)
Il nuovo progetto di Estrella de Fania e registrare un nuovo disco con La Leyenda Latina, e poi ho una bellissima famiglia e sono molto contento.
Ascolta i saluti di Larry Harlow a La Salsa Vive!
Si ringrazia l’organizzazione del Festival Latino Americando per la disponibilità dimostrata
Herencia Latina con questa edizione di Febbraio – Marzo del 2005 celebra i primi 40 anni del rinnovamento musicale avvenuto a metà degli anni 60, nel settore ispanico dell’Harlem detto anche “barrio”, dove la prima generazione di giovani portoricani nati nella città di New York o la terza generazione di portoricani radicata lì, vide crescere il meraviglioso ritmo musicale chiamato Latin Boogaloo ed il suo fratello minore, lo Shing- A – Ling.
L’apice del successo fu nel 1965, anno dove il corso della musica latina cambiò quando un nuovo ritmo fu creato dai ballerini Afro Americani, che celebravano i loro incontri nel Club Palm Garden, ubicato nel “Midtown” di Manhattan, nella città di New York.
I ballerini furono travolti dalla musica di Pucho Brown y sus Latin Soul Brother, ma anche da gruppi specializzati nella musica latina come quelli di Pete Rodríguez, Joe Cuba e Johnny Colón; senza dubbio è al trombettista, compositore e arrangiatore Tony Pabón che dobbiamo molto; fu infatti il primo musicista al quale si attribuisce l’utilizzo delle tinte latine alla musica Boogaloo degli Afro Americani, quando compose Pete’s Boogaloo per Pete Rodríguez. (Salazar 1977).
La disputa per l’elaborazione del menzionato ritmo è ancora attuale.
Lo reclamano per i suoi effetti diversi attori principali:
1. Tony Pabon incise la sua famosa Pete’s Boogaloo che, come sostenne lo scomparso Disc Jockey Symphony Sid Torin, fu il primo boogaloo suonato alla radio di New York. Inoltre, Pete riuscì a sfondare nei primi locali con un altro boogaloo, “I Like It Like That”.
2. Joe Cuba y su Sexteto per la sua famosa canzone Bang Bang (Push, Push), la quale restò per dieci settimane nella classifica del Billborad e fu una delle poche registrazioni latine a raggiungere un successo musicale nel mercato Anglosassone.
3. Johnny Colón per il tema “Boogaloo Blue”, e 4. Héctor Rivera con il suo già mitico pezzo “At the Party”, canzone che nel 1966 occupò il posto 26 nella classifica del Billborad per otto settimane.
D’altra parte Ricardo Ray è stato considerato come il primo innovatore del ritmo per il suo album Jala Jala y Boogaloo registrato nel 1967.
Joe Bataan è considerato il padre del Latin Soul per i suoi famosi lavori che troviamo specialmente nell’album “Riot”, mentre Pucho Brown è identificato come il musicista che costruì un ponte tra il boogaloo afroamericano ed il Latin Boogaloo.
Joe Cuba e Jimmy Sabater contribuirono molto alla crescita di questo ritmo musicale, come spiega il professor Flores nel suo libro(From Bomba to hip hop 1999), dove racconta: “Jimmy Sabater ricorda la notte nella quale il suo direttore Joe Cuba esaudì le sue preghiere per suonare una canzone che già da molto tempo lo stava inspirando”.
Arrivò così il successo.Era l’anno 1966 e successe nella sala da ballo del The Palm Gardens Ballroom nel Midtown Manhattan; il salone era pieno.
Sabater racconta:
“Era un ballo dei neri americani di Harlem – Come voi sapete- prosegue, – nel Palm Gardens si organizzava un ballo ogni settimana per le persone di colore e si organizzavano anche da altre parti. In questo modo riuscimmo a provare le canzoni del nuovo album: “Estamos Haciendo Algo Bien” (We Must Be Doing Something Right), che stava per essere presentato sul mercato, e dove si trova “El Pito” (I’ll never go back to Georgia, never go back).Avete Presente?
Il luogo era pieno di gente e quando suonavamo Mambo e Cha Cha Cha e nessuno andava a ballare o era coinvolto. Alla fine del primo tempo, andai da Joe Cuba e gli dissi preoccupato:”Guarda Sonny (che era il suo soprannome) io ho un’idea, proviamo a suonare in maniera da coinvolgere la gente”. Joe mi rispose:”No, no, no, noi dobbiamo continuare a suonare le canzoni del nuovo LP”.
Allora, quando stava per iniziare la seconda parte del concerto mi avvicinai di nuovo a Joe e lo pregai, a quel punto mi disse:”Guarda Jimmy, va bene, se sto sbagliando ci fermeremo e ti pagherò il doppio”.
La situazione continuò senza cambi. Finalmente, Joe mi si avvicinò e disse: “OK”. Passai dal piano e dissi a Nick Jiménez, “Suona questo”… Prima di ritornare al timbal la gente aveva riempito la pista e cantava“bi-bi hah!, bi-bi hah!”.
Anche Joe Cuba ricorda questo evento, “le coppie improvvisamente iniziarono a ballare da una parte all’altra, qualcosa di simile ad una ola (onda), e cominciarono a cantare:” ella es libre, ella es libre”, qualcosa di simile ad un salmo tribale africano e continuarono a ballare”.
Johnny Colón “Echa la pa ca, tirala pa alla, esa mulata tiene candela”
Di grande interesse risultano le risposte che il maestro Johnny Colón diede all’intervista che gli fece lo scomparso giornalista di New York Vermon W.Boogi, quando questo gli chiese di dire se lui (Johnny Colón) fu uno dei padri fondatori del Boogaloo, al che Colón gli rispose:
“Io non penso di essere il padre fondatore del Boogaloo.
Mi colloco come parte di questo processo. Richie Ray fece un brano chiamato “Lookie Lookie”, però non è stato considerato nella sua essenza un boogaloo e sebbene l’idea ed il concetto erano molto vicini, però fu un boogaloo molto veloce.
Il boogaloo nella sua essenza era lento.
Un altro ragazzo che fu stigmatizzato – e questo mi anticipò – se lo considerate nell’era del boogaloo e gli date credito, fu Pete Rodríguez con “I Like It Like That” e “Micaela”.
Anche se fu più un tentativo di boogaloo, però tornando alla discussione, non fu totalmente un tentativo di boogaloo, giacchè “Micaela” non fu realmente un boogaloo ma una tonada latina.Noi arrivammo al boogaloo quando questo realmente cominciò a mischiarsi, dato che in precedenza fu solo un tentativo di modificare il blues ed i suoi accordi.
Non fu propriamente Latin Music, ma più una fusione di musica latina con musica jazz. Il boogaloo sperimentale fu una combinazione di musica latina con rhythm and blues (musica nera) e penso che sia molto simile al “Jumpy”.
“Adesso se ascoltate attentamente il mio tema el “Boogaloo Blues”, potrete ascoltare influenze di jazz. E la mia ispirazione fu una canzone chiamata “Sayonara Blues” di Horace Silver e anche usai “No Mo Shake” dello stesso autore. Le sue linee sono bellissime.
In altre parole, Horace fu il catalizzatore per la mia creatività, mi servì per esplorare e scoprire…fui un fanatico di Horace Silver”
Il Maestro Joe Bataan in Spagna 2004
Il Maestro Joey Pastrana
Prosegue Johnny: “Penso che lei darebbe probabilmente credito a Ricardo Ray, forse perchè lui realizzò la canzone “Lookie Lookie”, e prima che (mi chieda), se io do credito a qualcuno al quale si ispirò Ricardo Ray, io penserei – se lei ha ascoltato la sua musica – a Mongo Santamaría.
Ha ascoltato “Watermelo Man”. Fra quelli che si nominano c’è Joe Bataan, il quale iniziò a suonare boogaloo solo successivamente (mesi dopo). Penso che la sua musica non si possa definire boogaloo, però fu una fusione molto ben fatta di musica Latina e ‘American rhythm and blues’ . . . dopo Joe Cuba con Bang Bang, arrivarono i Lebrón Brothers; io fui loro produttore anche se non mi diedero credito nei loro LP.
