Una notte al Palladium 6

Una notte al Palladium 6, Don Chisciotte (Galliera – BO), 11 maggio 2013, foto e video.

Allora, da dove cominciamo? Dalle splendide note di “Inolvidable” di Tito Rodriguez che mi riportano all’evento di ieri sera al Don Chisciotte “Una notte al Palladium 6″…intanto, lo so mi ripeto per l’ennesima volta, GRAZIE DI CUORE A TUTTI VOI, appassionati che pur di vivere un evento di questo tipo, vi spostate e fate centinaia di chilometri…senza di voi non ci potrebbero essere questi eventi. GRAZIE a Andrea & Samuele del Donky perchè dopo tanti anni sono sempre lì, GRAZIE a Titone Tassinari perchè ha diretto la giostra magistralmente insieme a Fabio El Barrio e Marteau dj. GRAZIE a tutte le scuole che continuano ad aiutarci a far continuare questo sogno sostenendo le nostre iniziative e naturalmente GRAZIE a tutti voi, singoli ballerini, che siete il CUORE pulsante del ns. progetto, un sogno che GRAZIE a tutti voi dura da ormai 10 anni. E GRAZIE al fratellone Tommy, perchè lui oltre a essere l’altrà metà de LaSalsaVive e anche la mia familia. Appuntamento il 14 settembre 2013 al Don Chisciotte, vi aspetterà un DECIMO anniversario LaSalsaVive pieno di festa, allegria, gioia di vivere e tanta, tanta, bella musica.

Max Chevere

Ragazzi, vi chiediamo una cortesia, lasciate un vostro commento in fondo alla pagina, sarà un bel modo per ricordare tutti voi! Grazie!

Ed ora…ecco le foto!

Una notte al Palladium 6
Una notte al Palladium 6

Ed ecco il primo video!

Chucho Valdes

Chucho Valdes: pronto il nuovo disco “Border Free”.

Il pianista cubano Chucho Valdes rompe le frontiere dei generi, mischiando flamenco, jazz, ritmi afrocubani fino ai Comanche, nel suo nuovo disco che sarà presentato in un concerto al teatro Châtelet di Parigi, insieme a Concha Buika e al jazzista americano Ron Hargrove.

Arrivato ai 71 anni, Chucho Valdes, una delle grandi figure del jazz latino, trasuda energia e musica da ogni poro, con la programmazione di nuovi concerti, tour e premi in tutto il mondo, che si sommano agli otto Grammy che hanno visto premiare la sua carriera.

Però in mezzo a tutta questa incredibile attività, rimane sempre viva la figura di suo padre, Bebo Valdes, il suo “gran maestro”, che è recentemente scomparso in Svezia il passato mese di marzo, quando aveva 94 anni, e al quale Chucho dedica una canzone nel suo ultimo disco intitolato “Border-free” (Senza Frontiere), che sarà in vendita in Europa a partire dal prossimo 7 maggio.

In un’intervista con la AFP in un hotel di Parigi, Valdes non nasconde il dolore per la perdita di suo padre, nè mette sotto silenzio il suo rimprovero a Cuba per non avere riconosciuto una delle figure più importanti del jazz latino a livello mondiale.

“Cuba deve un tributo speciale a mio padre, un’artista mondiale della musica”, ha affermato il figlio, ricordando che nella vita di Bebo, vincitore di sette premi Grammy, i mass media non hanno mai parlato di suo padre.

“Mi hanno detto che la radio e la televisione cubana hanno parlato di mio padre il giorno della sua scomparsa. Però Cuba dovrà rendergli un tributo, glielo deve”, ha sottolineato il musicista, segnalando che a Malaga (Spagna), gli hanno reso un “grazioso omaggio”, nella stessa strada dove Bebo visse.

“Secondo me anche a Cuba dovrebbero fare la stessa cosa. E dovranno farlo adesso, non più avanti.
E i miei rimproveri non sono solo per Bebo. Non è giusto che a Cuba non si parli di tutti i musicisti che vivono fuori dal paese”.

Chucho Valdes
Chucho Valdes

Durante l’intervista Valdes ha manifestato tutta la sua euforia per il nuovo disco, che rappresenta un punto focale del suo lavoro con il quintetto Afro-cuban Messengers.

Racconta fra le risate la copertina del disco, nella quale appare vestito con le piume di un capo tribù indiano dei Comanche, e nel quale interpreta una canzone con ritmi comanche. Però spiega, già più serio, che una delle canzoni del disco, “Afrocomanche”, si riferisce ad un episodio “sconosciuto” della storia di Cuba.

Chucho Valdes, Border free
Chucho Valdes, Border free

“Alla fine del XIX secolo, 700 indiani Comanche furono deportati dagli Stati Uniti a Cuba, dove si mischiarono con gli afrocubani. I loro discendenti si chiamarono afrocomanches”, spiega Chucho, che in questo modo ha voluto rendere omaggio a questo episodio.

Nel suo nuovo disco, rende anche omaggio al flamenco, alla musica araba, senza dimenticare il suo “eterno grande amore: la musica classica”.

“In questo disco ho rotto le barriere dei generi, però sempre mischiandoli con la musica afrocubana”, ricorda Bebo, informandoci che nella canzone “Abdel” approccia il filone della musica araba, mentre in “Santa Cruz” quello del flamenco. “E non solo: ci sono spunti presi da Bach, Mozart, Chopin, Beethoven e dal jazz”.

Il musicista che ha ricevuto riconoscimenti prestigiosi come il dottorato honoris causa dal Berklee College of Music di Boston, una delle principali istituzioni musicali nel mondo, sottolinea l’importanza dell’improvvisazione nella sua ultima opera.

“L’improvvisazione è libertà di muoversi per i percorsi che più desideri affrontare, dare spazio alla propria mente liberandola da ogni impedimento, sperimentare e meditare fino a dove può arrivare la tua immaginazione”.

Valdés, la cui vitalità diventa contagiosa, sta già lavorando al prossimo disco. “Però non ti dico nulla perchè voglio che sia una sorpresa”!

Osserva che il suo cammino lo porta sempre alle sue “origini afrocubane”, ai ritmi yoruba e mandinga, “di una ricchezza ritmica e melodica enormi”, che marcano anche il prossimo lavoro.

Dopo la Francia, Chucho Valdes ha già programmato un tour mondiale che lo porterà in Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Canada e vari paesi asiatici, dove sarà accompagnato dal quintetto Afro-cuban Messengers.

Vai al sito ufficiale di Chucho Valdes

Español

– El pianista cubano Chucho Valdés rompe las fronteras de los géneros, fusionado flamenco, jazz, ritmos afrocubanos y comanches, en su nuevo disco que lanzará en un concierto el lunes en el teatro Châtelet de París, en el que estará acompañado por Concha Buika y el jazzista estadounidense Ron Hargrove.

