Intervista di Enzo “Ciccio” Luoni, traduzione di Stefania “Anthea” Ranzani
Il figlio del rey del Timbal con la verve ereditata dal padre mi ha concesso questa intervista pochi minuti prima del concerto che lo vedeva impegnato con i Big 3 Palladium al festival Latinoamericando 2005.
Come potrete notare dalle risposte, è partito lancia in resta e ha voluto rispondere sempre e solo con il suo pensiero, ma cosa si può fare davanti a così tanta carica ? Niente!!! Assolutamente niente !!!
Sia in Inglese che in Spagnolo le risposte erano contornate e arricchite di smorfie e risate degne dei più grandio comici. Non siamo riusciti nemmeno a fare una foto decente e registrare, sbobinare e tradurre la più difficile intervista del 2005, è stata una faticaccia ripagata dall’ incredibile esperienza nel backstage con i figli di tre dei più grandi artisti del passato.
Ci racconti come e quando è nato il progetto Big Palladium?
Il progetto Big Palladium è partito da
Mario Grillo-Machito Jr., il figlio di Frank Grillo. Mario ha dato una grande e nuova spinta al panorama latino riunendo la grande musica di Tito Rodriguez, Tito Puente e Machito attraverso i loro figli. È nato tutto da questo, ed è un vero onore per me essere qui a rappresentare mio padre.
Che cosa pensi del nuovo boom della salsa tradizionale degli anni ‘70 e di quella degli anni ‘50 come mambo e Latin Jazz e di questo ritornare alle radici?
È una domanda davvero impegnativa…innanzitutto devo fare un appunto: il mio spagnolo non è il massimo…però cercherò di spiegarmi! Negli anni ‘70, con Johnny Pacheco e la Fania…da loro deriva la parola “salsa”…però mio padre, una grande icona – se mi posso permettere – degli anni ‘50 e ‘60, ha sempre parlato di questa musica e l’ha suonata come rumba, mambo, chachacha, guaguanco…questo mix lo vogliamo definire salsa? Allora…Tito Puente ha inventato la “salsa”….con Machito e Rodriguez e altri grandi dell’epoca, ovviamente.
Quali erano le differenze principali delle tre orchestre del Palladium?
Le differenze….Tito Puente ha un sorriso e…una lingua inimitabile! Vedi? Così! (scoppia in una risata che ha del satanico…non si può dire che non abbia preso dal padre!). Rodriguez no, non ha questa caratteristica, ma è un cantante eccezionale….Machito un arrangiatore straordinario…. Però Tito Puente…lo spirito….il cuore….il sorriso…quello che trasmetteva era qualcosa di unico…. Molti dicono che assomiglio tremendamente a mio padre, ma fortunatamente non ho ancora i capelli bianchi…ho 34 anni e quindi li avrò molto presto e gli somiglierò ancora di più! Ma tornando alla domanda…stasera quando vedrete sul palco noi tre, con le nostre sezioni fiati… insomma, gli arrangiamenti sono diversi e questo diversificava anche le tre grandi orchestre dell’epoca. Mio padre era l’unico portoricano che a New York suonava musica cubana…guaguanco, rumba, mambo…e Tito Rodriguez…una voce sensazionale…
A tuo parere, quali sono o sono stati gli artisti più rappresentativi per la storia della Salsa?
Innanzitutto un grande della Fania: Ismael Miranda, cantante senza paragoni. E un cantante che sentirete questa sera, Herman Olivera, che ha cantato anche con Eddie Palmieri. Oppure Charlie Palmieri, se parliamo di latin jazz. Però il più grande, il più famoso, l’ambasciatore in tutto il mondo è senza dubbio Tito Puente: Italia, Giappone, Sudamerica, America Centrale, Australia…in tutto il mondo, Tito Puente è il re della musica latina. E la regina è una sola: Celia Cruz. Lei è stata la mia madrina…ed è la cantante dei cantanti, in tutto il mondo.
Secondo te è corretto dire che negli anni ‘50 il Latin Jazz era più facilmente ballabile rispetto a molte produzioni odierne rivolte più all’ascolto, piuttosto che al ballo?
Oggi il mercato latino è molto diverso. Jennifer Lopez, Marc Anthony…comunque tutti gli artisti latini di oggi sono stati influenzati da personaggi come Tito Puente e Celia Cruz. Non saprei…mi piace la musica di oggi perché è diversa…reggaeton, salsa, merengue…mi piace il mix tra reggaeton e salsa.
Che cosa pensi della nuova musica popolare ballabile cubana chiamata Timba?
La timba? Tutta la musica cubana è musica per divertirsi. Quello che io amo maggiormente è la parte ritmica. Mio padre era un santero. Suonava il timbal a Cuba nel 1939. E i ritmi della rumba, guaguanco, chachacha…così come la bomba plena portoricana….tutto è molto diverso dalla musica di oggi.
Pensi che il futuro della salsa, del mambo moderno e del Latin Jazz sia nel boom del ballo che sta spopolando in tutto il mondo?
Il futuro…non so. Si creano dei mix prendendo da diversi artisti… conosco ad esempio Huey Dunbar, ho dei dischi favolosi….ho molto rispetto per gli artisti che fanno reggaeton, per portarti un altro esempio. Tutto si mescola con la vecchia musica di Tito Puente e Celia Cruz, creando un’incredibile opportunità per tutti coloro che amano ballare la musica latina.
Si ringrazia Tommy Salsero per aver collaborato alla realizzazione di alcune domande.
Nato a Ponce il 3 giugno del 1937, Ismael Quintana è deceduto sabato 16 aprile 2016 in Colorado a causa di un infarto. Aveva 78 anni.
Il piccolo Ismael viaggia insieme alla sua famiglia quando è ancora in fasce alla volta degli Stati Uniti, dove cresce e inizia ad ascoltare alcuni musicisti latino-americani come Tito Rodriguez, Frank “Machito” Grillo, Ismael Rivera e Tito Puente che lo influenzeranno nella sua futura carriera.
E’ un periodo molto bello per il giovane Quintana che si ritrova insieme agli amici del quartiere per cantare alcune fra le canzoni più popolari di quegli anni.
Successivamente viene chiamato da Orlando Marin per un’audizione che non ha successo (Quintana dirà che il vero motivo era quello di far paura al cantante dell’orchestra e non di sostituirlo) ma che gli permette di essere ascoltato da Eddie Palmieri che all’epoca suonava con Tito Puente e che rimane molto colpito dal giovane Quintana.
Nel 1960 Eddie Palmieri chiama Ismael Quintana per un provino a casa sua e iniziano a provare alcuni brani già conosciuti da entrambi e di lì a poco nascerà una collaborazione destinata a fare la fortuna dell’orchestra La Perfecta grazie anche ad alcuni musicisti di grande talento come Many Oquendo, Tommy López, Mike Collazo, Barry Rogers, Chocolate Almenteros e Vitín Paz.
Nel 1961 vede la luce il primo disco di Eddie Palmieri e La Perfecta che viene chiamato con lo stesso nome dell’orchestra.
Nel 1962 esce il secondo disco, El Molestoso, con canzoni che passeranno alla storia come la stessa “El Molestoso”, “No critiques”, “Asi es la humanidad” fra le altre.
Saranno anni di grandi successi per la Perfecta e Ismael Quintana, fino ai primi anni settanta quando decide di iniziare la carriera da solista collaborando con diverse orchestre fra le più conosciute del panorama salsero.
In realtà già nel 1967 aveva collaborato con Vladimir Vassilieff e successivamente nel 1969 con il trombonista Johnny Colón nella canzone “New York Mambo”.
Il 1973 rappresenta l’anno della svolta: esce il nuovo disco di Eddie Palmieri “Sentido” con alcune canzoni che diventeranno successi mondiali come “Adoracion”, inoltre Johnny Pacheco e Jerry Masucci invitano Ismael Quintana a far parte della Fania
ll Stars e a realizzare i suoi primi dischi da solista sotto l’etichetta che avrebbe rivoluzionato il mondo della salsa.
Nel 1974 viene presentato il suo primo disco “Ismael Quintana” con la canzone “Mi debilidad” che diventa presto una hit targata Fania con la collaborazione di alcuni nomi fra i più importanti del periodo fra i quali non possiamo non ricordare Papo Lucca, Bobby Valentín, Johnny Pacheco, Barry Rogers, Mark “Markolino” Dimond, Hector Lavoe, Jimmy Sabater, Nicky Marrero.
Da lì in avanti i successi si susseguiranno, così come le collaborazioni con i migliori artisti del momento.
Nella sua lunga carriera, Ismael Quintana, non ha mai voluto creare una sua orchestra, preferendo collaborare di volta in volta con artisti diversi per realizzare i propri lavori discografici, una scelta nata dalla volontà di non trovarsi mai a dover gestire troppi musicisti direttamente e soprattutto per realizzare ogni volta nuove collaborazioni.
Discografia:
Da solista:
“Punto y Aparte” (1971);
“Dos Imágenes” (1972);
“Ismael Quintana” (1974);
“Lo Que Estoy Viviendo” (“What I’m Living Through”) (1976);
“Amor, Vida y Sentimiento” (“Love, Life and Feelings”) (1977);
“Jessica” (1979) (with Ricardo Marrero and The Group);
“Mucho Talento” (1980) (with Papo Lucca).
Con Eddie Palmieri:
“Eddie Palmieri y La Perfecta” (1961);
“El Molestoso” (1962);
“Lo Que Traigo Es Sabroso” (1963);
“Echando Pa’ Lante” (“Straight Ahead”) (1964);
“Azúcar Pa’ Ti” (“Sugar for You”) 1965);
“Mozambique” (1966);
“Molasses” (1967);
“Champagne” (1968);
“Justicia” (1969);
“Superimposition” (1970);
“Vamonos Pa’l Monte” (1971);
“Recorded Live at Sing Sing, Vol. 1” (1972);
“Recorded Live at Sing Sing, Vol. 2” (1974);
“Sentido” (1973);
“Timeless”. Live recording;
“Eddie Palmieri Live At The University of Puerto Rico” 1974).
Con Cal Tjader e Eddie Palmieri:
“El Sonido Nuevo” (“The New Soul Sound”): Cal Tjader & Eddie Palmieri;
“Bamboléate”: Eddie Palmieri & Cal Tjader”.
Con la Fania All-Stars:
“Live at Yankee Stadium, Vol. 2”;
“Fania All Stars in Japan”;
“Live in Africa”;
“Salsa: Original Motion Picture Sound Track Recording”;
“Tribute To Tito Rodríguez”;
“Habana Jam”;
“Commitment”;
“Lo Que Pide La Gente”;
“Live In Puerto Rico 1994”;
“Bravo 97”;
“Viva Colombia”.
Con Tito Puente:
“Homenaje a Beny Moré”, Vol. 1;
“Homenaje a Beny Moré”, Vol. 2.
Con Vladimir Vassilief:
“Vladimir and His Orchestra: New Sound in Latin Jazz”.
Intervista di Israel Sánchez-Coll
tratta da Herencia Latina
Traduzione a cura di: Salsa Claude
Prefazione
Herencia Latina è uno dei siti più autorevoli sulla storia della musica latina, ricchissimo di articoli su esponenti di varia fama nella scena del passato (herencia significa eredità); questa intervista, oltre a descriverci nei dettagli la biografia di un noto bandleader, offre anche una ricca descrizione delle tre epoche da lui vissute ossia quelle del Mambo, del Boogaloo e della Salsa: il risultato è un racconto che ritrae i più disparati protagonisti (narrandone inattese relazioni), in diverse situazioni che li accomunano.
Infatti, che relazione aveva Joey Pastrana con Machito? Quali circostanze causarono l’ingaggio come lead vocalist di Chivirico Dávila e quali quelle che fecero terminare la collaborazione di Ismael Miranda? Come esordì Joey Pastrana alla Cotique Records e perché rifiutò sempre di entrare in Fania? Quanto lo toccò il boicottaggio del Boogaloo ad opera dei “Veterani del Mambo” e perché?
Tutto ciò è descritto in questa lunga ma interessantissima intervista, ora disponibile anche in italiano.
Claude
Israel Sánchez-Coll: Dove nacque Joey Pastrana?
Joey Pastrana: Nacqui il 22 Agosto 1942 a Santurce, Puerto Rico. A quattro anni la mia famiglia si trasferì a New York a causa del lavoro di mio padre, che era un marittimo mercantile. Crebbi nel Barrio (Harlem) sulla 110a strada dove rimanemmo dieci anni, dopodiché ci trasferimmo nel Bronx. Fu però nel Barrio dove si manifestarono le mie “inquietudini” musicali: suonavo i timbales e la conga. A casa di un cugino c’era uno scantinato con un pianoforte e lì ci ritrovavamo per suonare. Joe Quijano era un mio vicino di casa e gestiva un negozio di dischi. Mio padre si chiamava José P. Pastrana e mia madre Julia Santos.
Israel: Entrambi di Puerto Rico?
Joey: Sì, di Santurce.
Israel: Il nome completo?
Joey: José Luis Pastrana Santos.
Israel: E perché “Joey”?
Joey: A scuola mi americanizzarono il nome, mi chiamavano Joseph Louis Pastrana quindi tutti i compagni iniziarono a chiamarmi Joey.
Israel: Quindi il “Joey” nacque a scuola, e non durante la carriera musicale?