George (Goldner) — produttore della Cotique — mi domandò se potevo aiutare i ragazzi per registrare, mi spiegò:” Ho bisogno di una persona nello studio che possa comunicare”.
Vista la mia esperienza precedente di produttore, io decisi di aiutarli con le armonie, dato che alcune presentavano degli errori. In questo modo registrarono il loro primo LP. Ho anche aiutato un gruppo chiamato “The Latines”.
Fra i “The Latines” e i “Lebrón Brothers” c’era Joey Pastrana, anche lui fu aiutato da me nella produzione. Furono dei ragazzi molto felici durante questa era (quella del Boogaloo).
In un’intervista che facemmo con Ricardo Ray e Booby Cruz verso metà Dicembre del 2005, presso il negozio di dischi di Viera per il lancio del suo disco “Que Vuelva la Música”, Bobby Cruz ci disse: “Il primo Boogaloo lo abbiamo registrato noi e si chiama “Lookie Lookie Boogaloo”. Pete Rodríguez arrivò un anno dopo, mentre noi registrammo questa canzone nell’album “Se Soltó” se non ricordo male”. Era il 1964, (interviene Ricardo Ray).
“Si era il 1964 continua Bobby, e fu il primo boogaloo , affinchè lo possiate ricordare”. “La verità è que Pete Rodríguez fece un gran pezzo che si chiama: “I Like It Like That”, però non bisogna dimenticare che Joe Cuba a sua volta registrò un altro tema sensazionale “Bang Bang (Push, Push)”.
“In verità il boogaloo come tale lo inventò Chubby Checker e noi lo rendemmo latino con “Lookie Lookie” che è cantata in inglese, dopo questa canzone realizzammo un album totalmente di boogaloo che si chiama: “Let’s Get Down To The Real Nitty Gritty”, allora venne Pete e suonò in maniera mostruosa con “I Like It Like That”.
Però queste cose bisogna controllarle con la storia, bisogna osservare le date in cui uscirono “I Like It Like That” e “Lookie Lookie Boogaloo”.
I ragazzi del The TNT
I Lebrón Brothers
Joey Pastrana
Prima che il boogaloo entrasse sulla scena con il cambio generazionale fra il finale degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta, la musica latina che si ascoltava a New York era composta da mambo, pachanga e dalle orchestre tipiche cubane o charangas; il locale che tirava per la maggiore era il Palladium Ballroom, almeno fino al 1961, quando il Palladium iniziò ad avere problemi con le autorità della città di New York a causa di una retata che venne fatta dalla polizia a seguito di una soffiata da parte di alcuni agenti infiltrati che portarono al sequestro di una partita di liquore adulterato.
Le multe ed il ritiro della licenza per vendere bevande alcoliche furono il mezzo per punire la famosa sala da ballo. La perdita di clienti ed il poco interesse nel consumare solo bevande analcoliche portarono alla chiusura del locale il 5 Maggio del 1966. La chiusura del Palladium marcò definitivamente la fine dell’era del Mambo e delle grandi orchestre; inoltre come in un effetto domino portò anche alla fine di altri ritmi di moda a quei tempi: la Pachanga e la Charanga.
Per queste orchestre sarebbero arrivati momenti molto difficili.
Un’altra cosa singolare che vale la pena ricordare è la seguente: il giorno della chiusura del Palladium, fra le orchestre che erano state messe sotto contratto ne appaiono due che casualmente sono quelle di maggior successo e quotate nell’ambiente del Boogaloo: “La Magnífica de Pete Rodríguez” e “la Orquesta de Ricardo Ray”, quasi come se il nascente boogaloo partecipasse all’addio ed alla chiusura del Palladium. (le altre due orchestre furono: La Orquesta de Eddie Palmieri e la Orquesta Broadway)
Nel frattempo arrivarono altri successi; Pucho Brown, un Afro Americano che incominciò registrando ritmi Afro-Cubani nel 1960 e parlando della decade del boogaloo disse:”I gruppi Afro-Americani furono i primi a introdurre il boogaloo nei primi anni sessanta. . . essi unirono un “back beat” (movimento ritardato) al rhythm and blues e da lì emerse il boogaloo.” Nel 1966 il mercato afro americano stava acquistando importanza negli Stati Uniti; il momento era ormai maturo per il nuovo ritmo che avrebbe soddisfatto la domanda di registrazioni di musica afro americana e latina.
Il Maestro Pijuan y su Sexteto
il Gran Pucho Brown y sus Latin Soul Brothers
ed il Maestro Ray Barretto Fine prima parte
Ray Barretto nell’anno 1961 registrò per la casa Tico Records il suo maggior successo commerciale: “Watusi”, tema che divenne rapidamente famoso e che entrò anche nella classifica del Billboard, rimanendo per 13 settimane alla posizione numero 5. Il pezzo prendeva spunto da un brano di Hank Ballard y los Midnighters intitolato “Let’s Go, let’s Go”.
Nel 1963 Mongo Santamaria entrò nella Top 10 con il suo primo successo Watermelon Men, composizione scritta da Herbie Hancock e nel 1965 la casa discografica Tico registrò il grande successo di Eddie Palmieri“Azucar pa’ ti” che attrasse molti neri interessati a ballare i ritmi latini.
Questi tre pezzi sono da segnalare come quelli di primaria importanza, nei quali sono presenti i primi ingredienti del Latin Boogaloo e dello Shing – A – Ling.
Gli episodi accaduti al Palm Garden Club, sia con “La Magnífica de Pete Rodríguez” che con il “Sexteto di Joe Cuba”, saranno utili per far comprendere la funzione sociale del Boogaloo. Effettivamente, come vicini e compagni di lavoro, gli afroamericani ed i portoricani del quartiere di Harlem hanno condiviso per molti decenni le proprie tradizioni orali, la cultura, gli amori, le disavventure e le frustrazioni. Entrambe le comunità frequentavano i club del luogo dove si dilettavano ascoltando le proprie bande preferite indipendentemente dal fatto che fossero latine o nere. Queste bande erano in grado di dar vita da un momento all’altro a fusioni musicali per compiacere tutti i presenti.
Così era possibile vedere nella stessa circostanza suonare gruppi afroamericani come The Suprems, The Temptations, Marvin Gaye, James Brown, Wilson Pickett, Joe Tex ed i latini Joe Cuba, Joey Pastrana, Lebrón Brothers,Eddie Palmieri, Pete Rodríguez, ecc.
Questa singolare “pentola a pressione ritmica” si sarebbe presto trasformata in un’insieme musicale di suoni attraenti e rivoluzionari.
In un articolo della metà degli anni sessanta sulla discoteca “Small’s Paradise” di Harlem apparso sulla rivista di gossip “New York Spy” c’era scritto: “Qui si può vedere l’autentico boogaloo, il phil dog, il jerk ed il truck”.
Sex Simbols, i simboli sessuali: Sono i ragazzi de “La TNT” che posano con modi irreverenti, seguendo i padri della liberazione sessuale e la moda psichedelica degli anni 60. Un LP della Cotique.
Il successo del Latin Boogaloo demarca la storia della musica latina in quanto tappa di transizione e anche tappa di rottura con la continuità e le influenze in termini di stile musicale che venivano sviluppandosi dagli anni 40.
Questo è il momento nel quale si da indipendenza ai messaggi, si modificano le liriche, dato che le liriche di questo movimento non erano focalizzate verso la lontana Cuba o la chiassosa Habana, ma rispondevano maggiormente a nuove opzioni sociali. La predominanza dello spagnolo nelle canzoni cominciava già a calare a scapito dell’inglese. Anche il ballo iniziò a cambiare: dal soave cha cha cha e dal mambo si passa ad un ritmo con passi da “mezzi ubriachi” – leggasi quanto affermava Tony Pabón (nell’intervista che pubblicheremo prossimamente) – accompagnati da contorsioni del bacino, il corpo vibra e si unisce il “chasquido” delle dita.