A sus 71 años, Chucho Valdés, una de los grandes figuras del jazz latino, derrama energía y música por cada poro, multiplicando conciertos, giras y reconocimientos mundiales, que se suman a los ocho Grammy que han galardonado su trayectoria.

Pero en medio de toda esa desbordante actividad, siempre está presente su padre, Bebo Valdés, su “gran maestro”, que murió en Suencia en marzo pasado, a los 94 años, y a quien Chucho le dedica un tema en su último álbum titulado “Border-free” (Sin fronteras), que saldrá a la venta en Europa el 7 de mayo.

En una entrevista con la AFP en un hotel de París, Valdés no oculta el dolor por la ausencia de su padre, ni pasa bajo silencio sus reproches a Cuba por no haber reconocido nunca a una de las figuras más promientes del jazz latino a nivel mundial

“Cuba le debe un tributo especial a mi papá, una figura mundial de la música”, afirmó su hijo, recordando que en vida de Bebo, ganador de siete premios Grammy, los medios cubanos nunca hablaron de él.

“Me han contado que la radio y la televisión cubanas sí hablaron de mi papá el día que murió. Pero Cuba tendrá que hacerle un tributo, se lo debe ”, recalcó el músico, señalando que en Málaga, sur de España, le han hecho un “hermoso homenaje” a Bebo, en la misma calle donde él vivió. “Eso fue precioso”, dijo.

“Y pienso que en Cuba hay que hacer eso mismo. Y habrá que hacerlo ahora, no más tarde”, subrayó. “Y mis reproches no son sólo por Bebo. No está bien que en Cuba se silencie a los músicos sólo porque no están en el país”, estimó.

En la entrevista, Valdés puso de manifiesto su euforia por su nuevo disco, que estima “el mejor” de todos los discos que ha hecho con el quinteto Afro-cuban Messengers.

Comenta, entre risas, la caratula del disco, en la que aparece tocado con plumas de un jefe indio comanche, y en el que interpreta una pieza con ritmos comanches. Pero explica, ya más serio, que uno de los temas del disco, “Afrocomanche”, se refiere a un episodio “desconocido” de la historia de Cuba.

“A finales del siglo XIX, 700 indios comanches fueron deportados de Estados Unidos a Cuba, donde se mezclaron con los afrocubanos. Sus descendientes se llamaron afrocomanches”, explica Chucho, que quiso rendir un homenaje a ese episodio.

En su nuevo disco, rinde también tributo al flamenco, a la música árabe, sin olvidar su “eterno gran amor, la música clásica”.

“En este disco he roto las barreras de los géneros, pero siempre mezclándolos con la música afrocubana”, señala, adelantando que en el tema “Abdel” contacta con la música árabe y en “Santa Cruz” con el flamenco. “Y también con Bach, Mozart, Chopin, Beethoven y el jazz”.

El músico, que ha recibido prestigiosos reconocimientos -como un doctor honoris causa de la Berklee College of Music de Boston, una de las grandes instituciones musicales del mundo- subraya el papel de la improvisación en su obra.

“La improvisación significa la libertad de moverse por los caminos que tu quieras, darle rienda suelta a tu mente, experimentar y medir hasta dónde puede llegar tu imaginación. Eso es lo lindo”, confía.

Valdés, cuya inagotable vitalidad debería ser contagiosa, está ya trabajando en su próximo disco. “Pero no te digo nada más porque quiero que sea una sorpresa”, afirma.

Observa sin embargo que su camino lo lleva siempre a su “herencia afrocubana”, a los ritmos yoruba y mandinga, “de una riqueza rítmica y melódica enorme”, que marcarán también ese próximo trabajo.

Después de Francia, Chucho Valdés tiene planeada una gran gira, que lo llevará a Australia, Nueva Zelanda, Estados Unidos, Canadá, y varios países asiáticos, en donde estará acompañado por el quinteto Afro-cuban Messengers.

La discografia di Tommy Olivencia

a cura di Sergio Rendón Ángel


1938 – Il 15 Maggio nasce Ángel Tomas Olivencia Pagan nel quartiere di Villa Palmeras de Santurce a Portorico, meglio conosciuto come Tommy; la sua infanzia e la sua gioventù le trascorre nel paese di Arecibo dove vive con la sua famiglia.
Durante quel periodo si avvicina alla musica, inizialmente come cantante e successivamente come trobettista, anche se già inizia a dimostrare le sue doti di leader.

1957 – Si diploma alla scuola superiore di Arecibo e successivamente si trasferisce con la sua famiglia nel suo quartiere natale, dove forma il suo primo gruppo.

1960 – Crea ufficialmente la sua Orquesta la Cuba, che diventò famosa come Tommy Olivencia y La Primerísima Orquesta de Puerto Rico.

1965 – Si pubblica la prima produzione musicale di Tommy Olivencia intitolata “La Nueva sensación Musical de Puerto Rico” con i cantanti Chamaco Ramírez y Paquito Guzmán. I musicisti dell’orchestra erano: Tommy Olivencia – Director, Trompeta; Jorge Carcano – Piano; Lin Torres – Bajo; Jimmy Santos – Sax alto; Wilfredo De La Torre – Sax tenor; Paquito Joubert – Trompeta; Agustín Antomattey – Trompeta; Ender Dueño – Timbal; David Cortijo – Conga; Vitín Colón – Conga; Papy Fuentes – Bongo; Coros: Roy Rosario y Nacho Sanabria.

1966 – In piena auge dell’ “Jala Jala”, registra il disco: “Jala jala y Guaguancó”, il quale include canzoni come “At the party”, “No molestes mas” e “Tremendo guaguancó”, con gli stessi cantanti del lavoro precedente.

1967“Fire Fire” (Fuego Fuego) è il nome del nuovo disco di Olivencia cantato da Ramírez e Guzmán, nel quale sono presenti le canzoni “Historia de un condenado”, Soy dichoso” e “A toda mi gente”; questo disco fu registrato come i due precedenti dalla Inca Records.

1968 – Registrato inizialmente per la casa discografica Inca Records, viene pubblicato l’album “Tommy Olivencia y su Orquesta: A toda máquina”; in questa occasione i cantanti sono Paquito Guzmán e Sammy Gonzálezcon canzoni come “Homenaje a los calvos, “Guajira y Montuno” e “La Banda de Tommy”.

1971 – Tre anni dopo Tommy pubblica la sua nuova produzione per la Inca Records intitolata “Cueros… Salsa y Sentimiento”; ricordiamo le canzoni “Cuero na’ma”, “Alma con alma” e “La gente donde yo vivo”.

1972 – Con gli stessi due cantanti della sua produzione precedente, Tommy Olivencia registra per la Inca Records il disco “Secuestro”, che include anche la canzone “El nacimiento de un guaguancó” e il successo “La fiesta de soneros”.