Joey: Esatto.
Israel: Chi influenzò la sua formazione musicale?
Joey: Le mie prime influenze furono quelle di Tito Puente, Daniel Santos – che era cugino di mia madre – Bobby Valentín, Charlie ed Eddie Palmieri; ce ne sarebbero molti altri, ma mi sfuggono i nomi.
Israel: Chi la spinse a scegliere i timbales?
Joey: Di fatto scelsi io la batteria che studiavo presso la scuola del maestro Gene Krupa, uno dei giganti del jazz noto come batterista di Benny Goodman oltreché collaboratore di Lionel Hampton, Teddy Wilson, Charlie Ventura ed altri ancora. Aveva una scuola in centro a Manhattan e lì iniziai a leggere gli spartiti.
Non avendo la macchina ero costretto a prendere il metrò, già scomodo di per se stesso, ed ancor più alle 3 del mattino, quando solitamente terminavamo di suonare, e anche se talvolta amici o familiari mi prestavano la macchina la scomodità della situazione mi portò a valutare alternative.
Decisi di suonare bongó e campana inserendomi in un piccolo conjunto che aveva Bobby Valentín – Bobby suonava il basso nella banda di Tito Rodríguez, il timbalero di Bobby abbandonò il gruppo e lui me ne offrì il posto – e con cui potei partecipare alla registrazione dell’album Ritmo Pa’ Goza’ – El Mensajero nel 1965. Scrissi anche due brani a Bobby usciti con l’album Young Man With A Horn: Que Pollito (Joey canticchia il ritornello “Yo tengo un pollo que quiere bailar”) e un brano mambo jazz chiamato The Gate, riferito al locale “Village Gate” dove al Lunedì suonavano le migliori bande latine ingaggiate dal Dj radiofonico Symphony Sid, che portava avanti una programmazione artistica con molto mambo jazz.
In seguito Bobby Valentín ingaggiò Papi Pagani, figlio di Federico, quando quest’ultimo perse il posto nella banda di Tito Rodríguez a causa del consumo di sostanze stupefacenti. Durante le prove Bobby mi disse semplicemente che adesso avrebbe continuato con “Il timbalero di Tito Rodríguez”, senza però aggiungere alcun dettaglio.
Quella settimana iniziai a scrivere testi e comporre musica a casa mia quando apprendo dalla radio che cercavano orchestre per registrare in studio: chiamai Simphony Sid affinché mi aiutasse e lui mi mise in contatto con un ragazzo che mi aiutò con gli arrangiamenti, cosicché in due settimane fui pronto per entrare in studio. Andai con la mia banda in un negozio – e guarda la combinazione, era quello della moglie di Federico Pagani – dove c’era una stanza per le prove. Il negozio era sulla 183a all’angolo con Williams Avenue, chiamai George Goldner, proprietario della Cotique Records, e gli chiesi di ascoltarci. Al termine della prima canzone ci fermò e disse: “Quando possiamo registrare il disco?” Un po’ sorpreso gli dissi: “Ma se te ne abbiamo fatta ascoltare solo una?” E lui rispose: “A me non importa, quando siete disponibili?” E in risposta alla sua insistenza gli dissi: “Ok, la prossima settimana.” E fu così che uscii col mio primo album: Let’s Ball
Israel: Perché in questo album le cambiarono il nome in Pastrano?
Joey: Ah, fu un errore di George Goldner perché fecero le cose di fretta! Mi ritrovai così con un nome dal suono italiano, ma nei successivi album la Cotique – responsabile dell’errore – corresse il nome.
Israel: Chi erano i componenti di questa orchestra d’esordio?
Joey: Due musicisti “prestatimi” da Joe Quijano (trombettista e bassista), mio fratello Willie Pastrana alle congas, e un ragazzo ai suoi esordi musicali con la banda di Andy Harlow, Ismael Miranda. Il primo album fu un grande successo di vendita, ciononostante la nostra orchestra non riusciva ad avere ingaggi per i concerti e Ismael andò con Larry Harlow.
Israel: Israel Miranda disse che Lei lo ingaggiò dopo averlo visto con Andy Harlow ad un concerto presso il club El Dorado.
Joey: Esatto. Cercavo il mio cantante nei club, e lo trovai in un periodo in cui la banda presso cui lavorava non aveva molte serate quindi gli diedi i miei spartiti e in una settimana registrammo l’album.
Israel: Nel quale c’è un classico: Rumbón Melón.
Joey: Sì, funzionò perché l’esperienza con la banda di Bobby Valentín mi insegnò come andava scritto un brano affinché piacesse al pubblico, e difatti nel giro di tre mesi diventò un successo. Ciononostante, siccome le serate non arrivavano, Ismael se ne andò. In seguito George Goldner mi chiamò per pianificare l’uscita del secondo album, avvisandomi che i risultati sarebbero arrivati in tempi più lunghi.
Registrammo perciò l’album “Joey” col cantante Chombo che conobbi a New York e che aveva già partecipato ai cori del primo album, dimostrandosi così anche un ottimo lead vocalist.
Israel: Il suo nome completo?
Joey: José “Chombo” Rodríguez.
Israel: Fu il successore di Ismael Miranda?
Joey: Sì. Con Chombo il secondo disco uscì bene. Nel ’67 entrambi gli album erano recensiti sulle riviste e competevano per il primo posto.
Israel: Lei fu un direttore d’orchestra innovatore, mise due voci femminili nei cori dando una nuova caratteristica alla sua musica laddove le altre bande seguitavano a tenere schemi tradizionali; come sviluppò questa idea?
Joey: Si chiamavano Sonia Rivera e Becky Rivera ma non erano sorelle.
Israel: Dove le conobbe?
Joey: Sonia Rivera era mia cognata ma in realtà la conoscevo da dieci anni prima che si sposasse con mio fratello Willie Pastrana, quando la sentii cantare in un gruppo di musica nordamericana mentre Becky Rivera è una mia cara amica d’infanzia: entrambe sono di Puerto Rico.
Israel: Sono viventi?
Joey: Sì.
Israel: A New York?
Joey: Credo che Becky stia in Florida e Sonia a New York con le sue tre figlie: credo che canti in un gruppo rock.
Israel: Perché quest’idea di integrare le voci femminili?
Joey: Presi l’idea da Tito Rodríguez che aveva una ragazza nel suo coro. Di fatto un giorno ero ad un suo concerto ed apprezzai come questa voce differente si distinguesse all’interno del coro e mi piacque. Situai inoltre le due ragazze in prima linea per fare scena, cantando e ballando insieme a mio fratello Willie. Ne uscì un suono che ricordava quello della banda di Cortijo.
Israel: Pensi che nel New Swing Sextet le tre coriste erano le sorelle e la moglie di George Rodríguez, il vibrafonista-leader.
Joey: Il New Swing Sextet si ispirò a me (ride), perché nel ’67 poche orchestre, sia grandi che piccole, avevano questo formato, mentre in seguito molti altri lo adottarono.
Israel: L’orchestra suonava bene, era coinvolgente; negli anni ’60 e ’70 le orchestre erano mediamente maschiliste, raramente trovavi donne nei cori.
Joey: Esatto.
Israel: Cosa rappresentò il Boogaloo per la sua generazione?
Joey: All’epoca tutti i giovani volevano ballare ed ascoltare soltanto Boogaloo poiché non conoscevano bene i balli del Mambo né del Cha Cha come le persone più adulte. I giovani fecero da catalizzatore per l’ascesa del movimento, non i vecchi che lo malsopportavano e speravano nel suo declino. Anche le orchestre di veterani non amavano suonare brani Boogaloo.
Israel: E’ vero che Lei spinse Johnny Colón a firmare per Cotique?
Joey: Io scrissi un brano a Johnny Colón. Quando uscì il mio primo album molti impazzirono per il Boogaloo. Johnny lo faceva in maniera diversa dalla mia, riscuotendo successo con un solo disco, Boogaloo Blues, dove compose la musica e suonò come pianista e i cui testi furono scritti da Tito Ramos. Il brano che dava il nome anche all’album nacque come Guajira in spagnolo ma George Goldner suggerì di cambiare il testo in inglese e di riarrangiare la musica di conseguenza; il risultato fu un Boogaloo diverso dal solito ma che piacque al pubblico.
Il Boogaloo più ballabile lo compose Pete Rodríguez: I Like It Like That. Ciononostante Pete Rodríguez si allontanò dalla musica perché il suo vero amore era per il Mambo e la Guajira. Il vero compositore era il suo trombettista, Tony Pabón, che ai cori mise sua moglie e i figli di entrambi.
Israel: Considera il Boogaloo una musica nera?
Joey: Nacque nel Barrio da neri e portoricani che frequentavano le stesse scuole e strade; i latini apprezzavano più la musica nordamericana e i neri quella latina, così si contaminarono a vicenda.
Israel: E’ vero che José Curbelo bloccò molti ingaggi di serate alle orchestre emergenti di Boogaloo?
Joey: Sì, è vero. Siccome il Boogaloo stava riscuotendo successo i musicisti più anziani erano gelosi poiché la loro fama consolidata iniziava a venire adombrata dal “nuovo”. Capitò pure che Tito Puente pretese di venir menzionato sulle locandine prima dei gruppi Boogaloo (come Joe Cuba, nonostante quest’ultimo avesse cinque brani di successo e lui nessuno); le nuove bande vendevano dischi, quelle affermate non più, tuttavia volevano dominare le serate e iniziarono a sermonare che “il Boogaloo non serviva a niente, non era niente”. La verità è che la gente voleva ballare Boogaloo, e in seguito avrebbe preso a ballare Salsa. Io nei miei album mettevo entrambi i generi.
Israel: E lo Shingaling?
Joey: Era uno stile di ballo, il movimento in coppia era diverso, mentre il Boogaloo si ballava in una direzione lo Shingaling lo si ballava in un’altra, e tutto sulla medesima musica; fu introdotto dai neri americani.
Israel: Lei ricevette un premio nel ’68 dalla rivista Latin New York per le vendite del brano “Riky Chi”, consegnato da George Goldner; cosa può raccontarci in proposito?
Joey: Fu un disco d’oro che mi diedero per i miei 45 giri, formato che d’abitudine veniva sempre lanciato prima dell’album. Ricordo che al Palladium diedero un disco d’oro anche a Pérez Prado delle stesse dimensioni di quello che ricevetti io. Detto premio riguardava i singoli delle mie prime produzioni ossia Riky Chi, Rumbón Melón, La Güira e altri.
Israel: Quante copie vendette del suo primo disco?
Joey: Del primo album non ricordo, del secondo (Joey) in sole due settimane si vendettero quarantamila copia tra New York e Puerto Rico. Al momento, il primo rimane il più venduto e ciononostante io non ho mai ricevuto un centesimo, pensa te come sono certe situazioni.
Israel: Il suo terzo album?
Joey: Il terzo album fu Joey In Puerto Rico.
Israel: Joey En Carnaval fu il quarto o il quinto?
Joey: Credo il quinto, e lo produssi io perché George Goldner nel frattempo morì e dovetti far tutto da me.
Israel: Questo album viene anche in CD e lo trovo meraviglioso con brani come Joey’s Thing (il mio preferito), Chacaboo, Aguacero, My Girl.
Joey: Lo chiamai “La Cosa Di Joey” perché fu così impegnativo per me comporre e produrre nel contempo che alla fine mi dimenticai il titolo!
Israel: E’ sua la composizione?
Joey: Sì, lo scrissi come lo volevo e lo sentivo, questa è la cosa più importante.
Israel: Suo fratello Willie Pastrana lo accompagna in questo album.
Joey: Sì, fu presente in sei album, poi tornò con Joe Quijano che aveva molti ingaggi all’estero, cosa che desideravo avere anch’io e che si concretizzò all’uscita de El Diferente con Chivirico Dávila poiché tramite la radio riscosse successo anche a Panamá e Venezuela, paesi in cui facemmo una tournée di tre settimane, toccando anche Los Angeles, Florida, St. Thomas Island, Puerto Rico e New York.
Israel: Com’era il Venezuela?
Joey: Interessante, ma non ancora così salsero come lo sarebbe divenuto in seguito poiché all’epoca ascoltavano più orchestre locali che newyorchesi.
Israel: Chi scrisse My Girl?
Joey: E’ mia; tutti i brani cantati in inglese nei miei album sono miei.
Israel: Come ingaggiò Carlos Santos?
Joey: Quando Chombo andò a Puerto Rico durante una delle mie numerose tournée, scoprì di amare profondamente l’isola per cui un giorno mi disse: “Io non torno più a New York, resto qui.” Quindi tornai senza cantante a New York e dopo molte ricerche trovai Carlos Santos, molto giovane e di voce acerba ma con il talento dell’improvvisatore. Il primo album che feci con lui credo fosse Joey en Puerto Rico, dopodiché migliorò la sua voce e nella seconda produzione che facemmo assieme progredì tantissimo, basti sentirlo in Chaca Ca Boom.
Israel: Il Chaca Ca Boom è un brano in risposta ai suoi avversari.
Joey: La gente diceva che io non suonavo veramente poiché durante i concerti presso le sale da ballo non mi producevo in assoli né improvvisazioni, ma d’altronde se la gente voleva ballare io non potevo che assecondare lo scopo per cui venivano alle nostre serate. Alcuni ragazzi tra il pubblico mi chiedevano di suonare loro i timbales per sopperire a questa mia “mancanza” e allora glieli prestavo ma solo per la penultima canzone della scaletta.