Anche il modo di vestire cambia, i vestiti scuri e eleganti sono rimpiazzati dalle giacche, pantaloni azzurri e camicie con figure psichedeliche (una delle ultime orchestre a utilizzare abbigliamento da gala fu quella di Ricardo Ray).
Questo breve periodo fomentò l’esplosione musicale fatta di furore, frenesia delle comunità latina e afroamericana del Barrio; nel frattempo le 2 comunità vivevano il momento storico dei movimenti dei Diritti Civili, la nascita e la rivendicazione di movimenti radicali come “Las Panteras Negras”, il movimento civico portoricano del partito “Young Lords” e le lotte contro ogni forma di discriminazione razziale.
I cantanti Joey Pastrana, Héctor Rivera, Gilberto Cruz y su Sexteto, Joe Cuba, Ralphy Pagán, Joe Bataan, King Nando, Ralph Robles, Monguito Santamaría, El Sexteto New Swing, Frankie Nieves, Mario Allison, Pete Rodríguez ed i ragazzi della TNT beneficiarono al tempo stesso dell’immensa popolarità nel Barrio. Inoltre erano apprezzati in modo profondo per le loro ballate piene di soul con influenze di ritmi latini. Fernando “King Nando” Rivera diventò famoso per lo Shing – A – Ling, catturando l’attenzione del Barrio nella primavera del 1967 con la sua composizione “Fortuna”, ispirata dai ricordi di Portorico.
Nell’anno 1965, dopo aver inciso cinque LP per i marchi Battle e Riverside, Mongo Santamaria firma con la Columbia Records. Mongo vide aumentare la propria popolarità con gli LP El Bravo e Pussy Cat.
Nell’anno seguente la popolarità del boogaloo era in ascesa, cosa che contribuì a far diminuire in modo drastico il lavoro per le grandi orchestre.
Negli anni successivi il boogaloo esplose, tanto che sul mercato arrivò una grande quantità di gruppi giovanili che si dedicavano a questo nuovo ritmo.
La popolarità del Boogaloo “ferì” alcuni direttori delle grandi orchestre, che erano già famosi sul mercato latino e in modo tempestivo avvertirono la pressione della nuova corrente musicale; furono così letteralmente rifiutati dal mercato e questo fu evidente quando i contratti iniziarono a dimuire.
La situazione si fece “calda”.
Il maestro Joe Quijano con la sua Orquesta Cachana registrò un brano che avrebbe aperto la polemica contro il Boogaloo; il brano voleva togliere importanza ai lavori che stavano sviluppando i “nuovi ragazzi”.
Per dare veridicità a questo criterio abbiamo chiesto al maestro Quijano e questo è ciò che ci ha risposto: “Credo di esser stato ingiusto con i ragazzi”.Il brano prese vita mentre stavo provando nel Bronx Casino con l’Orquesta Cachana. Ad un certo punto entrò Johnny Pacheco che stava andando in riunione con Maceda per discutere di un contratto.
Ero furioso e borbottante contro il boogaloo, ci siamo diretti al laboratorio di Maceda e abbiamo parlato dell’ambiente musicale che aveva portato avanti il boogaloo e del fatto che questo stava andando alla grande”.
“Io dissi a Pacheco – dimenticati del boogaloo che passerà, io continuo con il mio montuno e non torno indietro. Mentre parlavo con Pacheco mi ricordai che quando andai a L’Habana si discuteva sul travolgente ritorno del Cha Cha Cha e Cabrerita aveva un coro molto popolare che diceva” (il maestro procede a cantarlo): “Io mi diverto ballando, lasciami col mio son, continua tu a saltare col tuo Cha Cha Cha”.
Da lì presi ispirazione per la famosa melodia.
Allora tornai dove i ragazzi della mia banda stavano provando e dissi a Paquito Pastor: “Paquito, suona questo”: “Il boogaloo passerà, io continuo con il mio montuno per divertirmi, ehh, il boogaloo passerà io continuo con il mio montuno per divertimi, affina Paco, (entra il piano di Paquito Pastor) Boogaloo, Boogaloo, fatti in là e non guardare in qua, boogaloo, boogaloo…”
E continuammo ispirati con il pezzo, facemmo i cori e un delizioso flauto di cinque chiavi suonato da Bobby Nelson; Paquito era fortissimo con i “guajeos” al piano, che era la base del boogaloo, la nostra prima tromba era Al Bryant e in quel brano brillò perché era esperto di boogaloo, lui è “sureño”. “per me il piano di Pete Rodriguez nel brano It Like It è preso dai “guajeos” di Moliendo Café.
Io incisi un LP intero di Boogaloo, Shing – A – Ling e un altro ritmo negro che non ha sperimentato nessuno, il “Wobble”. Lo si può trovare nel Vol.5 dell’Orquesta Cachana, sotto il marchio di Cesta Records.
“Pacheco non registrò mai boogaloo e shing-a-ling, era molto occupado a registrare le cose di Cuba, non era interessato alle nuove correnti musicali”.
Il Gran Combo di Puerto Rico era restio all’idea di entrare a far parte del movimento del boogaloo, però visto che s trovava in un mercato dominato da tale ritmo si decisero a registrarlo.
Nell’anno 1967 escono con l’incisione “Boogaloo con el Gran Combo” con cui ricevettero il loro secondo Disco d’Oro (i brani erano: ¿Tu Querías Boogaloo? Toma Boogaloo, Baila Mi Shingaling, Navidades A Go Go, Se Quedo El Boogaloo, Boogaloo Con Bajo, Sway To And Fro, Shing A Ling For My baby, tra gli altri).
Bisogna sottolineare che in quel periodo già avevano registrato 12 album ma è nel momento di massimo successo del boogaloo, nel 1968, che il Gran Combo subì un duro colpo e per un periodo di cinque o sei anni fecero solo uno show del mezzogiorno nella tv di Puerto Rico e un programma radio quotidiano.
Il direttore del Gran Combo, il maestro Rafael Ithier commenta: “Alla lunga ciò ci ha danneggiati. Abbiamo smesso di vendere dischi e ci hanno allontanati. La crisi fu tra il 68 e il 71 però i ragazzi furono fedeli al gruppo e fecero molti sacrifici. Andy Montañez era ancora nostro cantante e gli fecero offerte che non volle accettare. In cambio ipotecò la sua casa per avere denaro per poterci fare un disco, perché ci cacciarono persino dalla compagnia dei dischi. Fu un gesto di grandezza che non dimenticherò mai.
Con il disco Don Goyo poi ripagammo completamente Andy. Più avanti sarebbe venuto il disco dal quale uscì la hit “Un Verano en Nueva York” che, assieme a “Las Hojas Blancas”, diede al Gran Combo una ventata di aria nuova.
“Fu una crisi violenta – aggiunse Ithier – Da allora abbiamo continuato più o meno bene. Chiaro, arrivò un momento in cui La Fania si accaparrò tutto. Non ci fu tanto crisi quanto un calo nella domanda perché c’erano troppe orchestre”. Martínez. L. (2005)
Fine seconda parte
Mentre Mongo dichiara: “Il boogaloo non mi ha tolto nessun lavoro”.“Gli anni sessanta furono i miei anni migliori. Io ho suonato e registrato son montuno, pachanga, boogaloo, guajira boogaloo, jazz afro cubano, blues, soul, bossa nova e rock. Ho lavorato in molti locali e collegi, per di più in vari paesi. Avevo lavoro con sei mesi di paga anticipata”.
Nel 1969, Mongo Santamaria e la Columbia Records sciolgono il contratto. Mongo non segue i consigli di quelli che gli raccomandano di desistere dal registrare Latin Soul o Latin Boogaloo; Mongo continua a registrare per l’etichetta Atlantic Records musica Latin Soul e Rock, fino alla metà del 1972, momento in qui firma un contratto con l’etichetta Fania Records.