1974 – Con gli arrangiamenti di Jorge Millet, Máximo Torres, Luís Nieves y Bobby Valentín, le voci di Chamaco Ramírez, Paquito Guzmán y Sammy González, Olivencia registra un album intitolato “Juntos de Nuevo” con la casa discografica Inca Records.
Nello stesso disco appaiono fra i musicisti Ender Dueño ai timbales e Elisa López alla tromba.
Questo lavoro musicale fu prodotto da Ray Barretto.

1975 – In questo anno si registra la produzione musicale intitolata “Plante bandera” con la stessa trilogia di cantanti e nella quale ricordiamo pezzi come “Evelio y la rumba”, “Trucutú” e il successo di Tite Curet Alonso, “Plante Bandera”.

1976 – Tommy Olivencia fa entrare nella sua orchestra il giovane cantante Lalo Rodríguez, che insieme a Simon Pérez canta nel disco “Tommy Olivencia y su Orquesta Introducing Lalo Rodríguez & Simon Pérez” sotto l’etichetta Inca Records.

1977 – La nuova produzione di Tommy Olivencia si intitola “El Negro Chombo”, basato sul tema del Colombiano Julio Ernesto Estrada, meglio conosciuto come Fruko, natio di Medellín.
Nel disco cantano Paquito Guzmán e Simon Pérez, ai cori Santos Colón e Yayo el indio, la produzione di Luís Perico Ortiz, Don Víctor Rodríguez alla tromba e Edgardo Morales al timbal. In questo lavoro si può ascoltare la canzone “Aún no es tiempo” che diventa il grande successo di questo album.

1978 – Si pubblicano due nuovi dischi: “Tommy Olivencia y su Orquesta La Primerísima”, prodotto da Perico Ortiz (che suona anche la tromba), Adalberto Santiago come corista, e “Sweet Trumpet Hot Salsa”, nel quale partecipano come cantanti Simón Pérez, Paquito Guzmán e Marvin Santiago cantando la canzone “Del montón”, che segna la fine del contratto di Tommy Olivencia con la Inca Records.

1979 – Registra il disco “Tommy Olivencia & Orquesta” che vede fra i protagonisti i cantanti Gilberto Santarosa e Paquito Guzmán che cantano la canzone “Aunque te cases de blanco”; questo lavoro viene registrato sotto l’etichetta Top Hits Records.

1981 – In questo anno Tommy Olivencia presenta nella sua orchestra i cantanti Frankie Ruiz e Carlos Alexis nel disco registrato per la Top Hits intitolato “Un triángulo de triunfo”, nel quale partecipano Ray Santos e Máximo Torres agli arrangiamenti; il disco contiene i successi “Los golpes enseñan”, “Primero fui yo” e “Cosas nativas” interpretati da Frankie Ruiz.

1983Frankie Ruiz entra a far parte della prestigiosa orchestra di Tommy Olivencia.
Registra la canzone Viajera nel disco Primer Concierto de la Familia TH.

1983 – Esce il nuovo disco di Tommy ancora con i cantanti del disco precedente intitolato “Tommy Olivencia y su Orquesta cantano: Frankie Ruiz y Carlos Alexis”, che include canzoni come “Como lo hace” scritta da Raúl Marrero e una canzone romantica José José, intitolata “No que no”.

1984“Tommy Olivencia & su Orquesta: Celebrando Otro Aniversario” è il titolo del disco di quest’anno, alla voce Frankie Ruiz e Héctor Tricoche; all’interno possiamo trovare la canzone “Lo Dudo”, che ad oggi è considerato come uno dei primi dischi di salsa erotica.
Gli arrangiamenti del lavoro sono realizzati da Ángel Torres e Máximo Torres per l’etichetta TH.

1985 – Con i cantanti Héctor Tricoche e Júnior “Paquito” Acosta e gli arrangiamenti di Edgardo Narváez, Ángel Torres, Carlos “Cuto” Soto e Máximo Torres, l’etichetta TH- Rodven stampa un nuovo disco intitolato “Tommy Olivencia y su Orquesta, Ayer, Hoy, Mañana y Siempre”, il quale include canzoni come “Por ella”, “El del tabacón” e “Periquito Pin pin”

1987 – Con gli stessi cantanti dell’album precedente e per la stessa etichetta, Olivencia pubblica un disco intitolato: “30 Aniversario”, nel quale vengono registrate canzoni come “Lobo domesticado”, “No tires la primera piedra” e “Medley” cantante da Héctor Tricoche.

1990 – Come per la maggior parte degli interpreti di salsa Olivencia non si salva dal boom della “salsa romántica” e, anche se aveva già avuto esperienze con quel genere, registra un disco che è ricordato come uno dei suoi lavori meno coinvolgenti e che si intitola “El Jeque” con gli stessi cantanti del lavoro precedente.

1991 – Continuando sulla linea della produzione precedente e molto lontano dalla musica che lo aveva portato al successo rendendolo grande, Tommy Olivencia registra un altro disco simile al precedente intitolato: “Enamorado… y que!”, che vede la presenza di Ángel “Cachete” Maldonado alle congas, al quinto e al bata così come quella di Luty Maldonado al trombone e Héctor “Pichi” Pérez come corista.

1998 – Sotto la produzione di Luís “Perico” Ortiz si realizza il lavoro musicale “Vive la Leyenda”.

2000 – Si celebra il quarantesimo anniversario dell’orchestra all’Anfiteatro Tito Puente della città di San Juan di Portorico, in un meritato omaggio a Tommy Olivencia per la sua opera e per la sua carriera musicale.

2004 – Il 15 di Maggio si realizza un evento spettacolare per il sessantaseiesimo anniversario della nascita di Tommy Olivencia ed il quarantacinquesimo anniversario della nascita della sua orchestra.
Questo evento dura quasi quattro ore e si realizza al Coliseo Rubén Rodríguez de Bayamón con la presenza di Gilberto Santa rosa, Osvaldo Díaz, Simón Pérez, Marvin Santiago e Lalo Rodríguez.

Fonti e Bibliografia

Discoteca y documentación Latina stereo 100.9 FM, Medellín, Colombia
Discoteca y documentación El Son de la Loma, video salsa bar, Envigado, Colombia www.salsaclasica.com
www.americasalsa.com
www.mambo-inn.com

Oscar De Leon

Grave infortunio a Oscar D’Leon

Il cantante e bassista venezuelano Oscar D’Leon leader dell’orchestra La Dimensión Latina è stato vittima di un grave incidente presso la sua abitazione di Miami martedì scorso, sbattendo l’occhio sinistro violentemente contro l’angolo della sua cassaforte.
Attualmente è ricoverato presso l’ospedale Beascom Palmer Eye Institute di Miami e rischia seriamente di perdere la vista dell’occhio.
Al momento i medici hanno confermato che tenteranno con una nuova operazione (la prima è stata fatta subito dopo il ricovero) per vedere se è possibile recuperare almeno parte della vista.
Da parte nostra gli facciamo tanti auguri per una prontissima ripresa!