Riguardo questo brano scrissi “La gente voleva Chaca ca boom, boom”, che sono i colpi dei timbales, e in questo modo zittii i miei critici (ride) e nel contempo ebbi anche un brano di successo.
Israel: Fu un inno in tanti Paesi latinoamericani.
Joey: Mi lusinga e mi emoziona. Dopo la Cotique io feci altri cinque album tra i quali The Godfather (stesso titolo del film Il Padrino, che spopolava in quell’anno).
Ti racconto un aneddoto, Tito Rodríguez era vivo durante la registrazione dell’album e mi chiamò in studio dicendomi che gli avevano raccontato che stavo registrando il brano de Il Padrino, al ché gli dissi di sì e lui m’informò che stava facendo la stessa cosa, così ci facemmo una risata. Tito ha sempre avuto ottimi rapporti con me, e le nostre orchestre alle serate suonavano spesso assieme.
Altra cosa importante, io uscii con la copertina ispirata alla locandina del film e il brano de Il Padrino come traccia 1 del lato A; Tito Rodríguez invece uscì con la sua immagine e il brano lo mise come ultima traccia del lato B. Credo che lo arrangiò insieme a Louie Ramírez.
Foto di sinistra:Joey ai timbales – foto di destra: Joe Quijano, Joey Pastrana e Joe Cuba.
Foto di Joey Pastrana – cedute a Herencia Latina.
Israel: In quali locali di New York divenne popolare la banda di Joey Pastrana?
Joey: Al club Corso che era un po’ la mia casa poiché ci lavoravo tre volte alla settimana mentre per i restanti giorni lavoravo due volte a Brooklyn e due volte al Tropicana del Bronx, dove si affermò Ricky Ricardo (Desi Arnaz), il personaggio del programma “I Love Lucy”, prodotto da sua moglie Lucille Ball. Ricky Ricardo – nome con cui era noto nel programma – oltre al Tropicana suonava anche al club La Conga di Manhattan. Il Tropicana del Bronx aveva le stesse scenografie del suo programma e divenne popolare come lo fu il Palladium.
Israel: Desi Arnaz interpretò Babalú di Miguelito Valdés e El Cumbanchero di Rafael Hernández, cercando di mischiare il ritmo di Machito con la melodia di André Kostelanetz.
Joey: Imitava Miguelito Valdés, del quale io ero amico da quando lo incontrai a Puerto Rico, dove mi riconobbe prima che io riconoscessi lui; ci trovavamo in fila al Sindacato e ci presentammo l’un l’altro, dopodiché andammo a mangiare ad un ristorante cubano dove incontrammo Johnny Pacheco, Bobby Valentín e Vicentino Valdés e capitò una scena comica poiché Miguelito iniziò a scavare nel riso ed esclamò: “Ma dove sono i fagioli?”, cosa che ci fece ridere tutti per cinque minuti dato che il suo modo di parlare era sempre “cantato”. Fummo amici per i quattro anni successivi, finché morì. A volte mio fratello Willie lo chiamava scherzosamente Ricky Ricardo e lui rispondeva stizzito “Io sono Miguelito Valdés, l’originale, non la copia!” (Joey ride).
Israel: Ti piacevano i ritmi cubani?
Joey: In famiglia abbiam sempre ascoltato i ritmi cubani, mio padre adorava per esempio Sonora Matancera, Pérez Prado – prima di passare dalla musica latina a quella americana – Casino De La Playa, Riverside ed altri.
Israel: Quindi ascoltavi molta Guaracha, Mambo, Cha Cha Chá e Charanga?
Joey: La Charanga era della mia epoca, ‘66/’67 quando tutti si misero a ballarla a New York e nella quale Pacheco, grande amico mio, si inserì approfittando dell’onda. Pacheco amava la mia musica ma non gradiva il Boogaloo, insisteva affinché firmassi per la sua Fania Records ma io gli rispondevo che loro erano troppo in dissintonia con questo genere. Io, del resto, suonavo anche Salsa per non restare a terra qualora il genere fosse tramontato, cosa che altre bande, specializzate e bravissime nel Boogaloo, non fecero, così scomparvero appena arrivò la Salsa; alcune si dimostrarono proprio incapaci di “stare in clave”, così dopo magari un solo disco scomparvero per sempre.
Israel: Ne ricorda alcune?
Joey: No, ma ricordo che erano tante.
Israel: Lei è amico di Joe Bataan?
Joey: Certo, era uno di coloro che non suonavano molta musica latina, faceva musica americana e alla fine concludeva con una Cha Cha Chá; insieme facemmo molte serate, lui aveva la sua hit Gipsy Woman. Johnny Colon fece tre album, il primo di successo, i seguenti a scendere, poi si ritirò dalle scene per dedicarsi all’insegnamento della musica ai giovani.
Israel: Johnny affermò che molti impresari che gestivano le bande di Mambo, tra i quali José Curbelo e Ralph Mercado, boicottarono quelle di Boogaloo non offrendogli serate, montando una vera e propria cospirazione contro il genere musicale.
Joey: Sì, confermo, ma io non ne caddi vittima poiché suonavo anche Salsa; aggiungo che quando il Boogaloo iniziò a scemare, chi gli diede la botta finale fu la Fania Records.
Israel: Chiarissimo. Quindi perché non firmò mai per la Fania?
Joey: Perché la Fania con tutti i miei dinieghi mi divenne ostile, e ridevo su queste loro continue profferte.
Israel: Quindi non volle unirsi a loro?
Joey: No, perché c’erano troppi spocchiosi là dentro, così firmai con la discografica argentina Parnaso che aveva iniziato ad ampliare i propri interessi nella Salsa e composi per loro A Comer e El Padrino. Pure mio fratello Willie incise due album con loro.
Israel: E, dato che da Fania si era autoescluso, Parnaso Records le procurò serate a New York?
Joey: No, io seguitai a lavorare per conto mio e la cosa non mi danneggiò molto perché in radio trasmettevano i miei dischi, come per esempio Malambo che si vendette a New York e a Puerto Rico; tuttavia Jerry Masucci, il proprietario della Fania Records, si comportava scorrettamente perché dissuadeva i Dj radiofonici dal programmare certe orchestre: il Dj Polito Vega era un mio vicino di casa e gli davo io i miei dischi direttamente, al ché lui mi rispondeva “Guarda, io te li programmo ma questa gente potrebbe crearmi problemi perché mi tengono sott’occhio per danneggiarmi.” Ciononostante mi programmò The Godfather e un altro paio di pezzi.
Israel: Nessuno denunciò la Fania per queste pratiche?
Joey: Macché, la Fania si comprava tutti e tutti stavano zitti; per esempio, la Parnaso Records chiamava direttamente i Dj per protestare ma loro rispondevano che avevano già un sacco di musica e “non potevano certo metter tutto”: il risultato fu che la mia musica si diffuse di più in Venezuela, Argentina, Panama e Colombia che a New York.
Israel: Come venne in contatto con Ricardo Ray?
Joey: Stavo registrando un album economico per la Fonseca Records nello stesso periodo in cui stavano registrando Ricardo Ray, Bobby Cruz e Chivirico Dávila, quest’ultimo nel ruolo di lead vocalist perché per quei particolari brani Bobby Cruz non era ancora adatto (lo divenne poco dopo quell’esperienza); facemmo assieme le copertine dei nostri dischi e da allora restammo buoni amici.
Israel: Maestro, Herencia Latina pubblicò un’intervista al magnifico Chivirico Dávila in Cali, Colombia, dove affermò “Con Joey Pastrana io conobbi la gloria”: come ingaggiò Chivirico per il suo album The Real Thing – El Verdadero?
Joey: Lo conobbi quando lavorava per Ricardo Ray, poi cessò la collaborazione e andò a Chicago dove ebbe un serio alterco con suo figlio, della cui moglie si innamorò e con la quale scappò; il figlio lo cercava dappertutto per ammazzarlo quindi Chivirico decise di tornare a New York per sfuggirgli.
Una sera stavo lavorando al club Corso e pernottammo in una casa lì vicino che utilizzavamo per riposarci, allorché arrivò Chivirico, ci spiegò molto scosso la sua vicenda e ci disse che alloggiava lì vicino in un hotel; sotto il cappotto vestiva una camicia e sotto ancora un pigiama (Joey ride).
Gli offrii tre settimane di lavoro in studio per il mio imminente album da registrare; sulle prime rifiutò adducendo problemi di voce ma alla fine accettò perché necessitava denaro; registrammo così Pastrana Llegó (me lo cantò esattamente come volevo io, soprattutto nella splendida intro), poi The Real Thing e Campana: quest’ultimo brano era dedicato alla segretaria Juana del Dj Simphony Sid, eccellente persona di origini latine e giamaicane, brano finalizzato ad essere usato come sigla del suo programma radio. Tuttavia Tito Puente aveva già composto un Mambo per quel programma (Joey inizia a cantarlo) ma dopo la prima mezzora Sid metteva anche la mia, che era più afroide.
The Real Thing fu uno degli ultimi che feci con Cotique Records, l’ultimo fu Joey En Carnaval; quando morì il proprietario George Goldner gli eredi vollero vendere la discografica alla Fania Records e io dissi loro : “Con Fania non voglio lavorare.”
Israel: “Maestro, Lei ingaggiò Chivirico solo per l’album The Real Thing – El Verdadero per poi intraprendere ognuno le proprie strade?
Joey: Be’, Chivirico non era più in grado di cantare, quando lo portavo alle mie serate gli andava via la voce al primo set, e alla ripresa non cantava più; lui stesso mi confessò che non era in grado di cantar più di due brani, così me lo portai a Puerto Rico (dove quasi mi morì) insieme anche ad Héctor Lavoe…
Israel: Ossia che anche Lei invitò Héctor Lavoe nella sua banda?
Joey: Sì, Willie Colón lo aveva scaricato. Héctor Lavoe lo conoscevo prima che lui si unisse a Willie Colón, ed entrambi li conobbi alla spiaggia di Orchard nel Bronx dove suonavano, uno il trombone, l’altro cantando e suonando maracas. Mi divertivo con loro, all’epoca erano molto giovani.
Quando Willie Colón lo lasciò io gli chiesi: “Sarà dura per te adesso?” Ma lui tranquillo rispose: “No, ho un contratto con Fania Records per cui Willie non può incidere senza me né io senza la sua banda” per cui gli proposi di accompagnarmi a Puerto Rico spiegandogli che Chivirico non poteva sostenere una serata intera, accettando di fare il corista ed intervenendo all’occorrenza come lead vocalist (conosceva tutti i miei brani storici).
Israel: Héctor Lavoe faceva sia il corista che il lead vocalist?
Joey: Sì, entrambe le cose, ma quando lo venne a sapere la Fania, fecero le loro rimostranze e quell’esperienza fu interrotta. Come corista, partecipò ai miei due album A Comer e The Godfather.
Israel: A cosa s’ispirò Lei nel comporre Malambo?
Joey: Malambo fu scritta per i timbales (Joey intona il ritornello: “Me gusta los timbales pa’ gozar bembé”).
Israel: Il brano fu un successo a Puerto Rico e molti paesi latinoamericani, a tutt’oggi si può dire che è un classico della Salsa.
Joey: Sì, piacque molto a Puerto Rico, io lo composi per i miei antenati, le mie origini. Un altro classico della mia produzione è Riki Chi che ricordo sempre al mio pubblico cantando “Riki Chi, Oh No, No”.
Israel: All’epoca del Boogaloo quali bande le piacevano?
Joey: Mi piacevano Joe Cuba, Tony Pabón, Ricardo Ray, conobbi l’indio Cherokee, Doc Cheatam quando suonava al Metropol con Gene Krupa, poi Ralfy Pagán che era un cantante interessante ma più orientato verso la musica nordamericana.
Israel: Lei conobbe King Nando?
Joey: Caspita se lo conobbi! Viveva tra la 109a e la 110a strada dove suonava la chitarra e cantava. Fece un disco di successo a New York, “Fortuna”, che era romantico, come molti che uscirono in quell’epoca.
Israel: Perché la sua orchestra esce di scena a fine anni ottanta?
Joey: Pensa che nel ’93 organizzarono una celebrazione in cui mi diedero un premio alla carriera, in pratica mi consacrarono come leggenda della musica latina; lo stesso fecero con Jimmy Sabater, Willie Torres e altri: Marilyn Winters, un’ebrea americana, ex ballerina di Tito Rodríguez che non abbandonò mai l’ambiente latino, ideò l’evento e ci consegnò lei stessa i trofei.
Israel: Lei si allontanò dall’ambiente poco dopo questa premiazione?
Joey: No, a Pasqua ’98 suonai all’Hotel Condado Plaza a San Juan, Puerto Rico, e sporadicamente a New York.
Di fatto ne avevo un po’ abbastanza dell’ambiente, necessitavo una pausa, ero stanco di suonare; oltretutto il clima di New York non fece bene alla mia salute e mi trasferii in Florida: tuttavia ho delle canzoni pronte per una piccola banda qui in Florida e, sebbene non voglia esibirmi dal vivo, ho intenzione di incidere con loro.