Jerry Masucci si gioca l’idea di non porre limiti affinché Mongo registri quel che desideri: El Pussy Cat, La Bamba, Bravo, Hey! Let’s Party, Mongo Mania (incluso nell’album “Cloud Nine” del 1969, e che fu un successo dei Los Temptations). Eddie Palmieri, nell’intervista che gli fece Laffitte (2002), ci svela alcune direttive di grande importanza: “Si, io mi ricordo bene quanto fu pregiudiziale quel momento, dal momento che non ero motivato da niente che si avvicinasse a… quel boogaloo”.“Alcuni gruppi giovanili lo stavano facendo e cantavano in inglese. Questa situazione mi spinse quindi ad effettuare alcuni cambiamenti”. “Loro – le bande giovanili di boogaloo – andavano alla grande (erano richiestissime) e noi cominciammo invece a perdere lavoro”. “Mio fratello maggiore Charlie non trovò lavoro in nessun locale per un anno a causa dell’impatto causato dal nuovo suono del boogaloo”. “Fu come una pazzia e noi non ci adattammo… io personalmente non mi impegnai a suonare boogaloo. Non mi lasciai catturare, giammai, davvero… non avevo il feeling per farlo. Comunque ricordo che registrai alcune piccole cose che si possono chiamare Boogaloo o Shing-A-Ling, però furono più “tipiche” di qualsiasi altra cosa. Non ero messo male, in giro c’era poco lavoro, ma la crisi in tutti i modi ci riguardò; vede, il lavoro non si otteneva con facilità e una volta che lo avevi, non potevi fartelo scappare”. Ironicamente, alla fine della vita del Boogaloo, Eddie Palmieri incise un favoloso album intitolato “Champagne” e lo stesso accadde a suo fratello che registrò un LP intitolato “Charlie Palmieri – Latin Boogaloo”. La perdita di lavoro colpì anche le band di Tito Puente, Machito, Tito Rodriguez, Joe Quijano, Pacheco, Vicentico Valdés, Orquesta Broadway, Orlando Marín, Pupy Lagarretta, ecc.
La maggior parte dei maestri delle “big band” e di tutti i grandi degli anni 50 parlano di questo periodo con rancore. Per loro semplicemente era tramontata la buona musica cubana e al suo posto si suonava ora un disordine che utilizzava il son come uno straccio da cucina. In effetti questi anni risultarono eccessivamente duri e tortuosi.
Continua ad essere pietoso, ad esempio, ascoltare le ultime incisioni di Arsenio Rodriguez, uno dei grandi geni, che finì per registrare un boogaloo mediocre che non gli corrispondeva in nessun modo, così riassunse nel suo libro Cesar Rondón (1979).
… E La Lupe?
Tito Puente inizialmente attaccò i gruppi di boogaloo e si rifiutò di registrare, per breve tempo, il ritmo di moda ma alla fine si riconciliò con la nuova situazione della Grande Mela. La Lupe arrivò a New York nel 1962 e cominciò a cantare nel cabaret cubano La Barraca nel Midtown di Manhattan.
Mesi più tardi il maestro Mongo Santamaria, leggendo la rivista cubana “Bohemia”, venne a sapere che la cantante nelle sue performances canore era come posseduta dal demonio.
Dopo l’esilio, realizzò che avrebbe potuto incontrarla a New York. Incuriosito dal personaggio, la raggiunse per conoscerla alla Barraca.
Il 17 di dicembre del 1962 La Lupe registra con Mongo, per l’etichetta Riverside Records, “Mongo Introduce a La Lupe”.
Nel momento in cui il gruppo di Mongo Santamaria si esibisce con La Lupe al Teatro Apollo, al Club Triton, al Palladium Ballroom e in altri locali, lei viene immediatamente riconosciuta come la nuova stella latina. Nel 1964 La Lupe debutta con l’orchestra di Tito Puente nel Loews Boulevard Theatre del Bronx’s. La Lupe fece di questo periodo il suo regno assoluto, nonostante la sua instabilità caratteriale. Quando Tito Puente uscì sul palco accompagnando con la sua Grande Orchestra la voce della Lupe, l’ambiente ne uscì rivoluzionato, giacchè l’elemento del canto, fino ad allora marginale, pungente, eterodosso, quasi impreparato, divenne l’armonia e al tempo stesso la rottura nei suoi spettacoli (“cantante gridona, disordinata e con mancanza di rispetto” così la definirono alcuni giornalisti del giro newyorkese)… In questo modo La Lupe, con la grande orchestra di Tito Puente, si avvicinò al Barrio. La Lupe arrivò per Puente al momento giusto. Con la Tico registrarono l’album di boogaloo “Puente Swings, The Exciting Lupe Sings” (1965). Dopo una registrazione con il marchio Tico, Puente ruppe con La Lupe, sfinito dal temperamento difficile della cantante.
A un certo punto entra in scena Ricardo Ray. con “Lookie Lookie Now, How I do the Boogaloo, Lookie Lookie Now!”
Se riguardiamo la scena della musica Latin Boogaloo o Latin Soul della metà degli anni 60, non possiamo non ricordare l’ammirato pianista Richie Ray. Nel 1966 esce sul mercato una sua produzione che si sarebbe autoproclamata come l’iniziatrice di un movimento di avanguardia che avrebbe invaso New York e che si sarebbe sviluppata, nella stessa New York, nel movimento chiamato SALSA.
Il disco “Se Soltó/On The Loose” portò al giovane e virtuoso pianista la fama di innovatore nella musica latina: con i brani come “Danzón Boogaloo” e “Lookie Lookie”, Ricardo Ray avrebbe imposto un accento latino al boogaloo, precedentemente associato al soul e al “rhythm and blues” afroamericano.
La proposta di Ricardo sarebbe coincisa con il suo arrivo alla “establo” della Alegre Records, e il suo colpo di genio fu molto ben fiutato dal produttore della casa discografica, Pancho Cristal. Infatti, nel momento in cui scade il contratto di Ricardo Ray con la Fonseca Records, il cofondatore della Fania Records, Jerry Masucci, si dimostra molto interessato a ottenerli per estendere il proprio catalogo di artisti che in quel momento includeva Bobby Valentín, Johnny Pacheco e Larry Harlow.
Dalle parole dello stesso Masucci “… negoziai con loro e ci mettemmo d’accordo per firmare un contratto di registrazione. Mai dimenticherò che avevo il contratto nella mia borsa, pronto per farlo firmare quando ci saremmo incontrati più tardi nel ristorante “La Barraca”. Per una qualche ragione il contratto non si firmò e ci accordammo di riunirci nel mio studio il giorno seguente. Il giorno seguente ricevetti una chiamata di Richie che mi diceva che il suo agente, Jose Curbelo, li aveva convinti a firmare con Tico Records. Questo mi insegnò un’altra lezione… il loro contratto con la Tico non durò molto e, scaduto quello, li feci firmare durante una delle loro prove. Mai dimenticherò che, scendendo le scale con il contratto firmato in mano, il proprietario di Fonseca stava salendo con un altro contratto. Avevo imparato bene la mia lezione.”
In quello stesso anno, Ricardo lanciò il boogaloo in uno degli incontri storici più importanti della musica latina nella città di New York, successivamente registrato su tre dischi. Le “Descargas Live at the Villane Gate” avrebbero avuto come parte del repertorio una canzone chiamata “Descarga Boogaloo”, musicalmente diversa dal resto del repertorio che si eseguì quella notte. Le esibizioni canore di Cheo Feliciano e di Monguito el Unico, evidenziarono la nuova onda che stava investendo l’evoluzione musicale nella città di New York. L’era gloriosa del Palladium e delle Big Bands era ormai passata e il terreno era pronto per l’incursione di nuovi e piccoli gruppi (paragonati con i Big, queste orchestre erano composte al massimo da 8-9 musicisti) che avrebbero approfittato della congiuntura storica per togliere la fama alle orchestre che già da tempo dominavano le radio e le piste da ballo. Più tardi queste “vittime” avrebbero poi recuperato il terreno perduto, non per la forza della loro proposta musicale, ma per fattori completamente estranei all’arte e anche molto radicati nell’arroganza personale.
“Boogaloo Boogaloo, Yeah Yeah, Boogaloo!”