Oscar De Leon
Oscar De Leon

A los 70 - Paradiso Latino - 24 aprile 2013

A Los 70, le foto e i video dell’evento LaSalsaVive del 24 aprile al Paradiso Latino!

Ecco le foto dell’evento “A los ’70” del 24 aprile 2013 al Paradiso Latino di Campodarsego di Padova.
Ringraziamo la proprietà del locale per averci dato la possibilità di realizzare questo evento e Beto dj per aver fortemente voluto riportare LaSalsaVive in questa bellissima discoteca.
E naturalmente non possiamo ricordare e ringraziare anche i principali protagonisti di questa festa, ovvero tutti gli amici e appassionati di salsa classica che non mancano mai ai nostri eventi e che continuano a darci la possibilità di realizzarli!
GRAZIE a tutti voi!

A los 70 - Paradiso Latino - 24 aprile 2013
A los 70 – Paradiso Latino – 24 aprile 2013


Ecco le foto.
(clicca qui per vederle)

La Charanga al Bologna salsa contest

La Charanga Moderna al Vintage Prestige Club di Argelato (BO) – sabato 13 aprile 2013

Ragazzi, vi aspettiamo tutti per il prossimo concerto della CHARANGA MODERNA, finalmente di ritorno a Bologna!

Sabato 13 aprile 2013 inizio concerto ore 23:00

La Charanga al Bologna salsa contest
La Charanga al Bologna salsa contest


La Charanga Moderna al Bologna Salsa Contest, sabato 13 aprile 2013
Vintage Prestige Club
Via dell’industria 24
Zona Artigianale
40055 Argelato (BO)

La Charanga al Bologna salsa contest
La Charanga al Bologna salsa contest

Ed ecco le foto del concerto della Charanga Moderna!
Per vederle clicca qui.

Tommy Salsero @ Bologna Salsa Contest con la Charanga Moderna
Tommy Salsero @ Bologna Salsa Contest con la Charanga Moderna

Intervista a Joey Pastrana

Intervista di Israel Sánchez-Coll
tratta da Herencia Latina
Traduzione a cura di: Salsa Claude

Prefazione

Herencia Latina è uno dei siti più autorevoli sulla storia della musica latina, ricchissimo di articoli su esponenti di varia fama nella scena del passato (herencia significa eredità); questa intervista, oltre a descriverci nei dettagli la biografia di un noto bandleader, offre anche una ricca descrizione delle tre epoche da lui vissute ossia quelle del Mambo, del Boogaloo e della Salsa: il risultato è un racconto che ritrae i più disparati protagonisti (narrandone inattese relazioni), in diverse situazioni che li accomunano.

Infatti, che relazione aveva Joey Pastrana con Machito? Quali circostanze causarono l’ingaggio come lead vocalist di Chivirico Dávila e quali quelle che fecero terminare la collaborazione di Ismael Miranda? Come esordì Joey Pastrana alla Cotique Records e perché rifiutò sempre di entrare in Fania? Quanto lo toccò il boicottaggio del Boogaloo ad opera dei “Veterani del Mambo” e perché?

Tutto ciò è descritto in questa lunga ma interessantissima intervista, ora disponibile anche in italiano.

Claude

Ioey Pastrana
Ioey Pastrana

Israel Sánchez-Coll: Dove nacque Joey Pastrana?

Joey Pastrana: Nacqui il 22 Agosto 1942 a Santurce, Puerto Rico. A quattro anni la mia famiglia si trasferì a New York a causa del lavoro di mio padre, che era un marittimo mercantile. Crebbi nel Barrio (Harlem) sulla 110a strada dove rimanemmo dieci anni, dopodiché ci trasferimmo nel Bronx. Fu però nel Barrio dove si manifestarono le mie “inquietudini” musicali: suonavo i timbales e la conga. A casa di un cugino c’era uno scantinato con un pianoforte e lì ci ritrovavamo per suonare. Joe Quijano era un mio vicino di casa e gestiva un negozio di dischi. Mio padre si chiamava José P. Pastrana e mia madre Julia Santos.

Israel: Entrambi di Puerto Rico?

Joey: Sì, di Santurce.

Israel: Il nome completo?

Joey: José Luis Pastrana Santos.

Israel: E perché “Joey”?

Joey: A scuola mi americanizzarono il nome, mi chiamavano Joseph Louis Pastrana quindi tutti i compagni iniziarono a chiamarmi Joey.

Israel: Quindi il “Joey” nacque a scuola, e non durante la carriera musicale?

Joey: Esatto.

Israel: Chi influenzò la sua formazione musicale?

Joey: Le mie prime influenze furono quelle di Tito Puente, Daniel Santos – che era cugino di mia madre – Bobby Valentín, Charlie ed Eddie Palmieri; ce ne sarebbero molti altri, ma mi sfuggono i nomi.

Joey Pastrana con il suo maestro, Gene Krupa.  New York 1965
Joey Pastrana con il suo maestro, Gene Krupa. New York 1965

Israel: Chi la spinse a scegliere i timbales?

Joey: Di fatto scelsi io la batteria che studiavo presso la scuola del maestro Gene Krupa, uno dei giganti del jazz noto come batterista di Benny Goodman oltreché collaboratore di Lionel Hampton, Teddy Wilson, Charlie Ventura ed altri ancora. Aveva una scuola in centro a Manhattan e lì iniziai a leggere gli spartiti.

Non avendo la macchina ero costretto a prendere il metrò, già scomodo di per se stesso, ed ancor più alle 3 del mattino, quando solitamente terminavamo di suonare, e anche se talvolta amici o familiari mi prestavano la macchina la scomodità della situazione mi portò a valutare alternative.

Decisi di suonare bongó e campana inserendomi in un piccolo conjunto che aveva Bobby Valentín – Bobby suonava il basso nella banda di Tito Rodríguez, il timbalero di Bobby abbandonò il gruppo e lui me ne offrì il posto – e con cui potei partecipare alla registrazione dell’album Ritmo Pa’ Goza’ – El Mensajero nel 1965. Scrissi anche due brani a Bobby usciti con l’album Young Man With A Horn: Que Pollito (Joey canticchia il ritornello “Yo tengo un pollo que quiere bailar”) e un brano mambo jazz chiamato The Gate, riferito al locale “Village Gate” dove al Lunedì suonavano le migliori bande latine ingaggiate dal Dj radiofonico Symphony Sid, che portava avanti una programmazione artistica con molto mambo jazz.

In seguito Bobby Valentín ingaggiò Papi Pagani, figlio di Federico, quando quest’ultimo perse il posto nella banda di Tito Rodríguez a causa del consumo di sostanze stupefacenti. Durante le prove Bobby mi disse semplicemente che adesso avrebbe continuato con “Il timbalero di Tito Rodríguez”, senza però aggiungere alcun dettaglio.