Israel: Quando arrivò la Salsa Romantica Lei si tenne lontano da questa onda?
Joey: La Salsa Romantica ha le sue cose buone, ma non è il mio stile, io suono duro, mi piace che la gente avverta questo mio timbro; ha prodotto alcune cose belle, ma non mi inserii mai in quel circuito.
Israel: Quando si trasferì definitivamente in Florida?
Joey: nel 2004, a seguito dell’asma che contrassi nell’esercizio della mia attività di manutentore parchi, respirando il pulviscolo espulso dal tagliaerba; per sei mesi rimasi a letto con la polmonite; mi ritirai e seguii il consiglio di trasferirmi in uno stato con un clima più adatto per chi ha queste insufficienze respiratorie.
Israel: Le piace vivere qui in Florida?
Joey, Sì, il posto è bello e il clima di Fort Myers è simile a quello di Puerto Rico con una media di 21° centigradi; faccio esercizio fisico, compongo musica, scrivo testi, non bevo e non fumo.
Israel: Qual è l’album che le ha fruttato di più economicamente?
Joey: Joey En Carnavale che ha molti brani perfetti, anche se non so esprimere un ordine di preferenza, mi piaccion tutti.
Israel: Come si comportò la Cotique Records sia a livello di compensi che di libertà creativa?
Joey: Economicamente molto male perché a parte il compenso fisso stabilito per l’incisione non ho mai ricevuto alcuna royalty e sto cercando un legale per riappropriarmi di ciò che mi spetta, dato che le mie opere son state riprodotte e rivendute senza che io venissi minimamente coinvolto nei ricavi: stanno lucrando sulle mie opere d’ingegno, è una chiara violazione dei diritti d’autore.
Israel: In una intervista pubblicata su Herencia Latina i New Swing Sextet si lamentarono della stessa cosa, dischi riprodotti da altri ma senza nessun compenso per loro, uno scandalo in considerazione della ricchezza artistica prodotta da tutta una generazione di musicisti.
Joey: In molte parti del mondo vendono tuttora i miei dischi, per esempio in Venezuela, Colombia, New York, Spagna, Inghilterra, Puerto Rico, Panama ed altri, mentre io non ricevo nulla; anche altre bande furono ingannate come i Lebrón Brothers, Johnny Colón, New Swing Sextet e molti altri, mentre i proprietari della Cotique Records si arricchirono con le nostre produzioni: eppure anche noi musicisti invecchiamo e necessitiamo crearci una base economica per vivere quest’ultima tappa della nostra vita felicemente e dignitosamente.
Israel: Joe Quijano mi ha detto che Lei ha raccolto i suoi successi in un CD per metterli in vendita, può darci i dettagli di questa operazione?
Joey: Sì, ho stampato un CD autoprodotto quindi con i costi a mio carico, comprendente brani tutti composti da me, affinché nessun possa reclamarli come suoi, e son tutti registrati alla Società degli Autori; ora cerco un impresario che voglia occuparsi del lancio di questo CD in maniera che possa generare profitti.
Israel: Maestro, Lei è in buoni rapporti con Joe Quijano?
Joey: E’ un fratello per me, lo conosco da quando arrivai nel Bronx…
Israel: Le vostre orchestre suonarono mai assieme nelle stesse serate?
Joey: Sì, diverse volte, come al Bronx Casino (che ora è una chiesa), dove si esibirono bande come quelle di Tito Puente, Tito Rodríguez, la mia, quella di Joe Quijano, Eddie e Charlie Palmieri e Johnny El Bravo López.
Israel: Ha nuovi progetti, nuove sue composizioni da incidere?
Joey: Sì, penso di metter su una banda qui e di rimettermi a suonare.
Israel: Come arrivò al suono forte e crudo che caratterizzò la sua come molte altre bande newyorchesi della seconda metà anni ’60?
Joey: Di fatto all’epoca la gente voleva ballare, e per far sì che ciò accadesse bisognava suonare forte e duro; nel Barrio, se non avevi questa caratteristica, eran problemi per la banda, generava un passaparola negativo, per cui ognuno sentiva la necessità di suonare col diavolo addosso (ride): andar sul palco e non riuscire a far ballare la gente poteva rivelarsi fatale per la banda.
Israel: In quali relazioni è con Ismael Miranda?
Joey: Prima di lasciare New York per la Florida lo chiamai e mi disse che stava bene ed era ingrassato, cosa poco immaginabile per quel “magrolino” che possiamo ricordarci nella foto del nostro primo album; mi raccontò che adesso ha la faccia grande come un pallone!
Israel: Ha più cantato per Lei?
Joey: No, dopo il mio primo album, mai più perché andò con Larry Harlow; io non avevo molte serate e lui aveva il problema di sfuggire alla chiamata di leva per il Vietnam, cosa che gli riuscì lavorando molto per Larry Harlow: gli dissi “Non ti preoccupare, io ingaggerò Chombo in tua sostituzione”.
Israel: José “Chombo” Rodríguez vive sempre a Puerto Rico?
Joey: No, Joe Quijano mi ha detto che è scomparso, sembra per un attacco cardiaco, lo apprese dalla radio; era un bravo ragazzo, anche se talvolta faceva il matto.
Israel: Sa qualcosa dell’altro suo cantante, Carlos Santos?
Joey: Lui si trasferì ad Orlando, a quattro ore da qui.
Israel: Siete in contatto?
Joey: Sì, mi chiama sempre quando passa da queste parti; dovrei avere il suo numero da qualche parte ma non credo che conosca il mio nuovo numero dato che ho traslocato di recente. Certamente mio fratello minore ha il suo numero.
Israel: Chi, Willie Pastrana?
Joey: No, Tony, il più piccolo di noi tre.
Israel: E Willie che fa adesso?
Joey: Vive a New York e lavora per il municipio; al momento sta preparando un CD per la sua orchestra attuale, intende lanciarlo nel 2006.
Israel: Quanti figli ha Lei?
Joey: Una figlia e un figlio.
Israel: Lei è nonno?
Joey: Caspita, sì, ho una nipote di 14 anni.
Israel: I suoi figli amano la musica?
Joey: No, non mi sono usciti musicisti! Miguel suona un po’ la conga ma non a livello da musicista.
Israel: Lei vive con sua moglie?
Joey: No, divorziai circa cinque anni fa quando mi ammalai, vivo qui da solo e ho un po’ di amiche che mi vengono a trovare (ride) ma ci sto attento, perché a portarle a cena son spese (ride).
Israel: La sua ex moglie è cantante?
Joey: No, mi aiutava nella parte grafica e nelle note degli album, si chiama Dana Torres.
Israel: E’ portoricana?
Joey: No, ebrea americana
Israel: Se le dovessero chiedere di radunare la banda di Joey Pastrana, quali integranti sceglierebbe?
Joey: Adesso?
Israel: Sì.
Joey: E come potrei farlo, se nemmeno so dove vivono i miei ex colleghi?
Israel: E allora, proviamo ad immaginarla.
Joey: Ok, me la immagino con Tito Rodríguez come lead vocalist, Mongo Santamaria alle congas, Chiky Pérez (ex integrante della banda di Tito Puente e che lavorò nel mio primo album) al bongó, Puchy (altro mio ex integrante), Angel Rodríguez e Larry Spencer alle trombe, Jack Hitchcok e Barry Rogers ai tromboni infine Bobby Rodríguez (altro ex integrante di Tito Puente) al basso.
Israel: Quali sono le sue bande preferite?
Joey: Machito, Tito Rodríguez, Tito Puente (amavo le big bands, ma durante la mia epoca non c’era lavoro per questo formato orchestrale), Pérez Prado, Charlie ed Eddie Palmieri, Ricardo Ray, Joe Quijano y su Orquesta Cachana e Joe Cuba.
Israel: E tra le orchestre cubane?
Joey: Chapotín, Orquesta Casino de la Playa, Aragón, Fajardo y sus Estrellas (con cui spesso condividevo le serate), Lou Pérez… Mi piace Patato Valdés.
Ti racconto un aneddoto su Patato, stavo suonando congas nel Bronx e gli dico “Son già le 18, devo andare perché domani sera parto per la California” e lui col suo gergo (Joey lo imita) “Va bene, ci vediamo”; il giorno dopo arriviamo al locale e iniziamo a suonare quando all’improvviso entra Patato Valdés e gli chiedo sorpreso “Che ci fai qui?” e lui “Io te l’ho detto che sarei venuto qui, sei tu che non hai capito!”: due giorni dopo me lo rivedo in un locale in Florida e … terminammo la tournée incontrandoci anche a Puerto Rico!
Israel: E tra le orchestre portoricane?
Joey: Cortijo e Ismael Rivera, ho una foto insieme a loro due e Kako, Santos Colón e Azuquita: te la cedo.
Sapevi che avevo scritto due brani a Cortijo? Aguacero e Oriza. Tra le tante volte che viaggiai a Puerto Rico mi capitò di incontrare Cortijo senza Ismael per cui gli chiesi dove fosse, e lui mi rispose che si era nascosto a Panama (era ricercato dalla polizia); recandomi a Panama per la tournée ho chiesto di lui a un nostro fan che ci condusse a un vecchio hotel dove una vecchietta si staccò un attimo dai fornelli per andarmelo a chiamare: Ismael mi abbracciò fortissimo, mi disse che stava bene e parlammo fino a notte inoltrata.
Quando tornai a Puerto Rico riferii l’episodio a Cortijo e i dettagli del suo indirizzo; quando Ismael risolse i suoi problemi con la legge me lo ritrovo nel Bronx con la sua banda offrendomi di presenziare alla sua registrazione, dopodiché chiacchierammo cinque ore: lui mi chiamava “Pastranita”.
Israel: Pastrana è un nome portoricano?
Joey: No, siamo in pochi ad averlo lì.
Israel: Penso sia più sudamericano, per esempio in Colombia elessero due presidenti con quel nome…. Stranamente erano padre e figlio (ridono)!
Joey: A Cuba ci son molti Pastrana, mi dissero che ha origini spagnole ed arrivò a Puerto Rico passando da Cuba; un’altra cosa che mi raccontarono fu che fosse relazionato con la Casa Reale Spagnola, nello specifico i loro cuochi si chiamavano così: non saprei, a mio padre e a molti miei zii comunque piace cucinare, e a Puerto Rico c’è un ristorante con quel nome, credo a Santurce..
Israel: Dei paesi in cui ha vissuto quale le è piaciuto di più?
Joey: Puerto Rico, perché la gente ama ballare e perché è la mia isola, ma mi è piaciuto anche il Panama e mi sorprese pure l’isola di Saint Thomas perché nonostante la sua popolazione fosse di discendenza inglese o africana, apprezzavano la musica latina.
Israel: Joey, a St. Thomas (British Virgin Islands) si stabilirono molti portoricani dell’isola di Vieques e si ascolta molto la radio portoricana.
Joey: Sì, me lo avevan detto in occasione dei miei tre concerti nell’isola.
Israel: Ha saputo che la sua musica si sta ascoltando in Francia, Inghilterra, Italia e Spagna?
Joey: Sì, la cosa mi ha sorpreso e ribadisco che non ricevo un centesimo da queste vendite (ride), dovrebbero pagarmi un tot sulle vendite e sui passaggi in radio, ma ciò succede solo con la BMI con cui mi associai fin dalla mia prima incisione e che tuttora mi manda un resoconto trimestrale sui miei compensi riguardanti il Giappone, la Spagna, l’Argentina e altri paesi.
Israel: Lei vive solo con la pensione?
Joey: Esatto.
Israel: Le due coriste quando smisero di cantare?
Joey: Quando cessò la collaborazione con Cotique Records; non fu facile continuare con la musica latina così si diedero al Rock.
Israel: Ci racconti del Boogaloo che compose per Machito.
Joey: Con Machito era diverso, perché quando la sua discografica non gli rinnovò il contratto rimase senza lavoro, così George Goldner della Cotique Records decise di ingaggiarlo a patto che io mi inventassi un Boogaloo per lui, cosa che non aveva mai avuto nel suo repertorio.
Andai a casa, ci pensai molto fino a ricordarmi che avevo già un brano fatto, ed era adatto a Machito, così andai da Mario Bauzá e gli diedi Ahora Sí, per dargli un’idea di come fosse un Boogaloo.
Ne scrissi uno anche per Graciela, ma con arie più da Mambo; Mario Bauzá disse a Machito “Facciamolo, dai, dai!” e il giorno stesso li aveva arrangiati entrambi; m’invito a tornare l’indomani per sentirli suonati, cosa che mi meravigliò per la velocità.
Il giorno dopo, alle prove, Bauzá mi sorprese per il lavoro fatto e Machito e Graciela mi misero come arrangiatore nei crediti della canzone; i brani furono lanciati e divennero subito dei successi in tutta New York, causandomi anche qualche problema con Tito Puente che non gradiva che uno della sua generazione se ne uscisse con un Boogaloo: di fatto, poi, non erano ritmicamente dei Boogaloo bensì della Guarachas col cantato allo stile Boogaloo.
Un giorno incontrai il figlio di Machito dicendomi che mi “odiava”, e quando gli chiesi il perché rispose “Il Boogaloo che hai scritto per mio padre me lo chiedono in tutto il mondo, Ahora Sí!”
Ho incluso anche questo brano nella raccolta dei miei successi.
Israel: Maestro, chi la spinse a stampare questo CD?