Il vortice che causò l’esplosione del boogaloo a New York nel 1966, portò l’anno seguente il lancio di un disco per la Alegre Records sulla cui retrocopertina si definiva Ricardo Ray come un precursore, affermazione che tuttora origina discussioni simili a quella per cui la salsa sarebbe semplicemente “musica cubana suonata fuori da Cuba”. Qualunque sia la verità cronologica di questa affermazione, ciò che è certo è che con l’album “Jala Jala y Boogaloo” e con brani come “Colombia’s Boogaloo” e “Mr. Trumpet Man” (LP vol II), Ricardo Ray e la sua orchestra si consacreranno tra i massimi esponenti del Latin Boogaloo a New York, oltre ad essere innovatori, talentuosi e sperimentatori. A parte ciò, lo sconfinamento di questa orchestra verso altri ritmi sarebbe stato un riflesso ogni volta diverso e dinamico di ciò in cui si stavano convertendo i repertori delle orchestre newyorchesi.
“Jala Jala” era stata una creazione del Gran Combo con Roberto Roena, inventore del medesimo e interprete del ritmo principale della campana, forse con l’intenzione di non rimanere indietro in un momento in cui i giovani fremevano per nuove creazioni e proposte musicali. Questo fenomeno di reciproca influenza tra le orchestre segnò uno dei periodi più originali nello sviluppo della musica latina, momento che avrebbe poi lasciato spazio alla tappa successiva, nota come Salsa.
Come prova precisa a sostegno dell’argomento, fatta eccezione pe rari casi, è sufficiente ascoltare le sonorità della maggior parte delle orchestre, prima e dopo il boom del Latin Boogaloo, per notare l’effetto a lungo termine che ebbe questo movimento nell’identità dei singoli gruppi.
Ma… qual è la novità? Palmieri che suona il boogaloo?
Nel 1968 era già chiaro che si erano sviluppate due chiare tendenze come reazione all’avvento del Latin Boogaloo:
La prima tendenza fu l’avversione alla quale era soggetto il boogaloo da parte di varie orchestre che non lo accoglievano nei propri repertori; esempio classico di ciò, l’atteggiamento di Willie Colón ed Héctor Lavoe nel brano “Eso Se Baila Así” dall’album “The Hustler”. Dopo una intro in cui sembra che abbraccino il Boogaloo, il famoso duo procede a rifiutarlo energicamente: Nell’anno 1968 era già noto che si erano sviluppate due chiare tendenze come reazione all’avvento del Latin Boogaloo. Innanzitutto l’antagonismo cui era soggetto il boogaloo da parte di varie orchestre che non lo accoglievano nei propri repertori. Esempio classico di ciò era l’atteggiamento di Willie Colón ed Héctor Lavoe nel brano “Eso Se Baila Así” nell’album The Hustler. Dopo un’ intro in cui sembra che abbraccino il Boogaloo, il famoso duo procede a rifiutarlo energicamente:
Coro: “Il Boogaloo non fa per me”
Lavoe: “Non fa per me il Boogaloo, ballalo tu!”
Coro: “Il Boogaloo non fa per me”
Lavoe: “Come? Tu lo vuoi ballare? Ma vattene, va’!”
Le orchestre che avevano adottato incondizionatamente il boogaloo sarebbero entrate in una querelle musicale con coloro che lo criticavano. E’ per questo che esistono brani come “Que Se Rían” dell’album “Jala Jala Y Boogaloo Vol.2” nel quale Ricardo Ray e Bobby Cruz affrontano la critica dei “tradizionalisti”:
Coro: “E lasciate che rida la gente, di Ritchie Ray”
Bobby Cruz: “Ridevano del Boogaloo, e ora guarda un po’!”
Coro: “E lasciate che rida la gente, di Ritchie Ray”
Ritchie e Bobby: “Il Boogaloo, è una cosa che non durerà, eh!”
Coro: “E lasciate che rida la gente, di Ritchie Ray”
Bobby: “Continua tu con il tuo montuno, che io ti lascio là!”
(Queste parole erano dirette a Joe Quijano e al suo brano “Lo Del Boogaloo” che abbiamo commentato prima)
Coro: “Il boogaloo, passerà
Io continuo con il mio montuno
Eh! Per divertirci!”
La seconda tendenza, sempre in reazione al boogaloo, era quella che alla fine accettava che il medesimo fosse diventato talmente di moda che avrebbe dovuto essere utilizzato nelle proprie composizioni. E’ così che vediamo come Eddie Palmieri, uno dei principali critici del Latin Boogaloo, alla fine lo adotti proprio in quello che sarà il disco di maggior successo del 1968: “Champagne”.
Eddie Palmieri, detto l’enfant terrible della musica latina, ci avrebbe proposto in questo disco non solo Cheo Feliciano (poco dopo il termine del suo sodalizio con Joe Cuba) e il maestro Cachao al basso, ma anche tre dei boogaloo piu sabrosi che sarebbero mai stati “cucinati” nella Grande Mela.
Con “Ay Que Rico”, “Cinturita” e “Palo De Mango” il maestro Palmieri ci dimostra che anche nelle situazioni un pò “scomode” il suo genio non aveva limiti nell’adottare le “mode” nel proprio repertorio. Di fatto questo disco fu nominato per tre premi nell’allora appena istituito “Latin Music Entertainment Award”, della rivista Latin New York Magazine, evento che si svolse alla Albert Hall dell’Hotel Americana a New York. Le orchestre che animarono lo spettacolo furono quelle di Tito Puente, Eddie Palmieri, Ricardo Ray e la Orquesta Broadway, show che finì con l’essere una grande frustrazione per chi stava entrando nell’onda del boogaloo.
Con cinque dei sette brani di Champagne frequentemente trasmessi alla radio newyorchese, la premiazione di Palmieri come miglior orchestra, miglior LP e miglior musicista sembrava quasi sicura. Eddie perse in tutte e tre le categorie, due di esse (miglior LP e migliore orchestra) a favore di Jala Jala y Boogaloo di Ricardo Ray (Salazar 2002).
La frustrazione fu tale che Palmieri non suonò più in pubblico il brano Lindo Yambú, per il quale venne sostituito al piano da Ira Herscher. Il grido palmieriano di insoddisfazione e di frustrazione in qualche modo si sentì nella successiva opera Justicia…
Per quanto concerne Ricardo Ray, il successo del suo disco Jala Jala y Boogaloo Vol. 2 (dovuto in gran parte al successo di “Mr. Trumpet Man”) lo avrebbe portato ad adottare uno stile, per certi versi “rischioso”, ma che nel contempo gli permise di entrare in nuovi mercati, affermando anche il successo del boogaloo stesso.
La registrazione dell’album “Let’s Get Down To The Real Nitty Gritty” avrebbe trovato ancora più spazio nel mercato anglosassone con brani di taglio tradizionale nella direzione del soul, nella linea di Mongo Santamaria.
Questo LP della metà degli anni 60, contiene una canzone che influenzò molta gente di Los Angeles ed è “El Alma Original de México”, caratterizzato da versi tormentati e da cori accattivanti, e contiene tra le altre: “Ya Ya”, “I Want You To Be My Girl”, “Mony Mony”, “Shout” e “Soul Man”.
Il disco, in quanto tale, ebbe relativa diffusione e fama nell’ambiente musicale di NY, però riscosse soprattutto un gran successo dall’altra parte del mondo, specialmente il brano “Nitty Gritty” in paesi come Germania e Spagna.
Tra gli LP rimasti in ombra e strani abbiamo ad esempio quello registrato da Jack “Mr Bongo” Costanzo, nato a Chicago ma di discendenza siciliana.
A 14 anni imparò a ballare la musica latina. Dopo la seconda guerra mondiale il suo contingente fu scaricato ad Alameda, in California settentrionale, e da lì si innamorò di Los Angeles.
Il suo primo impiego professionale risale al Gennaio 1946 con l’orchestra di Bobby Ramos, poi lavorò con quella di Ernesto Lecuona, Xavier Cugat, Pérez Prado con Modesto Duran, e Desi Arnaz; ebbe come pianista il messicano-americano Eddie Cano, e suonò brani arrangiati anche da Tito Rodríguez.