Quella settimana iniziai a scrivere testi e comporre musica a casa mia quando apprendo dalla radio che cercavano orchestre per registrare in studio: chiamai Simphony Sid affinché mi aiutasse e lui mi mise in contatto con un ragazzo che mi aiutò con gli arrangiamenti, cosicché in due settimane fui pronto per entrare in studio. Andai con la mia banda in un negozio – e guarda la combinazione, era quello della moglie di Federico Pagani – dove c’era una stanza per le prove. Il negozio era sulla 183a all’angolo con Williams Avenue, chiamai George Goldner, proprietario della Cotique Records, e gli chiesi di ascoltarci. Al termine della prima canzone ci fermò e disse: “Quando possiamo registrare il disco?” Un po’ sorpreso gli dissi: “Ma se te ne abbiamo fatta ascoltare solo una?” E lui rispose: “A me non importa, quando siete disponibili?” E in risposta alla sua insistenza gli dissi: “Ok, la prossima settimana.” E fu così che uscii col mio primo album: Let’s Ball

Israel: Perché in questo album le cambiarono il nome in Pastrano?

Joey: Ah, fu un errore di George Goldner perché fecero le cose di fretta! Mi ritrovai così con un nome dal suono italiano, ma nei successivi album la Cotique – responsabile dell’errore – corresse il nome.

Israel: Chi erano i componenti di questa orchestra d’esordio?

Joey: Due musicisti “prestatimi” da Joe Quijano (trombettista e bassista), mio fratello Willie Pastrana alle congas, e un ragazzo ai suoi esordi musicali con la banda di Andy Harlow, Ismael Miranda. Il primo album fu un grande successo di vendita, ciononostante la nostra orchestra non riusciva ad avere ingaggi per i concerti e Ismael andò con Larry Harlow.

Joey Pastrana, Ismael Miranda, Becky e Sony Rivera.  Set. 1967. New York.  Foto de Joey Pastrana - ceduta a Herencia Latina
Joey Pastrana, Ismael Miranda, Becky e Sony Rivera. Set. 1967. New York. Foto de Joey Pastrana – ceduta a Herencia Latina

Israel: Israel Miranda disse che Lei lo ingaggiò dopo averlo visto con Andy Harlow ad un concerto presso il club El Dorado.

Joey: Esatto. Cercavo il mio cantante nei club, e lo trovai in un periodo in cui la banda presso cui lavorava non aveva molte serate quindi gli diedi i miei spartiti e in una settimana registrammo l’album.

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Israel: Nel quale c’è un classico: Rumbón Melón.

Joey: Sì, funzionò perché l’esperienza con la banda di Bobby Valentín mi insegnò come andava scritto un brano affinché piacesse al pubblico, e difatti nel giro di tre mesi diventò un successo. Ciononostante, siccome le serate non arrivavano, Ismael se ne andò. In seguito George Goldner mi chiamò per pianificare l’uscita del secondo album, avvisandomi che i risultati sarebbero arrivati in tempi più lunghi.

Registrammo perciò l’album “Joey” col cantante Chombo che conobbi a New York e che aveva già partecipato ai cori del primo album, dimostrandosi così anche un ottimo lead vocalist.

Israel: Il suo nome completo?

Joey: José “Chombo” Rodríguez.

Israel: Fu il successore di Ismael Miranda?

Joey: Sì. Con Chombo il secondo disco uscì bene. Nel ’67 entrambi gli album erano recensiti sulle riviste e competevano per il primo posto.

Le coriste de la Orquesta de Joey Pastrana  Sonya Rivera e Becky Rivera con la Orquesta de Machito.  Al Puerto Rico Theatre, New York, 1969.  Foto di Joey Pastrana - ceduta a Herencia Latina
Le coriste de la Orquesta de Joey Pastrana Sonya Rivera e Becky Rivera con la Orquesta de Machito. Al Puerto Rico Theatre, New York, 1969. Foto di Joey Pastrana – ceduta a Herencia Latina

Israel: Lei fu un direttore d’orchestra innovatore, mise due voci femminili nei cori dando una nuova caratteristica alla sua musica laddove le altre bande seguitavano a tenere schemi tradizionali; come sviluppò questa idea?

Joey: Si chiamavano Sonia Rivera e Becky Rivera ma non erano sorelle.

Israel: Dove le conobbe?

Joey: Sonia Rivera era mia cognata ma in realtà la conoscevo da dieci anni prima che si sposasse con mio fratello Willie Pastrana, quando la sentii cantare in un gruppo di musica nordamericana mentre Becky Rivera è una mia cara amica d’infanzia: entrambe sono di Puerto Rico.

Israel: Sono viventi?

Joey: Sì.

Israel: A New York?

Joey: Credo che Becky stia in Florida e Sonia a New York con le sue tre figlie: credo che canti in un gruppo rock.

Israel: Perché quest’idea di integrare le voci femminili?

Joey: Presi l’idea da Tito Rodríguez che aveva una ragazza nel suo coro. Di fatto un giorno ero ad un suo concerto ed apprezzai come questa voce differente si distinguesse all’interno del coro e mi piacque. Situai inoltre le due ragazze in prima linea per fare scena, cantando e ballando insieme a mio fratello Willie. Ne uscì un suono che ricordava quello della banda di Cortijo.

Israel: Pensi che nel New Swing Sextet le tre coriste erano le sorelle e la moglie di George Rodríguez, il vibrafonista-leader.

Joey: Il New Swing Sextet si ispirò a me (ride), perché nel ’67 poche orchestre, sia grandi che piccole, avevano questo formato, mentre in seguito molti altri lo adottarono.

Israel: L’orchestra suonava bene, era coinvolgente; negli anni ’60 e ’70 le orchestre erano mediamente maschiliste, raramente trovavi donne nei cori.

Joey: Esatto.

Joey Pastrana  New York, 6 maggio 1968, in pieno boom del Boogaloo.Foto di Joey Pastrana - ceduta a Herencia Latina.
Joey Pastrana New York, 6 maggio 1968, in pieno boom del Boogaloo.Foto di Joey Pastrana – ceduta a Herencia Latina.

Israel: Cosa rappresentò il Boogaloo per la sua generazione?

Joey: All’epoca tutti i giovani volevano ballare ed ascoltare soltanto Boogaloo poiché non conoscevano bene i balli del Mambo né del Cha Cha come le persone più adulte. I giovani fecero da catalizzatore per l’ascesa del movimento, non i vecchi che lo malsopportavano e speravano nel suo declino. Anche le orchestre di veterani non amavano suonare brani Boogaloo.

Israel: E’ vero che Lei spinse Johnny Colón a firmare per Cotique?