Joey: Tina Roppe, una gran donna che mi ha aiutato molto qui a Fort Myers.
Israel: Grazie Maestro.
VIVA PASTRANA!
Intervista di Israel Sánchez-Coll a Joey Pastrana (Maggio 2006) per www.herencialatina.com
Israel Sánchez-Coll Fort Myers, Florida, Dicembre 2006
A distanza di cinque anni ritorna al festival Latinoamericando un cantante che non ha bisogno di presentazioni: Cheo Feliciano.
Diversamente dall’ultima volta, in cui Cheo aveva suonato con i Mercado Negro, in questa occasione si presenta con la sua orchestra, più qualche inserimento di musicisti locali, come il bassista italiano che si è distinto per l’ottimo tumbao.
Diretti dal grande chitarrista e arrangiatore Luis Garcia, che oramai accompagna Cheo da tanti anni, il gruppo si compone di una sezione ritmica tradizionale con congas,timbales, bongò e campana, basso elettrico, piano elettronico Roland ed una sezione fiati composta da due trombe, due tromboni e un sax baritono.
Alla voce il grande Cheo Feliciano supportato da due coristi.
Ma veniamo al concerto.
Tutta piena finalmente, la piazza antistante il palco, che vedeva prevalere le presenze dei colombiani e peruviani.
Ci avevano detto che aveva un calo di voce, ma questo si è sentito solo in pochissimi momenti e da grande professionista ha portato a termine il concerto alternarnando sapientemente boleros (come la splendida “Amada mia”) a salse travolgenti.
Del resto Cheo è uno dei massimi esponenti del Bolero a dimostrazione della sua voce duttile e versatile in ogni genere come solo ai grandi è possibile, vedi anche Ismael Rivera, Beny Morè, Tito Rodriguez, ecc.
Il concerto ha toccato diverse epoche cominciando dagli inizi con Joe Cuba a suon di pachanga con il brano “A Las Seis” dove il nostro ha improvvisato alcuni passi di pachanga alla bella età di 73 anni!
Cheo Feliciano – A las seis
In questo brano e nei successivi due l’orchestra prende le misure e le trombe cominciano a scaldarsi, mentre anche il fonico migliora e riesce a dare piena potenza all’amplificazione mettendo in evidenza la sezione fiati che appariva sbilanciata nella prima fase del concerto.
Dopo una splendida introduzione nella quale ha raccontato di come Joe Cuba l’abbia portato al successo, si passa a grandissima richiesta a “El Raton”, apparso nel disco del 1964 Hangin’ Out del sestetto di Joe Cuba.
Splendido il botta e risposta tra pubblico e Cheo e altrettanto bello l’assolo di Luis Garcia al tres, strumento in cui è uno dei massimi virtuosi al mondo.
Cheo Feliciano – El Raton
Si arriva quindi all’epoca della collaborazione con Eddie Palmieri, che segue la separazione da Joe Cuba, con un paio di brani tratti dal bellissimo “Champagne” del 1969, disco registrato assieme al grande Cachao Lopez.
Splendida la versione di “Busca Lo Tuyo”, dove il bravissimo pianista Alex si lascia andare ad un assolo da antologia: riprendendo le linee guida dell’assolo originario di Eddie Palmieri nella seconda parte accende il pubblico con ribattute nello stile di Michel Camilo con la mano destra e alternando la mano sinistra in controtempo!
Cheo Feliciano – Busca lo tuyo
Si arriva al periodo di maggiore successo da solista di Cheo, quello con il grande Tite Curet Alonso, che davanti al pubblico definisce il più grande autore di salsa! Tra i brani veramente splendida la versione di “Los Entierros” tratto da “Estampas” del 1979 e senza parole la stratosferica “Anacaona”, con un altro grande assolo del pianista.
Cheo Feliciano – Anacaona
Alla fine come bis richiesto a gran voce, il grande Cheo si congiunge idealmente al più amato cantante della storia della Salsa…Hector Lavoe.
A colui al quale era stato vicino nel periodo della droga, dedica l’ultima meravigliosa canzone: Todo tiene su final.
Anche questo pezzo magistralmente interpretato da Cheo deve una buona parte della resa, come tutti i brani proposti al concerto, a colui che da tanti anni cura i suoi arrangiamenti, ovvero al virtuoso della chitarra Luis Garcia.
Luis ha riarrangiato tutti i pezzi, rispettando l’originale ma aggiungendo il suo punto di vista con sofisticate armonie, sostituendo accordi e modificando alcuni stacchi per i fiati, ecc.
Bellissimo ad esempio il montuno nuovo di zecca per Todo Tiene Su Final.
Cheo Feliciano – Todo tiene su final
Vengono lanciate sul palco magliette con il volto di Hector Lavoe che non mancano mai ad un concerto dove ci sono i latini, che la storia della salsa la conoscono molto bene…
Grazie ancora alla gentilezza di Cheo per l’intervista, al servizio stampa e al Festival Latinoamericando che da tantissimi anni si adopera per portare questi straordinari mostri sacri della musica latina nel nostro paese.
Domande a cura della redazione de Lasalsavive, Tommy Salsero.Ringraziamo inoltre l’amico Fabrizio Zoro e la Radio Svizzera Italiana. Traduzione di Max Chevere, foto di Cafè Caribe, Daikil e Max Chevere
Qual è la situazione dei nuovi immigranti latini attualmente negli Stati Uniti?
Credo che la situazione sia molto migliorata rispetto al passato.
I nuovi immigrati latini hanno una maggiore coscienza che per far valere i propri diritti è necessario essere attivi.
La prima cosa che devono capire è che non sono più in America Latina, che prima di tutto sono ispanici di origine latina e solo dopo Colombiani, Portoricani, o quel che sia.
Questo è l’unico modo per poter arrivare a creare un’agenda mutua dove potersi organizzare in maniera tale da realizzare qualcosa di positivo.
Questo è molto difficile per noi latini perchè siamo abituati a competere uno contro l’altro, per questo motivo la musica è un mezzo molto importante, perchè la musica appassiona tutti e al tempo stesso ha un valore socio-politico nell’unire tanti latini in uno stesso ambiente e questo è molto positivo.
Che ruolo svolge nel comune di New York?
Io sono un funzionario del comune di New York ed in questo periodo non ho lavorato per fare la tourneè. Io sono stato uno dei primi a realizzare corsi per chiedere la cittadinanza americana e a organizzare i latini a New York. Gli Stati Uniti sono un paese formato da immigrati, prima arrivarono gli inglesi, gli islandesi, gli italiani, gli ebrei, e tutti si organizzarono per ottenere i propri diritti. Noi invece siamo arrivati e ci siamo nascosti nell’ombra, senza partecipare all’amministrazione dellà nostra società e questo ha rappresentato una nostra mancanza di responsabilità.
Perchè Willie Colon abbandona la musica e cosa farà in futuro?
Intanto continuerò a suonare fino alla fine del 2007.
Ho diversi progetti: voglio scrivere dei libri, voglio comporre musica, voglio andare a pescare e voglio riposare un poco, anche perchè sono più di 40 anni che vado avanti e mi piacerebbe lasciare il posto a qualche nuovo artista.
Il mio futuro non è da guerriero piuttosto da statista.
Ha detto che vorrebbe scrivere dei libri, su cosa?
Sulla vita dei latino americani negli Stati Uniti
Chi è stato il primo musicista a utilizzare il trombone nella salsa e chi l’ha ispirata maggiormente?
Il musicista che mi ha influenzato maggiormente è stato Barry Rogers che era un ebreo e suonò con Eddie Palmieri, mentre il primo gruppo a utilizzare solo tromboni fu quello di Mon Rivera e Barry suonava con questo gruppo.
Che importanza hanno avuto i musicisti portoricani nella creazione della salsa?
I musicisti portoricani hanno avuto molto a che vedere con la nascita del jazz.
Verso la fine del 1800 era illegale che i musicisti bianchi suonassero con quelli di colore, e dato che gli unici musicisti che sapevano leggere sufficientemente la musica erano quelli portoricani, e visto che erano anche mulatti (trigueñitos), potevano suonare insieme ai musicisti di colore.
Il direttore musicale di uno dei primi prototipi di gruppi misti di jazz fu Rafael Hernandez, che è stato uno dei compositori latini più importanti.
Ma quello che pochi sanno è che Rafael Hernandez suonava il trombone ed era uno dei direttori musicali più conosciuti nell’ambiente jazz.
I miei nonni arrivarono a New York negli anni 20 e la nostra generazione aveva la fortuna di poter usufruire di infrastrutture come giornali e radio, di conseguenza vivendo a contatto con il jazz, con i musicisti jazz di colore, con il rock ‘n’ roll, con i portoricani, i dominicani, i cubani tutti insieme.
Insomma era il posto adatto perchè nascesse questa fusione musicale chiamata salsa.
C’è musica nel futuro di Willie Colon?
Si, stiamo terminando un disco adesso e abbiamo quasi 14 canzoni pronte.
Dovrebbe essere il mio ultimo disco, almeno credo e dovrebbe essere pronto per Settembre.
E più avanti?
Io non dico nulla.L’uomo propone e Dio dispone.
Potrei vendere biro in un angolo della strada, chi lo sa?
Questa è l’intervista che gli organizzatori del Festival hanno fatto a Willie Colon prima del concerto e della quale potete vedere il filmato a seguire.
Benvenuto al festival Latino Americando di Milano.
Il suo concerto chiuderà la manifestazione.
Come vanno le cose maestro?
Stiamo viaggiando per l’Europa, questa è l’ultima data di questo tour europeo.
Devo dire che la risposta del pubblico è stata sorprendente, tutti i concerti hanno avuto un grande seguito e siamo davvero molto contenti.
Lei è stato uno dei pionieri della salsa, negli anni settanta Tito Puente disse che l’unica salsa era quella di pomodoro, lei invece cosa pensa della salsa e come è stato accolto in quegli anni?
La salsa ha rappresentato un momento di riconciliazione e di unione per tutti i gruppi sociali in america latina: gli indios con gli europei e con gli africani.
La salsa è nata a New York come una fusione fra le varie radici musicali: cubana,colombiana,portoricana,dominicana, ecc.
I veterani pensavano suonava male, che non si poteva fare, che non era giusto mischiare tanti generi diversi e siccome noi stavamo mischiando la chiamammo salsa.
Come sta andando la sua carriera adesso.
La prossima settimana andremo in Venezuela, inoltre stiamo lavorando ad un nuovo disco che sarà l’ultimo.
Il prossimo anno mi ritirerò dalla scena musicale in quanto credo sia giunto il momento ma sto lavorando ad altri progetti.
Si ringrazia l’organizzazione del Festival Latino Americando per la disponibilità dimostrata
Uno spezzone dell’intervista a Willie Colon
Calle Luna, Calle Sol, tratto dal concerto di Willie Colon
Arriviamo alle 21 davanti al Teatro delle Muse, stupendo, con quel suo incredibile mix di antico e moderno!
Con un’ ottima acustica (ero a centro sala) si apre il concerto del trio del chitarrista brasiliano Romero Lubambo, uno dei chitarristi jazz fondamentali dell’intero panorama latinoamericano. Per chi non lo conosce consiglio un bellissimo disco “Infinite Love” dove suona assieme all’altra stella del jazz brasiliano: Toninho Horta.
Il “Trio da Paz” è formato da Romero Lubambo,chitarra, Nilson Matta, contrabbasso e Duduka Da Fonseca alla batteria batteria.
Oltre a brani dell’ultimo cd del trio, vengono proposti alcuni standard del grande Tom Jobim, che il trio riesce a riproporre in una nuova veste con audaci sovrapposizioni, come nel caso della immortale Wave.
Incredibile l’interplay tra i musicisti che questo trio, considerato a ragione il migliore del Brasile, mette in mostra durante la serata.
Grande tecnica che non sovrasta l’espressività che esce dai loro cuori e dai loro strumenti…. facendo sembrare semplici cose in realtà molto difficili!
Dopo il set “brasiliano” arriva il momento di quello “latino” con uno dei pochi musicisti provenienti dalla Salsa a godere di un grandissimo rispetto anche nel mondo del Jazz: Eddie Palmieri.
Dopo un piccolo ritardo,inizia il concerto tanto atteso…alcune brevi note di introduzione da parte del presentatore e il concerto inizia.
Quando Eddie che appare piccolino sul palco enorme del teatro si siede al pianoforte a coda, si abbassano le luci nel silenzio più totale.
Chiudo gli occhi e sento quella musica che ci ha regalato 40 anni di emozioni in un lungo asssolo per solo pianoforte!
Questo è stato per me il momento più intenso e bello del concerto….la voce rauca di Eddie ricorda i versi gutturali di un altro grande immenso poeta del pianoforte: Keith Jarrett.
Ma la musica è diversa, molto diversa. Eddie in questo lungo intro rincorre tutte le sue inquetudini musicali, che da sempre lo contraddistinguono: echi di Monk e Tyner alternati a passaggi che riprendono i temi dei suoi successi; di colpo ritorniamo ai primi anni 70, ai tempi di Puerto Rico, Adoracion con gli intro pianistici lunghissimi.
Aumenta il ritmo ed entra il tumbao con la mano sinistra, mentre la destra inizia ad improvvisare come solo lui sa fare scale esatonali, quarte eccedenti, block cords, quello stile celebre che fu ripreso ad esempio da Marcolino Dimond, in “The Hustler” di Willie Colon.