Verso gli anni ’60 Jack si dirige verso le sonorità pop formando un gruppo con il cantante Gerry Woo.
Jack lavorò anche come attore partecipando ad una serie di film, tra i quali “Visitor To Small Planet” e “The Delicate Delinquent”, con il comico Jerry Lewis. Jack è anche considerato uno degli artefici del mambo e del cha cha cha americani.
Nell’ LP “Latin Percussion Con Soul” è solista e realizza il suo esordio nel genere Latin Soul, sulla scia di Willie Bobo. L’opera comprende due grandi composizioni di Héctor Rivera: “Recuerdo” e “Vengo Acabando”.
Bene, e che succede in America del Sud?
Il Sexteto Juventud del Venezuela produce i suoi primi due LP il 13 Giugno 1967 e il 24 Settembre dello stesso anno, entrambi ricchi di boogaloo. Cortesia del portale francese www.buscasalsa.com Fine terza parte
Le radio del Sudamerica sono invase dal boogaloo, i piu importanti programmi di musica caraibica si lasciano letteralmente conquistare da questa nuova sonorità. In Venezuela, Colombia, Panama, Curaçao e Perù si iniziano ad ascoltare per radio Pete Rodríguez, Pete Rodríguez, Joe Cuba, Joe Bataan, Johnny Colón, Ralph Robles, Willie Rodríguez, Roy Román, Lebrón Brother, Frankie Nieves, Willie Bobo, Gilberto Cruz y su Sexteto, Héctor Rivera, Los Latin Souls, King Nando, Mario Allison, Joey Pastrana, Pijuan y su Sexteto etc.
Tuttavia è il Venezuela il paese che risponde con maggior forza, dando i natali a orchestre e sestetti come Federico y su Combo Latino, i Los Dementes di Ray Pérez con la voce di Perucho Torcat (nel 1967 incisero 6 LP, il primo dei quali è intitolato “Manifestacion en Salsa”), il Sexteto Juventud che poi si divise per dar luogo a Tabaco y sus Sextetos.
Carlos Quintana Tabaco con Arrollando
Federico emozionò l’ambiente con i suoi migliori successi di boogaloo e di salsa: “Federico Boogaloo”, “El Cobrador” e “Todo el Mundo”, del Sexteto Juventud (gruppo fondato il 13 Maggio del 1962, con il nome di Conjunto Rítmico Juventud e che solo successivamente diventerà il Sexteto Juventud. Questa formazione per buona parte del tempo fu formata da Olinto Medina come direttore e bassista, da Juan Medina alla chitarra, da Arturo López alla voce, da Elio Pacheco alla tumbadora, da Carlos Croquer alla batteria, da Isaias al bongó). I loro primi due primi LP “Guasancó” (1967) e “Más Guasancó” (1967) diedero molto spazio al Boogaloo, fra le canzoni più conosciute ricordiamo: Boogaloo, Descarga en Guasancó, Comand Boogaloo, Descarga a lo juventud; dell’LP del 68 “Guajira Sentimental”, “De Nuevo a Borinquen” e “Jala Jala Navideño” del 1970.
Dalla Repubblica Dominicana il maestro Primitivo Santos e dal Peru il maestro Pepe Hérnandez
Dalla Repubblica Dominicana ricordiamo il maestro Primitivo Santos e dal Perù il maestro Pepe Hérnandez; in Perù troviamo anche un bel boogaloo del già mitico Alfredito Linares intitolato “Yo traigo boogaloo”; nel contempo spopola la straordinaria canzone ibrida “Mambo rock”.
A fine anni 60, con influenze newyorchesi, si formò a Lima il Combo de Pepe Hérnandez, bassista e leader del suo gruppo. Questo gruppo era costituito da un sassofono tenore, dal flauto, dalla tromba, da una sezione ritmica latina e da un piano “furioso”. Essi incisero “Descarga En Menor”, “Yo Traigo El Boogaloo”, “Bailando Boogaloo”, “Burla”, “Cuídate” e “Crueldad”.
Successivamente si formò il gruppo di Pepe Moreno y su All Star Band.
Questa banda ebbe un gran successo con il bellissimo brano “Boogaloo Bola” (miscela di Twist, Cha Cha, Mambo, Boogaloo e qualcos’altro che dice in coro “Go Go En La Salsa”) e con “El Boogaloo de Cantinflitas” (stupendo brano, dedicato al noto cabarettista messicano, proposto fino allo sfinimento dalle varie radio colombiane come stacchetto per presentare i loro programmi comici).
In Colombia le città di Cali e Barranquilla si dichiarano capitali del boogaloo e in entrambe nascono i primi semi di quello che sarà l’ambiente salsero colombiano. A Barranquilla si crea La Protesta, ispirata all’orchestra di Tony Pabón.
Vi cantava un tale soprannominato Miche Boogaloo. Si formarono anche dei piccoli gruppi come quello dei Platinos con il cantante Jackie Carazo (animarono anche il Carnevale della Reina Perla Pompeyo).
Cali vide nascere molti gruppi di boogaloo: proprio dal Barrio Obrero veniva una grande ballerina di Pachanga e Boogaloo, la famosa – nonché celebrata in varie canzoni – “Amparo Arrebato“.
Nel Febbraio del 1968, l’orchestra di Ricardo Ray visita con il suo rinnovato stile musicale entrambe le città. Ed è a Cali, dove i ballerini impongono la velocità dei 45 giri agli album da 33, per adattarli al modo di ballare caleño.
Nel frattempo a Panama si affaccia sulla scena l’Orchestra di Bush Y Sus Magnificos di Francisco Bush Buckley che, assieme al giovane cantante Rubén Blades, interpreta i successi di Joe Cuba e di altri gruppi come il Conjunto Latino di Papi Arosemena, i Los Salvajes del Ritmo, i Los Silverstone, i Los Soul Fantastics, i Los Mozambiques, i Los Beachers, gli El Combo Impacto, tra i tanti.
Nella Repubblica Dominicana si afferma con molto swing il Maestro Primitivo Santos y su Combo, con un LP intitolato “Yo Vuelvo Pa’ Gozar”, una stupenda incisione degli anni 60. Le sue canzoni sono crude, decisamente in armonia con il nome del suo gruppo, i Primitivos. Di questo album riscosse molto successo, nelle programmazioni radiofoniche, il brano “Cuando Te Miro”, un boogaloo che è una versione latina di “Downtown Mad Mad Mad”, così come la descarga “El Robo Del Siglo”.
Sempre Dominicani furono Johnny Ventura e Bobby Quesada: Johnny Ventura incise l’LP “Boogaloo Esta En Algo”, all’interno del quale si distingue l’eccellente brano “Triángulo” firmato Bobby Capó, oltre a “Boogaloo Pa Gozar”, “Congo Blues”, “Ella Baila Boogaloo”. Il Maestro Bobby Quesada incise l’LP “Boogaloo en el Barrio” nel quale spiccano, tra le altre, “Bataola Boogaloo”, “Mi Barrio” e “Ritmo Moderno”.
Il gruppo brasiliano Boogaloo Combo col suo LP “Com Muito Ritmo” e il Maestro Dominicano Bobby Quesada col suo LP Boogaloo En el Barrio”.
Il Maestro Dominicano Bobby Quesada si afferma con l’LP “Boogaloo en el Barrio” mentre il gruppo brasiliano Boogaloo Combo, nel 1972, propone, per l’etichetta Epic, il sorprendente l’LP “Com Muito Ritmo”, album ad oggi considerato “strano e oscuro” (underground).