Joey: Io scrissi un brano a Johnny Colón. Quando uscì il mio primo album molti impazzirono per il Boogaloo. Johnny lo faceva in maniera diversa dalla mia, riscuotendo successo con un solo disco, Boogaloo Blues, dove compose la musica e suonò come pianista e i cui testi furono scritti da Tito Ramos. Il brano che dava il nome anche all’album nacque come Guajira in spagnolo ma George Goldner suggerì di cambiare il testo in inglese e di riarrangiare la musica di conseguenza; il risultato fu un Boogaloo diverso dal solito ma che piacque al pubblico.

Il Boogaloo più ballabile lo compose Pete Rodríguez: I Like It Like That. Ciononostante Pete Rodríguez si allontanò dalla musica perché il suo vero amore era per il Mambo e la Guajira. Il vero compositore era il suo trombettista, Tony Pabón, che ai cori mise sua moglie e i figli di entrambi.

Nella casa di Machito, con Johnny Colón, Joey Pastrana e King Nando.  Foto di Joey Pastrana - ceduta a Herencia Latina
Nella casa di Machito, con Johnny Colón, Joey Pastrana e King Nando. Foto di Joey Pastrana – ceduta a Herencia Latina


Israel: Considera il Boogaloo una musica nera?

Joey: Nacque nel Barrio da neri e portoricani che frequentavano le stesse scuole e strade; i latini apprezzavano più la musica nordamericana e i neri quella latina, così si contaminarono a vicenda.

Israel: E’ vero che José Curbelo bloccò molti ingaggi di serate alle orchestre emergenti di Boogaloo?

Joey: Sì, è vero. Siccome il Boogaloo stava riscuotendo successo i musicisti più anziani erano gelosi poiché la loro fama consolidata iniziava a venire adombrata dal “nuovo”. Capitò pure che Tito Puente pretese di venir menzionato sulle locandine prima dei gruppi Boogaloo (come Joe Cuba, nonostante quest’ultimo avesse cinque brani di successo e lui nessuno); le nuove bande vendevano dischi, quelle affermate non più, tuttavia volevano dominare le serate e iniziarono a sermonare che “il Boogaloo non serviva a niente, non era niente”. La verità è che la gente voleva ballare Boogaloo, e in seguito avrebbe preso a ballare Salsa. Io nei miei album mettevo entrambi i generi.

Israel: E lo Shingaling?

Joey: Era uno stile di ballo, il movimento in coppia era diverso, mentre il Boogaloo si ballava in una direzione lo Shingaling lo si ballava in un’altra, e tutto sulla medesima musica; fu introdotto dai neri americani.

Israel: Lei ricevette un premio nel ’68 dalla rivista Latin New York per le vendite del brano “Riky Chi”, consegnato da George Goldner; cosa può raccontarci in proposito?

Joey: Fu un disco d’oro che mi diedero per i miei 45 giri, formato che d’abitudine veniva sempre lanciato prima dell’album. Ricordo che al Palladium diedero un disco d’oro anche a Pérez Prado delle stesse dimensioni di quello che ricevetti io. Detto premio riguardava i singoli delle mie prime produzioni ossia Riky Chi, Rumbón Melón, La Güira e altri.

Israel: Quante copie vendette del suo primo disco?

Joey: Del primo album non ricordo, del secondo (Joey) in sole due settimane si vendettero quarantamila copia tra New York e Puerto Rico. Al momento, il primo rimane il più venduto e ciononostante io non ho mai ricevuto un centesimo, pensa te come sono certe situazioni.

Israel: Il suo terzo album?

Joey: Il terzo album fu Joey In Puerto Rico.

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Israel: Joey En Carnaval fu il quarto o il quinto?

Joey: Credo il quinto, e lo produssi io perché George Goldner nel frattempo morì e dovetti far tutto da me.

Israel: Questo album viene anche in CD e lo trovo meraviglioso con brani come Joey’s Thing (il mio preferito), Chacaboo, Aguacero, My Girl.

Joey: Lo chiamai “La Cosa Di Joey” perché fu così impegnativo per me comporre e produrre nel contempo che alla fine mi dimenticai il titolo!

Israel: E’ sua la composizione?

Joey: Sì, lo scrissi come lo volevo e lo sentivo, questa è la cosa più importante.

Joey Pastrana alla batteria e suo fratello Willie Pastrana al bongo -  New York 1965  Foto di Joey - Pastrana
Joey Pastrana alla batteria e suo fratello Willie Pastrana al bongo – New York 1965 Foto di Joey – Pastrana

Israel: Suo fratello Willie Pastrana lo accompagna in questo album.

Joey: Sì, fu presente in sei album, poi tornò con Joe Quijano che aveva molti ingaggi all’estero, cosa che desideravo avere anch’io e che si concretizzò all’uscita de El Diferente con Chivirico Dávila poiché tramite la radio riscosse successo anche a Panamá e Venezuela, paesi in cui facemmo una tournée di tre settimane, toccando anche Los Angeles, Florida, St. Thomas Island, Puerto Rico e New York.

Israel: Com’era il Venezuela?

Joey: Interessante, ma non ancora così salsero come lo sarebbe divenuto in seguito poiché all’epoca ascoltavano più orchestre locali che newyorchesi.

Israel: Chi scrisse My Girl?

Joey: E’ mia; tutti i brani cantati in inglese nei miei album sono miei.

L'orchestra Joey Pastrana  Foto di Joey Pastrana - ceduta a Herencia Latina
L’orchestra Joey Pastrana Foto di Joey Pastrana – ceduta a Herencia Latina

Israel: Come ingaggiò Carlos Santos?

Joey: Quando Chombo andò a Puerto Rico durante una delle mie numerose tournée, scoprì di amare profondamente l’isola per cui un giorno mi disse: “Io non torno più a New York, resto qui.” Quindi tornai senza cantante a New York e dopo molte ricerche trovai Carlos Santos, molto giovane e di voce acerba ma con il talento dell’improvvisatore. Il primo album che feci con lui credo fosse Joey en Puerto Rico, dopodiché migliorò la sua voce e nella seconda produzione che facemmo assieme progredì tantissimo, basti sentirlo in Chaca Ca Boom.

Israel: Il Chaca Ca Boom è un brano in risposta ai suoi avversari.

Joey: La gente diceva che io non suonavo veramente poiché durante i concerti presso le sale da ballo non mi producevo in assoli né improvvisazioni, ma d’altronde se la gente voleva ballare io non potevo che assecondare lo scopo per cui venivano alle nostre serate. Alcuni ragazzi tra il pubblico mi chiedevano di suonare loro i timbales per sopperire a questa mia “mancanza” e allora glieli prestavo ma solo per la penultima canzone della scaletta.

Riguardo questo brano scrissi “La gente voleva Chaca ca boom, boom”, che sono i colpi dei timbales, e in questo modo zittii i miei critici (ride) e nel contempo ebbi anche un brano di successo.

Israel: Fu un inno in tanti Paesi latinoamericani.