Un lungo applauso chiude il solo di Eddie ed apre il concerto con il gruppo al completo, formato da alcuni dei migliori musicisti del panorama “latin” e “jazz”.
Sezione ritmica formata da John Benitez(basso elettrico),Horacio “el negro” Hernandez(batteria) Giovanni Hidalgo (congas),sezione fiati composta da Brian Lynch(tromba)Conrad Herwig (trombone) e Graig Handy (sax alto).
Il concerto si sviluppa sui brani del nuovo disco di questo super gruppo, vincitore del Grammy, l’ottavo nella carriera di Palmieri.
Eddie punta tutto sul gruppo,in particolare sulla sezione fiati che con la presenza di solisti del calibro di Linch e Herwig danno sicuramente una forte connotazione jazzistica all’intera serata,lasciando da parte questa volta la parte più tradizionale legata alla salsa.
Linch in particolare svetta su tutti, con un registro che tocca i sovracuti e le note più basse, passando da uno all’altro in modo stupefacente e strappando applausi a scena aperta.
Linch tra l’altro conosce perfettamente il linguaggio del jazz e della Salsa visto che il quarantottenne dell’Illinois prima dell’incontro con Palmieri aveva suonato per due leggende della Salsa come Angel Canales nel 1982-1983 e con Hector Lavoe nel periodo 1983-1987!
Importantissimo come tutti i fans di Palmieri sanno, il ruolo del Trombone, splendidi gli assoli di Conrad Herwig, con una dinamica impressionante capace di passare da un suono flautato alla più classica voce rauca e dirompente che lo strumento permette.
Come in Tin Tin Deo, una versione che passa dal Cha Cha Cha all’Afro in 4/4 o in Mira Flores un bellissimo Afro 6/8 dove la coppia Hidalgo e Hernandez con il loro intreccio ritmico, ci ricorda la connessione con il grande percussionista Mongo Santamaria che rese celebre questo ritmo legandolo a molti standard jazz.
Notevole anche il lavoro tra battere e levare delle due mani del maestro Palmieri, che rinforza ancor di più il lavoro dei percussionisti, anzi il suo piano “vigoroso” con i celebri ostinati della mano sinistra che tutti conosciamo, rendono ancora più “grande” il suono dell’orchestra. Seguono alcuni Cha Cha Cha come Listen Here, dove si mette in mostra il sax di Graig Handy, che tra l’altro è l’unico sul palco a ballare mentre suona!
Più in ombra il lavoro sempre preciso del basso elettrico di John Benitez, forse per un problema di amplificazione, ma il suono era a volte coperto da batteria e Congas. Inoltre abituati al baby bass della salsa, o del Contrabbasso, che hanno un suono dirompente, con il normale basso elettrico si nota meno il lavoro del bassista.
Arriva poi il momento di Palmieri nel Mambo jazzato” In In Walked Bud” dove ci ricorda che il leader è lui, uno dei soli in cui il “rumbero del piano” mette in mostra le sue doti di solista.
Chi si aspettava un concerto di Eddie Palmieri in primo piano, potrebbe essere rimasto deluso, ma questa è stata la sua scelta, voluta dall’artista che ha prima diretto la sua orchestra e poi da persona che non deve dimostrare più niente a nessuno, il suo lavoro al piano.
Ed anche questo spiega il perchè della scelta di suonare il piano elettronico(appoggiato sopra il piano), scelta obbligata per poter dirigere guardando tutti i musicisti.
Questo mi fa pensare che la bellissima apertura al pianoforte sia stata fatta anche per accontentare chi sperava di sentirlo all’opera con il re degli strumenti.
Una critica che si può muovere è che sia stato dato poco spazio ai due mostri delle percussioni, che se lasciati maggiormente liberi di suonare come sanno, avrebbero letteralmente incendiato la platea, cosa che è successa alla fine nell’ultimo brano: una descarga su un indiavolato ritmo di Mozambique, che proprio la Band di Palmieri grazie al timbalero Manny Oquendo trasformò dall’originale cubano creato nel 1963 da Pello el Afrokan, e lo popolarizzò nella Salsa a New York, con il celebre disco “Mozambique”.
La sfida tra congas e batteria termina con una rullata del “negro” Hernandez a cui risponde con la medesima velocità Hidalgo….ma con le sue sole mani!!
Hidalgo si gira e fa un sorriso beffardo al suo collega!
Si conclude così uno dei concerti più “jazzy” del nostro pianista,dall’altissimo tasso tecnico, ma che forse avrà lasciato un pò di amaro in bocca a chi si aspettava qualcosa di più dal punto di vista salsero.
Ma da come ha terminato l’intervista Vai all’intervista con Eddie Palmieri
, il nostro “rumbero del piano” ha voglia di tornare prossimamente con un nuovo disco inedito di salsa…e con relativa tournee! E che Salsa sia!
Si ringrazia l’organizzazione dell’Ancona Jazz Festival nella persona del Sig.Massimo Tarabelli per la cortesia dimostrata nei nostri confronti e per aver realizzato un evento di grande spessore
Intervista di Tommy Salsero, traduzione di Max Chevere, foto di Cafè Caribe
Quali sono stati i musicisti ed i pianisti che l’hanno influenzata maggiormente all’inizio della sua carriera musicale?
Mio fratello Charlie Palmieri e’ stato colui che mi ha influenzato maggiormente, inoltre alcuni pianisti che suonavano a New York, fra questi René Hernandez che era il pianista di Machito, un altro che e’ morto, Tommy Garcia, Gilberto Lopez che suonava con Tito Puente e successivamente negli anni sessanta alcuni pianisti cubani che arrivarono dall’isola.
Ha conosciuto il pianista Pedro Justiz Peruchin?
Non l’ho mai conosciuto perche’ aveva registrato sempre a Cuba ed io non sono mai stato nell’isola, pero’ era un incredibile pianista fra i preferiti di mio fratello Charlie.
Quali sono stati i pianisti jazz che l’hanno influenzata maggiormente dal punto di vista dell’armonia. Nel suo modo di suonare mi sembra vicino a quello di Mc Coy Tyner.
Si, Mc Coy Tyner per il legame con John Coltrane ma ci furono anche altri pianisti come Art Tatum, Bill Evans,tutti questi musicisti furono dei geni.
Inoltre Thelonious Monk, Bud Powell, e piu’ recentemente Herbie Hancock, Chick Corea, tutti grandi pianisti no?
E ascoltandoli sono arrivato al mio stile attuale.
Puo’ parlarci del periodo in cui suono’ con la Harlem River Drive (l’orchestra che suonava latin soul funk)?
Si, questa era l’orchestra di Aretha Franklin. Ronnie Cuber il saxofonista partecipò a questo progetto speciale per la compagnia Roulette che era la compagnia principale della divisione Tico Records, per la quale io registravo.
E dopo uscì questo LP che fu molto interessante, ovvero Harlem River Drive.
Oltre al piano acustico lei suonava anche il Fender Rhodes( il piano elettrico), ed anche l’organo.
L’organo lo introdusse mio fratello Charlie ed io lo accompagnavo con il piano elettrico.
Quindi l’uso dell’organo elettrico nei suoi dischi fu introdotto grazie a suo fratello?
In realta’ era il suono di quel periodo, si usavano molto l’organo ed il piano elettrico Fender Rhodes che utilizzai per diverso tempo, altrimenti usavo il piano acustico.
Oggi si pensa alla salsa solo come un ballo, almeno in europa e nei paesi occidentali.
In realta’ dietro ci sono una storia ed cultura molto profonde e la salsa non e’ solo un ballo.
Ad esempio a New York si mischiarono radici provenienti da vari paesi dell’america latina. Cos’è la salsa per Eddie Palmieri?
Bene, adesso è molto diversa da come si suonava un tempo, però ci sono ancora orchestre provenienti da Portorico che continuano a seguire la tradizione, così come a New York c’è un’orchestra la Spanish Harlem Orchestra che è molto fedele ai modelli ritmici della salsa dura, però molte cose sono cambiate con l’arrivo del Reggaeton. Quando c’è un ballo nuovo, una musica nuova legata ai giovani, diventa molto difficile da contrastare…
Si puo’ dire che sta succedendo la stessa cosa che accadde negli anni 60 con il boogaloo?
Esatto! Quando c’e’ un ballo legato ad un ritmo nuovo e’ sempre un successo.
Pero’ la salsa non muore mai.
Il vero problema e’ che non ci sono compagnie discografiche per registrare la nostra musica da ballo.
Ci sono alcuni artisti che stanno registrando, ma essi non stanno registrando pura salsa, bensì una combinazione di latin pop come per la compagnia Sony.
Inoltre non stanno suonando la musica delle orchestre nelle grandi radio commerciali, e’ possibile ascoltare la nostra musica solo nelle piccole radio delle comunità latine…
Questo e’ un grande problema…
Si, questo non ci ha aiutato ed e’ stato molto dannoso per la salsa.
Questo è un problema che tocca tutta la musica.
Le grandi compagnie investono solo nella musica commerciale…negli anni 70 c’era una grande sperimentazione e si mischiavano diverse armonie, dal jazz al soul e oggi non mi pare di vedere la stessa voglia di andare oltre che c’era in quegli anni.
Bisogna dire che i generi attuali che piacciono ai giovani sono il rap, l’hip pop ed il reggaeton.
Ci sono alcuni artisti a Portorico che stanno registrando con i musicisti che suonano rap e reggaeton, come Daddy Yankee con Andy Montanez, però secondo me non stanno dando buoni risultati.
Hanno tolto l’anima del tambor…
Si,si e’ molto triste…
E’ suonata più al computer che con le persone
Però è molto triste, molto triste.
Quando potremo vedere Eddie Palmieri suonare salsa nel nostro paese?
Bene,vediamo quando registreremo il prossimo cd, perche’ adesso stiamo facendo la promozione del cd di latin jazz (ndr Listen Here), anche perche’ per un periodo di tempo ho preferito suonare latin jazz e adesso penso sia giunto il momento di preparare un nuovo album ballabile di salsa…
Si ringrazia l’organizzazione dell’Ancona Jazz Festival nella persona del Sig.Massimo Tarabelli senza il quale questa intervista non avrebbe potuto essere realizzata
In quest’estate 2012 così avara di concerti di Salsa Classica appare su Facebook un post della nostra Chica che recitava con non-chalance “Hey, a proposito, vi ricordo quanto già anticipatovi tre mesi fa: questo weekend c’è Eddie Palmieri”.
Memori della tournée dello scorso anno, quando il Maestro si era sì presentato ma con il suo Jazz Quartet, questa notizia ha subito scombussolato i piani di molta gente, incredula nell’apprendere di un’occasione così ghiotta in un ambito non uso alla salsa ed oltretutto gratis (nonché a sola metà strada tra Genova, Milano e Torino).
Gli indizi però erano contrastanti e le informazioni difficili da reperire; il concerto era inserito nell’ambito di una rassegna jazz, ma un noto integrante dell’orchestra di Palmieri (Jimmy Bosch, non certo un jazzista) postava in bacheca la propria presenza il 29 al “Seravelle”… un collezionista alessandrino mi informava di avere ricevuto in casella postale un volantino dell’Outlet che parlava di Palmieri come di un jazzista, però La Chica assicurava tramite i propri canali che la Salsa ci sarebbe stata… e come se non bastasse il sito di Palmieri – nelle altre date della tournée europea, munifico di dettagli sul genere proposto – non riportava null’altro che la data e il luogo.
In realtà il dubbio sulla effettiva presenza dell’orchestra di Salsa è perdurato, almeno nel sottoscritto che in quel weekend si è macinato svariati chilometri a rischio, quasi fino all’ultimo sms che mi avvisava – mentre ero a 20 chilometri dalla meta – del montaggio sul palco di timbales e congas!
Lo scenario che mi si è proposto al mio arrivo nella piazza centrale del noto Centro Commerciale era questo:
Decine, centinaia di sedute, tutte occupate, quasi completamente da persone non avvezze alla Salsa, ma che sarebbero rimaste al loro posto – e applaudendo – fino alla fine del concerto.
Guadagno una sedia abbastanza centrale in quinta fila e parte subito il primo brano, non proprio popolare in quanto non molto ballabile per via dei suoi inserti in Ritmo Mozambique, ma che per una ouverture dal vivo era perfetto: La Libertad Lógico (Revolt), su cui la sezione ritmica dà sfoggio del proprio talento Afro-Cuban per poi lasciare spazio – a 4:15 – all’entrata in Salsa con tutti gli strumentisti dell’orchestra.
Questa la line up completa della Eddie Palmieri’s Salsa Orchestra:
Prima linea “Melodia”: Piano – Eddie Palmieri, Chitarra – Nelson Gonzales, Lead Vocal – Herman Olivera, Chorus Vocal & Maracas – Joseph Gonzalez.
Seconda linea “Ritmica”: Luques Curtis – Contrabbasso, José Claussell – Timbales, Vicente “Little Johnny” Rivero – Congas, Orlando Vega – Bongo & Campana.
Terza linea “Fiati”: Jimmy Bosch – Trombone, Doug Beaver – Trombone, Jonathan Powell – Tromba, Charlie Sepúlveda – Tromba.