Il Boogaloo Combo si formò nel 1968 negli studi della CBS (l’attuale Sony Music) di Rio De Janeiro, ad opera del compositore argentino Roberto Livi e del Maestro Uruguagio Miguel Cedras, in seguito a una loro visita alla sede della Columbia Records a New York. Rimasero sorpresi e colpiti da ciò che videro nei barrios latini, dopo aver assistito ad alcuni concerti di Willie Bobo, Joe Bataan e Mongo Santamaria
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MONGO SANTAMARIA: Leah
JOE BATAAN: I wish you love
Il primo disco uscì nel 1968 per l’etichetta Epic, con il titolo “Boogaloo Combo”, cantato dallo stesso Roberto Livi, ma non ebbe il successo sperato, cosa che invece si realizzò nel 1972 quando incisero il sopracitato “Com Muito Ritmo”, caratterizzato da versioni strumentali di noti brani brasiliani dell’epoca e ispirato allo stile di Willie Bobo.
In effetti lo stile di questo gruppo era chiaramente influenzato dai gruppi della West Coast, tra i quali El Chicano, The War e i Malo (che tra l’altro incisero vari boogaloo a metà degli anni 60). Il disco ebbe una buona risposta da parte del pubblico, ma Roberto Livi fece ritorno in Argentina e Miguel Cedras andò negli Stati Uniti a fare il manager della divisione latina della Columbia.
Questi lavori son stati rieditati per l’etichetta Rhino Handmade.
In questo album erano inclusi i brani strumentali: “Pana”, “Café”, Suavecito”, “Oye Mama”, “I’m For Real”, “”Latin Boogaloo”, “Moving Away”, “Offerings”, “Latin Woman”, “Chévere”, “Close To Me”, e “Love Will Survive”. I Boogaloo Combo proposero, inoltre, i seguenti brani strumentali: “Way Back Home”, “Suavecito”, “Un Rayo De Sol”, “Put It Where You Want It”, and “Ebony Eyes”.
Un altro cantante brasiliano che si avventurò nell’onda del boogaloo fu Eduardo Araújo con il disco “A Onda Agora É Boogaloo”, del 1968. Recentemente stampato su CD, non si può definire un lavoro strattamente “latino”; la sonorità tende più al soul nordamericano ed infatti Eduardo era un musicista piu identificato con il Rock’n’Roll brasiliano dell’epoca.
La radice del boogaloo aveva dato i suoi frutti nel continente dove si parla spagnolo, pertanto è qui che assume un colore “creolo”.
Il Latin Boogaloo mantenne la sua egemonia negli anni della controcultura, periodo in cui accaddero importanti avvenimenti sociali come la Rivoluzione Cubana, l’embargo Usa imposto a Cuba, anni che videro affermarsi il sesso, l’uso delle droghe, il rock and roll, i figli dei fiori, il festival di Woodstock, gli hippies, le droghe psichedeliche, gli attivisti Abbie Hoffmann e Jerry Rubin (entrambi divennero famosi quando marciarono contro la guerra del Vietnam in occasione della convention del Partito Democratico a Chicago del 1968), il professor LSD Timothy Leary, le Pantere Nere, gli Young Lord Party, Angela Davis.
Furono anni di proteste e di tumulti: i Neri acclamavano il “Black Power”, durante le sommosse dei grandi ghetti di Los Angeles, della Georgia, di New York, di Chicago; le associazioni studentesche dell’Università di Kent in Pennsylvania e di Berkeley in California protestavano contro la leva obbligatoria.
Altri fatti che segnarono quel periodo furono gli assassinii di Bob Kennedy e di Martin Luther King, la liberazione sessuale, la morte di Che Guevara. Personaggi di rilievo furono Joan Baez, Bob Dylan, Jimmy Hendrix; i poeti Beatnicks diedero un aiuto alla gioventù ribelle grazie al loro humor e alla loro intelligenza… e ad un tratto arrivò la crisi del boogaloo… .“boogaloo, boogaloo. . .non guardare al tempo passato.”
Il Maestro Bobby Valentín con due LP “pieni di boogaloo” e il Maestro Willie Rodríguez”
A proposito della fine del Boogaloo, riprendiamo i concetti espressi da Fernando Rivera detto “King Nando” (famoso nel Barrio per i suoi Shing A Ling e che catturò l’attenzione nella primavera del 1967 con la sua composizione “Fortuna”) durante l’intervista rilasciata al signor Max Salazar (ndr: storico della musica latina) e riportiamo qui i passaggi piu significativi che ci aiuteranno a comprendere le ragioni della fine dell’epoca del boogaloo.
“Il Boogaloo non morì, fu ucciso dall’invidia dei vecchi direttori delle grandi orchestre, da alcuni organizzatori di serate e da un popolare dj radiofonico di musica latina” (probabilmente Polito Vega o Symphony Sid). “Noi eravamo una delle bande piu forti dell’era boogaloo e attiravamo molta gente ma non avevamo un ritorno economico proporzionato.
I direttori delle orchestre boogaloo furono costretti ad accettare contratti a pacchetto comprendenti l’esibizione in vari locali all’interno della stessa serata, cosa che causò subbuglio nella comunità dei musicisti; un’ora qui, un’altra là, e il tutto per pochi soldi. Quando gli impresari capirono che stavamo per organizzarci per rifiutare uniti questo tipo di contratti, i nostri dischi furono censurati dalle radio. Fu a questo punto che il Boogaloo cessò, e con esso la carriera di molti direttori di orchestre boogaloo”. “L’era del Boogaloo arrivò alla fine quando noi, i gruppi giovani, cercammo di ribellarci contro la forma di distribuzione dei contratti” commentarono i Lebrón Brothers.
Il giornalista Carp David nel 1997, durante un’ intervista per la rivista online Descarga, chiese al maestro Johnny Pacheco“se la novità del Boogaloo e del Latin Soul lo avessero in qualche modo influenzato in termini musicali e in quel che egli faceva con la Fania”, e Pacheco rispose: “Per me fu un gran momento. Quando il boogaloo saturò il mercato, la gente poco a poco iniziò a stancarsi di ascoltare le solite band che suonavano lo stesso ritmo boogaloo. Il piano guidava più o meno la solita melodia. Per questo allora, la gente mi cercava, per il fatto che io continuavo a suonare i ritmi tipici per ballare. Eddie Palmieri si rifiutò di passare al boogaloo, e pure io. Può anche essere che abbiamo suonato qualcosa di Boogaloo. Così noi “cucinammo” e partecipammo a molti “spezzatini” più che altri, proprio perché noi rompemmo la monotonia del Boogaloo”.
L’eccitante mondo che generò il Boogaloo presto cominciò a svanire. Difatti, al consolidarsi a New York della “nuova cosa grande” della musica latina conosciuta con il nome di “Salsa”, il Boogaloo cominciò a eclissarsi, ed una grande quantità di giovani talentuosi furono bloccati dalla strategia commerciale della nuova organizzazione. Si aprirono le porte solo ad una minoranza: Cheo Feliciano, Eddie Palmieri, Bobby Quesada, Ray Barretto, Joe Bataan, Ralfi Pagán, Bobby Sanabria, Richie Ray tra gli altri…
Nel lavoro di Flores (1999) si nota che anche Willie Torres, cantante di Joe Cuba, si lamentava sull’annichilimento del boogaloo latino, annotando: “La maggiore responsabilità dell’eclissi del boogaloo, nel nome della salsa, fu della Fania Records che definì il suono degli anni sessanta”.
JOE CUBA
JOE CUBA: Mujer Divina
I primi due LP della Fania All Stars nel Red Garter portano nella propria cellula primaria il ritmo del Boogaloo.
I primi due LP della Fania All Stars nel Red Garter includono nella propria cellula primaria il ritmo del Boogaloo.
Ma il Boogaloo, lo Shing-A-Ling e l’Jala Jala non fecero parte del “pacchetto”, non si accettò la fusione dell’American Rhythm and Blues (R&B), che era davvero la musica originata per le strade e per i ghetti newyorchesi. Furono pochi i musicisti che crearono il boogaloo che vennero scelti dalla Fania All-Stars nella storica notte del Cheetah quando si girò il film “Our Latin Thing – Nuestra Cosa Latina”.