Joey: Mi lusinga e mi emoziona. Dopo la Cotique io feci altri cinque album tra i quali The Godfather (stesso titolo del film Il Padrino, che spopolava in quell’anno).

Ti racconto un aneddoto, Tito Rodríguez era vivo durante la registrazione dell’album e mi chiamò in studio dicendomi che gli avevano raccontato che stavo registrando il brano de Il Padrino, al ché gli dissi di sì e lui m’informò che stava facendo la stessa cosa, così ci facemmo una risata. Tito ha sempre avuto ottimi rapporti con me, e le nostre orchestre alle serate suonavano spesso assieme.

Altra cosa importante, io uscii con la copertina ispirata alla locandina del film e il brano de Il Padrino come traccia 1 del lato A; Tito Rodríguez invece uscì con la sua immagine e il brano lo mise come ultima traccia del lato B. Credo che lo arrangiò insieme a Louie Ramírez.

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Foto di sinistra:Joey ai timbales – foto di destra: Joe Quijano, Joey Pastrana e Joe Cuba.
Foto di Joey Pastrana – cedute a Herencia Latina.

Israel: In quali locali di New York divenne popolare la banda di Joey Pastrana?

Joey: Al club Corso che era un po’ la mia casa poiché ci lavoravo tre volte alla settimana mentre per i restanti giorni lavoravo due volte a Brooklyn e due volte al Tropicana del Bronx, dove si affermò Ricky Ricardo (Desi Arnaz), il personaggio del programma “I Love Lucy”, prodotto da sua moglie Lucille Ball. Ricky Ricardo – nome con cui era noto nel programma – oltre al Tropicana suonava anche al club La Conga di Manhattan. Il Tropicana del Bronx aveva le stesse scenografie del suo programma e divenne popolare come lo fu il Palladium.

Israel: Desi Arnaz interpretò Babalú di Miguelito Valdés e El Cumbanchero di Rafael Hernández, cercando di mischiare il ritmo di Machito con la melodia di André Kostelanetz.

Joey: Imitava Miguelito Valdés, del quale io ero amico da quando lo incontrai a Puerto Rico, dove mi riconobbe prima che io riconoscessi lui; ci trovavamo in fila al Sindacato e ci presentammo l’un l’altro, dopodiché andammo a mangiare ad un ristorante cubano dove incontrammo Johnny Pacheco, Bobby Valentín e Vicentino Valdés e capitò una scena comica poiché Miguelito iniziò a scavare nel riso ed esclamò: “Ma dove sono i fagioli?”, cosa che ci fece ridere tutti per cinque minuti dato che il suo modo di parlare era sempre “cantato”. Fummo amici per i quattro anni successivi, finché morì. A volte mio fratello Willie lo chiamava scherzosamente Ricky Ricardo e lui rispondeva stizzito “Io sono Miguelito Valdés, l’originale, non la copia!” (Joey ride).

Israel: Ti piacevano i ritmi cubani?

Joey: In famiglia abbiam sempre ascoltato i ritmi cubani, mio padre adorava per esempio Sonora Matancera, Pérez Prado – prima di passare dalla musica latina a quella americana – Casino De La Playa, Riverside ed altri.

Israel: Quindi ascoltavi molta Guaracha, Mambo, Cha Cha Chá e Charanga?

Joey: La Charanga era della mia epoca, ‘66/’67 quando tutti si misero a ballarla a New York e nella quale Pacheco, grande amico mio, si inserì approfittando dell’onda. Pacheco amava la mia musica ma non gradiva il Boogaloo, insisteva affinché firmassi per la sua Fania Records ma io gli rispondevo che loro erano troppo in dissintonia con questo genere. Io, del resto, suonavo anche Salsa per non restare a terra qualora il genere fosse tramontato, cosa che altre bande, specializzate e bravissime nel Boogaloo, non fecero, così scomparvero appena arrivò la Salsa; alcune si dimostrarono proprio incapaci di “stare in clave”, così dopo magari un solo disco scomparvero per sempre.

Israel: Ne ricorda alcune?

Joey: No, ma ricordo che erano tante.

Los "Chicos" del Boogaloo: Joe Bataan, Joey Pastrana e Tito Ramos. A casa di Joe Bataan, preparando una cena.  Foto di Joey Pastrana.
Los “Chicos” del Boogaloo: Joe Bataan, Joey Pastrana e Tito Ramos. A casa di Joe Bataan, preparando una cena. Foto di Joey Pastrana.

Israel: Lei è amico di Joe Bataan?

Joey: Certo, era uno di coloro che non suonavano molta musica latina, faceva musica americana e alla fine concludeva con una Cha Cha Chá; insieme facemmo molte serate, lui aveva la sua hit Gipsy Woman. Johnny Colon fece tre album, il primo di successo, i seguenti a scendere, poi si ritirò dalle scene per dedicarsi all’insegnamento della musica ai giovani.

Israel: Johnny affermò che molti impresari che gestivano le bande di Mambo, tra i quali José Curbelo e Ralph Mercado, boicottarono quelle di Boogaloo non offrendogli serate, montando una vera e propria cospirazione contro il genere musicale.

Joey: Sì, confermo, ma io non ne caddi vittima poiché suonavo anche Salsa; aggiungo che quando il Boogaloo iniziò a scemare, chi gli diede la botta finale fu la Fania Records.

Jam Session  da sininistra: Johnny Pacheco, Tito Puente, Machito. Joe Quijano e Joey Pastrana.  New York 1970  Foto di Joey Pastrana - ceduta a Herencia Latina.
Jam Session da sininistra: Johnny Pacheco, Tito Puente, Machito. Joe Quijano e Joey Pastrana. New York 1970 Foto di Joey Pastrana – ceduta a Herencia Latina.

Israel: Chiarissimo. Quindi perché non firmò mai per la Fania?

Joey: Perché la Fania con tutti i miei dinieghi mi divenne ostile, e ridevo su queste loro continue profferte.

Israel: Quindi non volle unirsi a loro?

Joey: No, perché c’erano troppi spocchiosi là dentro, così firmai con la discografica argentina Parnaso che aveva iniziato ad ampliare i propri interessi nella Salsa e composi per loro A Comer e El Padrino. Pure mio fratello Willie incise due album con loro.

Israel: E, dato che da Fania si era autoescluso, Parnaso Records le procurò serate a New York?

Joey: No, io seguitai a lavorare per conto mio e la cosa non mi danneggiò molto perché in radio trasmettevano i miei dischi, come per esempio Malambo che si vendette a New York e a Puerto Rico; tuttavia Jerry Masucci, il proprietario della Fania Records, si comportava scorrettamente perché dissuadeva i Dj radiofonici dal programmare certe orchestre: il Dj Polito Vega era un mio vicino di casa e gli davo io i miei dischi direttamente, al ché lui mi rispondeva “Guarda, io te li programmo ma questa gente potrebbe crearmi problemi perché mi tengono sott’occhio per danneggiarmi.” Ciononostante mi programmò The Godfather e un altro paio di pezzi.