Il secondo brano è Dame Un Cachito Pa’ Huele, celebre Son Montuno di Arsenio Rodriguez, uno degli artisti cubani più seminali per il genere che vent’anni dopo, fuori da Cuba, si evolse nel genere “Salsa”; il Ritmo Son, tipicamente caratterizzato dal tres cubano, permette qui di mettere in evidenza il chitarrista che si produce in un applauditissimo assolo ad esecuzione ancora in corso.
Il brano dà l’occasione a Palmieri di interrompere un attimo il concerto per esporre la propria opinione sulle origini, la successiva evoluzione nonché il presente attuale del genere che definiamo Salsa: “In principio era Afro-Cuban, poi divenne Afro-Caribbean e adesso è Afro-World”, sintetizzando così in poche ma significative parole l’essenza di questa musica, che trae sì origine dall’incontro dell’Africa con Cuba, ma che poi si sviluppa coi contributi da tutto il Caribe e, ai giorni nostri, financo da altri Paesi.
Il concerto prosegue con una brano richiesto dal pubblico (Azucar Pa’ Ti) e con un altro bel Son Montuno (Lindo Yambu) per poi arrivare ad una delle hit più conosciute anche da chi non sa chi è Palmieri: Malanga.
Su questo brano mi rendo conto che alle mie spalle si son messi a ballare!
Riprendo la Genova Salsera per qualche secondo ma poi torno subito a filmare il palco perché a livello musicale ciò che si può scorgere è veramente interessante; i vari musicisti (inclusi i cantanti) seguono sì una base certamente prestabilita, ma sulla quale cedono la scena agli altri per poi riprendersela, talvolta con un segnale scandito 4 battute prima (quello di Jimmy Bosch è plateale); idem per il direttore musicale, Palmieri, quando decide che la canzone deve terminare, e l’orchestra lo fa all’unisono: questa sorta di programmazione/improvvisazione è per me una delle cose più emozionanti della Salsa dal vivo, e finora mi è capitato come spettatore di goderne ai massimi livelli in occasione di concerti di Salsa Classica, ossia quella Salsa che fra tutte è la più complessa e che quindi più si presta a queste dinamiche.
Il brano di chiusura è una perla che, in epoca di Salsa Romantica, testimoniava che la Salsa Dura, in Palmieri, rimaneva viva: Palo Pa’ Rumba del 1984:
Su questo brano esplosivo (soprattutto nella sua seconda metà) Palmieri chiudeva il concerto nonostante i ripetuti o-tra o-tra che si levavano dal pubblico, ringraziava i tecnici del suono (che invero hanno svolto un lavoro eccellente) e si allontanava veloce dal palco insieme a cinque guardie, proteggendolo da alcuni fans delusi dal mancato bis.
Ciononostante il concerto è stato stre-pi-to-so, quasi due ore di musica eseguita in maniera impeccabile da 12 musicisti, tutti in splendida forma, nessuno escluso; per lavorare con Palmieri il talento non può mancare!
Degni di nota sono proprio tutti, sia nella esecuzione collettiva che negli assoli; in particolare mi ha colpito il cantante Herman Olivera, questo Sonero che lavora con Palmieri dal 1998 (anno d’uscita del bellissimo, ma poco conosciuto CD “Rumbero de Piano”) e che avevo già sentito nel ’99, dove però l’impianto audio non aveva messo in evidenza le sue doti e forse anche lui stesso non aveva sviluppato quella presenza scenica da Front Man che ho invece potuto vedere in questo concerto.
Viene da chiedersi, in presenza di una lunga tournée europea del gruppo, come mai che non sia stato possibile un ingaggio all’interno del noto circuito latino-americano: ma l’importante è che ciò si sia realizzato, anche se altrove.
E’ nato nel 2001 con descargas e latin jazz. Il formato originale era senza piano, solo con il basso.Si dava molta importanza alle percussioni, alla sezione fiati e agli assoli di ogni strumento.
Sabor y Control è un’orchestra con un “sabor” molto classico, con similitudini alla salsa degli anni ’70, quando si suonava per il gusto di farlo e non per i ballerini come fanno molti gruppi di salsa oggi.Com’è nata questa idea di suonare con lo stile del barrio?
La nostra influenza viene dalla musica degli anni ’70 ed è per questo che cerchiamo di conservarne l’essenza. Secondo noi nel decennio degli anni ’70 è stata prodotta la miglior salsa.
Nel nostro disco “El guapo soy yo” tutte le registrazioni sono state realizzate in blocco, ovvero suonando tutti insieme, esattamente nello stesso modo in cui si registrava negli anni settanta.
In Italia ci sono molti appassionati che vorrebbero poter ascoltare e ballare questa salsa. Sono passati quasi quattro anni da quando abbiamo inaugurato il sito web de LaSalsaVive.org e da allora molte cose sono cambiate in meglio. Adesso anche in Italia ci sono molte persone che ricercano questa musica senza “compromessi”, la musica che noi abbiamo voluto ribattezzare “salsa cazzuta”.
Cosa ne pensate di questa nuova rinascita ed in Perù qual è la situazione?
Effettivamente la nostra è una musica “senza compromessi”. Ci preoccupiamo molto del fatto che gli ascoltatori possano viverla al 100%. Non abbiamo voluto inserirci in una posizione prestabilita, infatti la nostra musica si presta ad essere interpretata in maniera molto personale, la stessa cosa accade quando la si deve ballare, non è “salsa monga” (ndr scialba, piatta) dove ci sono dei pasitos prestabiliti.
Anche in Perù ci sono appassionati di salsa dura. Fortunatamente i programmi specializzati l’hanno accolta molto bene. Sfortunatamente come in tutto il mondo, anche in Perù c’è molta “salsa monga” però al tempo stesso c’è un gruppo di salseri “veri” che ogni giorno cresce e che si identifica con la musica di Sabor y Control.
Ci sono altri gruppi in Perù che suonano salsa dura?
In Perù non esiste nessun gruppo che suona salsa dura propria. Esistono orchestre che fanno cover, cioè orchestre che interpretano la musica di altri musicisti, però senza suonare nulla di proprio.
Quali sono i musicisti che vi piacciono di più e che hanno influenzato maggiormente il vostro stile musicale?
Qual è per voi la differenza tra la salsa di ieri e quella di oggi?
La salsa di ieri era quella del barrio, parlava di temi quotidiani. La salsa di oggi è legata a temi romantico-amorosi. Al di là della musica, la salsa di ieri era più agguerrita, non era così “protetta” come quella di adesso. In Sabor y Control cerchiamo di conservare l’essenza della vera salsa per quel che riguarda i testi mentre diamo il 100% di noi stessi alla musica dando grande importanza all’improvvisazione e agli assoli di ogni strumento. Sentiamo molto quel che facciamo.
SABOR y CONTROL – La cosa no sigue más
La salsa romantica prima e la salsa con pop e reggaeton adesso, sono state utili allo sviluppo del movimento salsero?
Forse può rappresentare un’esca per chi non ha mai ascoltato salsa dura. Però siamo convinti che le persone che vogliono divertirsi davvero quando iniziano ad ascoltare salsa dura non la lasciano più. Dal punto di vista dell’apporto al genere musicale non crediamo che questi incroci apportino molto alla salsa.
Pensate che il reggaeton possa convivere insieme alla salsa o che la salsa con reggaeton rappresenti la fine di questa musica?
Rispettiamo molto chi fa reggaeton e anche chi lo ascolta. Però non crediamo che si debbano mischiare per farne un ibrido. A nostro parere ogni genere deve differenziarsi e andare per conto suo.
Che cosa pensate della nuova musica popolare cubana chiamata timba?
In Perù ha avuto successo, ma attualmente praticamente non la si ascolta più. Rispettiamo anche chi fa e ascolta questa musica, però il fatto che, almeno in Perù, sia quasi scomparsa ci fa riflettere, perchè generalmente si dice che quel che è realmente valido non finisce mai.
Qual è la differenza fra la timba e la musica che voi suonate?
Sabor y Control – Piensa con clarida’
La tematica è molto diversa perchè, come abbiamo già detto, la salsa dura parla di fatti di vita quotidiana, invece la timba no. La struttura musicale della timba da maggior importanza ai cori ripetitivi e alle coreografie in serie. La salsa dura invece viene apprezzata da chi la ascolta senza bisogno di essere ripetitiva. Una gran differenza è nel sentimento nel momento di suonare e anche quel che l’ascoltatore prova senza avere parametri stabiliti. Un’altra differenza è legata alla carenza di descargas nella timba, in pratica non ci sono quasi assoli strumentali.
Potete parlarci del vostro nuovo cd “El Guapo soy yo”?“El Guapo soy yo” è stato registrato alla fine del 2006, la registrazione è stata fatta matenendo lo stile della salsa degli anni settanta, in pratica abbiamo registrato in blocco, suonando tutti insieme.
Tutte le canzoni sono nostre e come vi rendarete conto ascoltandolo è legato a temi quotidiani.
Questa produzione ha ricevuto un gran numero di critiche positive da parte dei mezzi di comunicazione specializzati, così come numerose recensioni in pagine web nazionali e internazionali.
A Lima abbiamo avuto il piacere di chiudere la stagione 2006 di un programma molto prestigioso chiamato JAMMIN’ con la presentazione del nostro disco.
SABOR y CONTROL – El niche del callejón
Avete mai suonato in Europa? E vi piacerebbe suonare in Italia?
Abbiamo avuto diversi contatti tramite internet con molte persone in Europa che hanno manifestato il loro interesse per il nostro lavoro. Ci piacerebbe moltissimo poter suonare per voi e condividere quello che facciamo con immenso piacere. Siamo coscienti che in Italia ci sono ballerini di salsa molto competenti e ci farebbe un grande piacere suonare per loro.
Nel nostro sito ci sono molti fan’s di Ray Perez, un pianista venezuelano che sul finire degli anni sessanta suonava con la Orchestra dei Los Dementes, lo conoscete e avete mai suonato sue canzoni?
Naturalmente conosciamo Ray Pérez, lui con l’Orchestra dei Los Dementes rappresenta uno dei maggiori esponenti di salsa di qualità. Non abbiamo mai suonato sue canzoni ma crediamo che lo faremo prossimamente visto che la sua musica ci piace molto.
Progetti per il futuro?
Abbiamo suonato molto a Lima e siamo molto contenti perchè ogni giorno riceviamo tante email con buoni commenti e di sostegno per il nostro lavoro. Questi complimenti non arrivano solo dal Perù ma anche da altri paesi d’America, Europa e Asia. Ci piacerebbe molto poter concretizzare un tour per l’Europa, specialmente in Italia, dato che sappiamo che c’è un buon pubblico di salseri. Finalmente vorremmo ringraziare Max per la sua onda positiva e per la promozione e divulgazione della buona musica in Italia. Un saluto a tutti i salseri e speriamo di vedervi presto.
…“ Si yo fuera presidente, si yo fuera un presidente, no hubiera fuerzas armadas, las guerras se acabarían, los muchachos regresaban a casa donde pertenecen…Frankie Dante pa’ presidente”…
Lenin Francisco Domingo Cerda, meglio conosciuto nell’underground salsero come Frankie Dante, nacque a Santo Domingo – Repubblica Dominicana, il 15 settembre del 1945 e morì di cancro a New York l’1 marzo del 1993.
Dante, emulando il suo compatriota Johnny Pacheco, si stabilisce nella città dei grattacieli e porta con sè il suo talento lirico “precursore” per quanto riguarda la coscienza sociale nella salsa.
Con buon tatto artistico percepisce che il suono “del barrio” e il suo pungente stile musicale saranno l’asse principale del nuovo concetto che nascerà nelle terre dello Zio Sam.
Riconosce nel quasi adolescente Willie Colón uno stile da seguire, è attratto enormemente da quella forma “aspra” di arrangiare musicalmente i brani, anche il maestro Eddie Palmieri e la sua Orquesta La Perfecta (già in piena auge) esercitano influenza sul giovane Dante così come il modo di Ismael “Pat” Quintana di interpretare, forma questa che Frankie incorpora già immediatamente nella sua prima produzione nel 1968 sotto l’etichetta Cotique (Ref. CS-1043) intitolata Los Coquetones, nella quale lo stesso Quintana partecipa ai cori e un emergente Milton Cardona si distingue alle congas.
La seconda produzione di Dante con La Flamboyán è l’album Different Directions, lanciato nel 1969 sempre dall’etichetta Cotique (Ref. CS-1052), nel quale continua a seguire la sua linea trombonistica nello stile palmeriano anche se non mostra ancora la sua vena lirico-sociale fino al lancio della sua terza produzione nel 1970 intitolata Se Viste de Gala(Cotique CS-1065) dove da i primi segnali della sua preoccupazione sociale interpretando la hit Venceremos. Preistoricamente include un riff di chitarra nell’apertura e nella chiusura del brano usando il talento di Harry Vigianno curiosamente incaricato anche del Tres in questa produzione.
Si rinforza alle congas con Jerry González (futuro ispiratore del prematuramente scomparso Iván Cáceres) e con Ray Armando.