Quel che davvero bisogna ricordare e che non dobbiamo perdere di vista è che la stessa Fania All-Stars, nelle sue prime registrazioni, mise nella sua parte organica una cellula del Boogaloo, combinata a sua volta con il Son Cubano. Questo dato si evince analizzando i primi due LP della Fania: “Live at the Red Garter”, Vol.1 e “Live at the Red Garter”, Vol.2.
Nel primo si registrò il brano di Joe Bataan“Country Girl – City Man” che è appunto un boogaloo; addirittura nel secondo volume il lavoro fu maggiormente dedicato al boogaloo, i brani “Son Cuero Y Boogaloo”, “Red Garter Strut”, “Kikapoo Joy Juice” e “Richie’s Bag” sono tutti boogaloo.
Ad eccezione del maestro Johnny Pacheco (che non registrò boogaloo con le sue orchestre), tutti gli altri musicisti che parteciparono a questi due LP fanno parte del movimento del boogaloo, sia che si tratti dei capostipiti del genere sia che si tratti di quelli che parteciparono al suo ultimo periodo e citiamo tra tutti: Ray Barretto, Joe Bataan, Willie Colón, Héctor Lavoe, Larry Harlow, Monguito “el único”, Bobby Quesada, Louie Ramírez, Ralph Robles, Monguito Santamaria (il figlio di Mongo), Bobby Valentín (che incise diversi boogaloo), Tito Puente, Eddie Palmieri, Ricardo Ray e Jimmy Sabater. Willie Colón e il suo cantante Héctor Lavoe (musicisti del barrio) registrarono diversi pezzi di boogaloo nell’LP “El Malo”. Lo scrittore Max Salazar sostiene che “entrambi i musicisti (Willie Colón e Héctor Lavoe) rappresentano il ponte tra il boogaloo e l’avvento della salsa”. E in effetti, è da quel momento che la Salsa suona brillante, di strada, cruda, “sporca” e vitale.
Monguito Santamaría (figlio di Mongo) y el Conjunto Malo.
Si dice che il Latin Boogaloo sia rinato in Spagna, in Inghilterra, in Germania, in Giappone e in Russia; lo hanno classificato “Latin Acid” o “Acid Jazz” e in molti altri modi. Vengono rimasterizzati in cd la musica di Héctor Rivera, di Mongo Santamaría, il vecchio materiale di Pucho Brown e di altri musicisti afroamericani, il ritmo Pata Pata (che influenzò il boogaloo) di Miriam Makeba, i New Swing Sextet, Joey Pastrana, Bobby Valentín, Ray Barretto, Joe Quijano, ecc.
New Swing Sextet
Sorprende anche che il gruppo colombiano La Sonora Carruseles abbia prodotto un CD – DVD con musica boogaloo per entrare nei mercati di Giappone ed Europa.
Il boogaloo ha insomma rappresentato un modo per penetrare il pop internazionale, la necessità di attraversare la linea divisoria tra due lingue, realizzando il “crossover” e introducendo i brani in entrambi i mercati. “Era la necessità di far funzionare le nostre creazioni in entrambe le lingue, di conquistare le liste del Billborad”, ci spiegò il maestro Joe Quijano. Izzi Sanabria ha affermato che il Boogaloo fu “quel grande mezzo che noi giovani latini abbiamo avuto, per esplorare e attraversare le frontiere in termini musicali”.
I grandi: Gilberto Cruz y su Sexteto, El Terrible Frankie Nieves, Benito y su Sexteto, Azuquita y Kako y el Gran Willie Bobo. . . vaya que sabor mi pana. . .Boogaloo, Boogaloo pa’ goza!
Herencia Latina raccomanda i seguenti Boogalo
I 10 boogaloo di John Child (Cortesia di John Child scrittore di Descarga, speciale per Herencia Latina):
1. Yo Traigo Boogaloo. Alfredito Linares (Perú)
2. Federico Boogaloo. Federico y su Combo (Venezuela)
3. I Like It Like That. Pete Rodríguez
4. Ay que Rico. Eddie Palmieri
5. Boogaloo Blue. Johnny Colón
6. Lokie Lokie Ricardo Ray & Bobby Cruz
7. Subway Joe. Joe Bataan
8. Boogaloo Bola Pepe Moreno y su All Star Band (Perú)
9. Micaela. Pete Rodríguez
10. Tremendo Boogaloo. Mario Allison
I 20 Boogaloo di Herencia Latina:
1. At the Party. Héctor Rivera
2. In the Middle of the Nigth. el Terrible Frankie Nieves
3. Good Feeling. Joe Battan
4. Bang Bang (Push, Push). El Sexteto de Joe Cuba
5. La Banda. Latin Soul
6. Joey’s Thing. Joey Pastrana
7. Shing A Ling Boogaloo. Pijuan y su Sexteto
8. Shing A Ling Baby. Willie Bobo
9. Good Loving. Gilberto Cruz y su Sexteto
10. Playing a Cool. Héctor Rivera
11. Adelante. King Nando
12. Mr Trumpet Man. Richie Ray and Bobby Cruz
13. Boogaloo Cantinflitas.Pepe Moreno y su All Star Band(Perú)
14. Joe Quijano. Lo de Boogaloo
15. Coquero. The New Swing Sextet
16. El Cobrador Federico y su Combo
17. Pelao Ralfi Pagán.
18. Shotgun/Bling Man. Willie Bobo
19. ¿Tú querias Boogaloo? Toma Boogaloo. El Gran Combo de PR
20. Que se Ria la Gente. Richie Ray
Un pezzo importante da ascoltare:
21. Quasi – Boogaloo. Roy Eldring, Oscar Peterson y Dizzy Gillespie
Joe Bataan “Mr. Subway Joe”, El Combo Nacional, Ray Barretto (nell’onda del Latin Soul), Los Hermanos Lebrón, Ralfy Pagán (uno di coloro che hanno dato il via alla balada Latin Soul).
Ringraziamenti allo scrittore venezuelano Gerson Maldonado e all’amministratrice del portale www.buscasalsa.com, Chabelita.
Anche a Bernardo Viera, collaboratore di Herencia Latina in Brasile.
Note:
La canzone Pata Pata fu incisa da Miriam Makeba ma fu composta da Dorothy Mauska. Dorothy Mauska, cantante e compositrice sensazionale, è nata in Rodhesia (l’attuale Zimbawe), ma cominciò la sua carriera musicale in Sudafrica. Dorothy non ha mai goduto di molta fama internazionale, ma molte delle canzoni interpretate da Miriam Makeba sono composizioni sue. La canzone Pata Pata venne registrata da Makeba in Sudafrica a metà degli anni Cinquanta (nel 1956 circa) e poi tornò a registrarla negli Stati Uniti nel 1967, anno in cui si trasformò in un travolgente successo mondiale. Perfino il Gran Combo, con la voce di Andy Montañez, incise una versione di Pata Pata.
Il titolo si riferisce a un ballo molto popolare in Sudafrica. Il testo è semplice e il suo obiettivo è proprio quello di invitare la gente a ballare il Pata Pata, un ballo molto sensuale dove le coppie si toccano il corpo mentre ballano.
Miriam Makeba ha detto che si soprese per il successo mondiale di quella canzone perché, a suo avviso, aveva registrato altri brani dal contenuto molto più profondo. Fu proprio la canzone più leggera ad aprirle le porte della fama internazionale. Ne sono state registrate decine di versioni. La stessa Miriam Makeba ha inciso moltissime varianti una tra le quali con Ricky Martin. Recentemente la stessa compositrice Dorothy Masuka ha registrato una versione di Pata Pata.
Referenze:
Bobbs. Vernon. (1992). Salsiology: Afro-Cuban Music and the Evolution of Salsa in New York City (Contributions to the Study of Music and Dance) 30 de marzo de 1992. pg. 264-283. Greenwood Press. ISBN: 0313284687
Carp David. (1996). Profile: Pucho & His Latin Soul Brothers.
Rondón César (1979). Salsa Crónica de la Música del Caribe Urbano
Salazar Max (1997). Development of Latin music in New York City: lecture at UCLA – Max Salazar; University of California en Los Angeles. Recuperado de: Latin Beat Magazine, May, 1997