Così lascia il suo primo messaggio alla pace con questi versi:
…”(Coro) Non voglio più guerra, non voglio più lottare. Arriverà il tempo per vivere in pace, il tempo si sta avvicinando, il mondo sta finendo, per questo che io vi prego, che ci uniamo e andiamo a vincere, tu vedrai… (Coro) … Sinceramente vi chiedo che pensiate prima di agire, questa vita è molto corta e l’amore è ciò che importa, ed è la verità, tu vedrai”…
E’ solo nel 1972 che viene riconociuto a Frankie Dante il suo talento nel ricevere una proposta dallo stesso Larry Harlow per produrre il suo nuovo LP e con diritto di partecipazione speciale del Judío Maravilloso. La produzione Orquesta Flamboyán Con Larry Harlow viene alla luce sempre sotto l’etichetta Cotique (Ref.CS-1071) già dimostrando l’irriverenza che lo avrebbe reso immortale e curiosamente lo stesso anno dell’inizio della “matancerización” della salsa (Harlow produce quasi simultaneamente il suo Tributo a Arsenio intanto che Pacheco viveva il proprio punto alto nel suo “compadrazgo” assieme a Pete “El Conde” Rodríguez.)
Frankie Dante e due grandi: Larry Harlow e Marcolino Dimond.
Frankie riesce ad imporre La Cuna del Son (come influenza sonera dell’epoca) però sono i brani Yo Te Seguiré, Vive La Vida Hoy e soprattutto Presidente Dante (dove Frankie dimostra tutta la sua irriverenza al sostituire il montuno con un discorso politico alla maniera di candidato) che catapultano la sua accettazione da parte dei seguaci dell’ “underground salsero”.
Come esemplare seguace della corrente “underground”, Dante preferisce presentarsi bohemiamente nei club della notte salsera, così “El Caborrojeño”, “El Cheetah” e diversi altri locali testimoniano il suo talento musicale preferendo così questo riconoscimento a quello della critica formale.
Si allontana un poco dall’ambiente degli studi musicali dedicandosi più agli spettacoli e solo nel 1975 insieme al geniale pianista Marcolino Dimond (che conobbe durante le sue esibizioni nei club) produce la sua opera prima Beethoven’s V.
Di nuovo con Harlow al comando, convoca un gruppo selezionato, gente come Ismael Miranda, Pete “El Conde” Rodríguez, Yayo “El Indio” e Chivirico Davila rispondono alla chiamata per la formazione delle voci e coro. Partecipano anche Barry Rogers, Lewis Kahn e Reinaldo Jorge ai tromboni, la percussione viene completata da Nicky Marrero, Pablito Rosario, Frankie Malabé e Mike Collazos, Lou Sollof e Randy Brecker vanno alle trombe, Eddie “Guagua” Rivera al basso e al piano e agli arrangiamenti Marcolino “Mark” Dimond, veramente una formazione storica. Anche Marty Sheller lascia il segno del suo talento a questa produzione con i suoi arrangiamenti.
Corsero voci che i brani di questa produzione fossero registrati prima del 1975 (anno in cui effettivamente fu lanciato il disco sul mercato) più precisamente nel 1973 e quasi subito dopo della prima produzione con Harlow, ma probabilmente si tratta più di una leggenda metropolitana che della realtà.
Ancora con “buoni polmoni” e ancora assieme a Dimond registra Salseros de Acero nel 1976 (Cotique CS-1086) riprende praticamente la formazione originale de Los Flamboyán con Joe “Chickie” Fuentes alla tromba, Angelo Rodríguez al trombone e Alex Ojeda ai timbales, e già convertito in una figura stellare dopo la bella avventura “harlowiana” ottiene la partecipazione di stelle come Charlie Palmieri, Tito Puente e Ricardo Marrero. Agli arrangiamenti partecipa il talentuoso e già scomparso trombonista brasiliano Jose Rodrigues.
In questa produzione c’è il rifacimento del classico “Chupa el Piruli” e lancia la seconda parte de “La Coquetona”, nel frattempo solo una dimostrazione del suo talento lirico è presentata nel brano “Ciência Política” di sua mano, provando al suo pubblico che manteneva ancora intatta la sua principale caratteristica musicale.
“Salseros de Acero” la formazione originale torna di nuovo.
Una volta abbandonata la sua proposta iniziale che era caratterizzata da testi con un messaggio sociale molto radicato, Frankie Dante non emerge molto nella sua produzione Flamboyán All Star Band dove preferisce provare a conquistare un mercato più commerciale incidendo brani senza troppo prestigio e si ribattezza con il suggestivo soprannome di “Be Bop”, nonostante la partecipazione di star come Willie Colón, José Mangual Jr. e Tito Allen (nei cori), Orestes Vilató (ai timbales), Ray Maldonado (tromba) e Leopoldo pineta (trombone) non riesce a dare continuità alla sua piccola ma emblematica carriera e riesce a cadere nell’ostracismo totale.
Nonostante nel 1978 la Cotique lanci una raccolta di 8 brani intitolata Best Foot Forward, credendo in questa possibilità di resuscitare il mito e preparandogli il terreno per il suo ritorno al rifugio del “underground” salsero che accade nel 1979 attraverso il lancio del nuovo LP intitolato Los Rebeldes (Cotique CS 1102) e già con la provvidenziale nuova denominazione della sua Orquesta para Frankie Dante Y Los Rebeldes anche se non c’erano più guerre da cantare e la salsa “coscienza” (sociale) emergeva irresistibilmente con Rubén Blades & Willie Colón e la loro Siembra.
Frankie Dante – Il tentativo del ritorno
In verità Frankie Dante fu una delle tante vittime delle famose liste nere dell’ambiente latino a New York e come scrisse il monumentale César Miguel Rondón:
“… sempre si caratterizzò per uno spirito ribelle e irriverente che non smise di essere coerente con qualcosa che la salsa trascinava nel fondo: il disperato sentimento dell’essere emarginato che esige di essere ascoltato…”
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EL PRESIDENTE DANTE …“ Si yo fuera presidente, si yo fuera un presidente, no hubiera fuerzas armadas, las guerras se acabarían, los muchachos regresaban a casa donde pertenecen…Frankie Dante pa’ presidente”…
Lenin Francisco Domingo Cerda, más conocido en el “underground” salsero como Frankie Dante, nació en Santo Domingo – Republica Dominicana, el 15 de septiembre de 1945 y murió de cáncer en Nueva York el 1 de marzo de 1993. Dante, emulando a su compatriota Johnny Pacheco, se establece en la ciudad de los rascacielos y lleva junto su “precursor” talento lírico en lo referente a conciencia social dentro de la salsa.
Con buen tino artístico percibe que el sonido del barrio y su hiriente estilo musical serán el eje principal del nuevo concepto que nace en tierras del Tío Sam.
Reconoce en el casi adolescente Willie Colón un estilo a seguir, le atrae enormemente aquella forma “agria” de arreglar musicalmente los temas, el maestro Eddie Palmieri y su Orquesta La Perfecta (ya en pleno auge) también ejercen influencia en el joven Dante así como la manera de Ismael “Pat” Quintana de interpretar, forma esta que Frankie incorpora ya inmediatamente en su primera producción en 1968 bajo el sello Cotique (Ref. CS- 1043) titulada Los Coquetones, en la cual el propio Quintana participa en los coros y un emergente Milton Cardona se luce en las congas.
La segunda producción de Dante con La Flamboyán es el LP Different Directions, lanzado en 1969 también por el sello Cotique (Ref. CS-1052) aún siguiendo su línea trombonística al estilo palmeriano todavía no muestra su vena lírico-social sino hasta el lanzamiento de su tercera producción en 1970 titulada Se Viste de Gala (Cotique CS-1065) donde da los primeros señales de su preocupación social interpretando el hit Venceremos. Pré-históricamente incluye un riff de guitarra en la abertura y en el cierre de este tema usando el talento de Harry Vigianno curiosamente también encargado del Tres en esa producción.
Refuerzase en la congas con Jerry González (futuro inspirador del prematuramente fallecido Iván Cáceres) y con Ray Armando.
Así deja su primer mensaje a la paz con estos versos :
…”(Coro) No quiero guerra más, no quiero mas pelear. El tiempo llegará para vivir en paz, el tiempo se está acercando, el mundo se está acabando, por eso es que yo les ruego, que nos juntemos y vamos a ganar, ya tu verás…(Coro) …Sinceramente les pido que piensen antes que actúen, pues esta vida es muy corta y el amor es lo que importa, y es la verdad, ya tu veras”…
Solo en 1972 es que Dante tiene su talento reconocido al recibir propuesta del propio Larry Harlow para producirle su nuevo LP y con derecho a participación especial del Judío Maravilloso. La producción Orquesta Flamboyán Con Larry Harlow sale a la luz, siempre bajo el sello Cotique (Ref. CS-1071) ya dando muestras de la irreverencia que lo inmortalizaría y curiosamente en el mismo año del inicio de la “matancerización” de la salsa (Harlow produce casi que simultáneamente su Tributo a Arsenio en tanto que Pacheco vivía su punto alto en su “compadrazgo” junto a Pete “El Conde” Rodríguez.)
Frankie Dante y dos grandes: Larry Harlow y Marcolino Dimond
Frankie consigue imponer La Cuna del Son (como influencia “sonerística” de la época) pero son los temas Yo Te Seguiré, Vive La Vida Hoy y principalmente Presidente Dante (en donde Frankie demuestra toda su irreverencia al substituir el montuno por un discurso político bien a la manera de un candidato) quienes catapultan su aceptación por parte de los seguidores del “subterráneo salsero”.
Como ejemplar seguidor de la corriente “underground”, Dante prefiere presentarse bohemiamente en clubs de la noche salsera, así “El Caborrojeño, “El Cheetah” y diversos otros locales atestiguan su talento musical prefiriendo así este reconocimiento que al de la crítica formal.
Se aleja un poco del ambiente de los estudios musicales dedicándose mas a los shows y solo en 1975 ya con el genial pianista Marcolino Dimond (a quien conoció en esa fase clubística) produce su obra prima Beethoven’s V.
Nuevamente con Harlow en la batuta, convoca un plantel selecto, gente como Ismael Miranda, Pete “El Conde” Rodríguez, Yayo “El Indio” y Chivirico Davila atienden su llamado para la formación de los vocales y coros. Participan también Barry Rogers, Lewis Kahn y Reinaldo Jorge en los trombones, la percusión es completada con Nicky Marrero, Pablito Rosario, Frankie Malabé y Mike Collazos, Lou Sollof y Randy Brecker asumen las trompetas, Eddie “Guagua” Rivera en el bajo y al piano y arreglos Marcolino “Mark” Dimond, realmente una formación histórica. Marty Sheller también imprime su talento a esta producción con sus arreglos.
Corrieron rumores de que los temas de esta producción fueron grabados antes de 1975 (año en que efectivamente fue lanzado el LP al mercado) mas exactamente en 1973 y casi que inmediatamente después de la primera producción con Harlow, mas talvez es una versión que tiene mas de mitología de lo que de realidad.
Aún con “buenos pulmones” y todavía junto a Dimond grabaría Salseros de Acero en 1976 (Cotique CS-1086) retoma prácticamente la formación original de Los Flamboyán con Joe “Chickie” Fuentes en la trompeta, Angelo Rodríguez en el trombón y Alex Ojeda en los timbales, y ya convertido en una figura estelar después de la bien sucedida aventura “harlowiana” consigue la participación de estrellas como Charlie Palmieri, Tito Puente y Ricardo Marrero. En los arreglos participa el talentoso y ya fallecido trombonista brasileiro Jose Rodrigues.
En esta producción esta el remake del clásico “Chupa el Piruli” y lanza la segunda parte de “La Coquetona”, mientras tanto solo una muestra de su talento lírico es presentada en el tema “Ciência Política” de su autoria, probando para su publico que todavia mantenia intacta su principal característica musical.
“Salseros de Acero” la formación original vuelve nuevamente
Abandonando su propuesta inicial de letras con mensaje de cuño social bien arraigado, Frankie Dante no luce mucho en su producción Flamboyán All Star Band donde prefiere intentar conquistar a la mídia comercial grabando temas sin mucho lustre e re-bautizándose con el sugestivo apodo de “Be Bop”, mas a pesar de la participación de stars como Willie Colón, José Mangual Jr. y Tito Allen (en los coros), Orestes Vilató (en los timbales), Ray Maldonado (Trompeta) y Leopoldo Pineda (Trombón) no consigue dar continuidad a su pequeña pero emblemática carrera y consigue caer en el ostracismo total.
Aún así, en 1978 la Cotique lanza una compilación de 8 temas titulada Best Foot Forward, creyendo esta en la posibilidad de resucitar al mito y preparándole terreno para su regreso al reducto del “underground” salsero el cual ocurre en 1979 a través del lanzamiento de un nuevo LP titulado Los Rebeldes (Cotique CS 1102) y ya con la providencial nueva denominación de su Orquesta para Frankie Dante Y Los Rebeldes mas ya no habían guerras a quien cantar y la salsa conciencia emergía irresistiblemente con Rubén Blades & Willie Colón y su Siembra.
Frankie Dante – La tentativa del regreso
En verdad Frankie Dante fue una de las tantas victimas de las famosas listas negras del ambiente latino en Nueva York y como escribió el monumental César Miguel Rondón : …siempre se caracterizó por un espíritu rebelde e irreverente que no dejó de ser consecuente con algo que la salsa arrastraba en el fondo : el desesperado sentimiento del ser marginado que exige ser oído…