Israel: Nessuno denunciò la Fania per queste pratiche?

Joey: Macché, la Fania si comprava tutti e tutti stavano zitti; per esempio, la Parnaso Records chiamava direttamente i Dj per protestare ma loro rispondevano che avevano già un sacco di musica e “non potevano certo metter tutto”: il risultato fu che la mia musica si diffuse di più in Venezuela, Argentina, Panama e Colombia che a New York.

Israel: Come venne in contatto con Ricardo Ray?

Joey: Stavo registrando un album economico per la Fonseca Records nello stesso periodo in cui stavano registrando Ricardo Ray, Bobby Cruz e Chivirico Dávila, quest’ultimo nel ruolo di lead vocalist perché per quei particolari brani Bobby Cruz non era ancora adatto (lo divenne poco dopo quell’esperienza); facemmo assieme le copertine dei nostri dischi e da allora restammo buoni amici.

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L'album The Real Thing -  El Verdadero, con Chivirico Dávila.  Cortesia di David Cantrel.
L’album The Real Thing – El Verdadero, con Chivirico Dávila. Cortesia di David Cantrel.

Israel: Maestro, Herencia Latina pubblicò un’intervista al magnifico Chivirico Dávila in Cali, Colombia, dove affermò “Con Joey Pastrana io conobbi la gloria”: come ingaggiò Chivirico per il suo album The Real Thing – El Verdadero?

Joey: Lo conobbi quando lavorava per Ricardo Ray, poi cessò la collaborazione e andò a Chicago dove ebbe un serio alterco con suo figlio, della cui moglie si innamorò e con la quale scappò; il figlio lo cercava dappertutto per ammazzarlo quindi Chivirico decise di tornare a New York per sfuggirgli.

Una sera stavo lavorando al club Corso e pernottammo in una casa lì vicino che utilizzavamo per riposarci, allorché arrivò Chivirico, ci spiegò molto scosso la sua vicenda e ci disse che alloggiava lì vicino in un hotel; sotto il cappotto vestiva una camicia e sotto ancora un pigiama (Joey ride).

Gli offrii tre settimane di lavoro in studio per il mio imminente album da registrare; sulle prime rifiutò adducendo problemi di voce ma alla fine accettò perché necessitava denaro; registrammo così Pastrana Llegó (me lo cantò esattamente come volevo io, soprattutto nella splendida intro), poi The Real Thing e Campana: quest’ultimo brano era dedicato alla segretaria Juana del Dj Simphony Sid, eccellente persona di origini latine e giamaicane, brano finalizzato ad essere usato come sigla del suo programma radio. Tuttavia Tito Puente aveva già composto un Mambo per quel programma (Joey inizia a cantarlo) ma dopo la prima mezzora Sid metteva anche la mia, che era più afroide.

The Real Thing fu uno degli ultimi che feci con Cotique Records, l’ultimo fu Joey En Carnaval; quando morì il proprietario George Goldner gli eredi vollero vendere la discografica alla Fania Records e io dissi loro : “Con Fania non voglio lavorare.”

Israel: “Maestro, Lei ingaggiò Chivirico solo per l’album The Real Thing – El Verdadero per poi intraprendere ognuno le proprie strade?

Joey: Be’, Chivirico non era più in grado di cantare, quando lo portavo alle mie serate gli andava via la voce al primo set, e alla ripresa non cantava più; lui stesso mi confessò che non era in grado di cantar più di due brani, così me lo portai a Puerto Rico (dove quasi mi morì) insieme anche ad Héctor Lavoe…

Israel: Ossia che anche Lei invitò Héctor Lavoe nella sua banda?

Joey: Sì, Willie Colón lo aveva scaricato. Héctor Lavoe lo conoscevo prima che lui si unisse a Willie Colón, ed entrambi li conobbi alla spiaggia di Orchard nel Bronx dove suonavano, uno il trombone, l’altro cantando e suonando maracas. Mi divertivo con loro, all’epoca erano molto giovani.

Quando Willie Colón lo lasciò io gli chiesi: “Sarà dura per te adesso?” Ma lui tranquillo rispose: “No, ho un contratto con Fania Records per cui Willie non può incidere senza me né io senza la sua banda” per cui gli proposi di accompagnarmi a Puerto Rico spiegandogli che Chivirico non poteva sostenere una serata intera, accettando di fare il corista ed intervenendo all’occorrenza come lead vocalist (conosceva tutti i miei brani storici).

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Israel: Héctor Lavoe faceva sia il corista che il lead vocalist?

Joey: Sì, entrambe le cose, ma quando lo venne a sapere la Fania, fecero le loro rimostranze e quell’esperienza fu interrotta. Come corista, partecipò ai miei due album A Comer e The Godfather.

Israel: A cosa s’ispirò Lei nel comporre Malambo?

Joey: Malambo fu scritta per i timbales (Joey intona il ritornello: “Me gusta los timbales pa’ gozar bembé”).

Israel: Il brano fu un successo a Puerto Rico e molti paesi latinoamericani, a tutt’oggi si può dire che è un classico della Salsa.

Joey: Sì, piacque molto a Puerto Rico, io lo composi per i miei antenati, le mie origini. Un altro classico della mia produzione è Riki Chi che ricordo sempre al mio pubblico cantando “Riki Chi, Oh No, No”.

Israel: All’epoca del Boogaloo quali bande le piacevano?

Joey: Mi piacevano Joe Cuba, Tony Pabón, Ricardo Ray, conobbi l’indio Cherokee, Doc Cheatam quando suonava al Metropol con Gene Krupa, poi Ralfy Pagán che era un cantante interessante ma più orientato verso la musica nordamericana.

Israel: Lei conobbe King Nando?

Joey: Caspita se lo conobbi! Viveva tra la 109a e la 110a strada dove suonava la chitarra e cantava. Fece un disco di successo a New York, “Fortuna”, che era romantico, come molti che uscirono in quell’epoca.

Israel: Perché la sua orchestra esce di scena a fine anni ottanta?

Joey: Pensa che nel ’93 organizzarono una celebrazione in cui mi diedero un premio alla carriera, in pratica mi consacrarono come leggenda della musica latina; lo stesso fecero con Jimmy Sabater, Willie Torres e altri: Marilyn Winters, un’ebrea americana, ex ballerina di Tito Rodríguez che non abbandonò mai l’ambiente latino, ideò l’evento e ci consegnò lei stessa i trofei.

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Jimmy Sabater, Joey Pastrana, Marlyn Winters e Willie Torres durante la consegna dei premi. New York, 8 gennaio 1993. Foto di Joey Pastrana.
Jimmy Sabater, Joey Pastrana, Marlyn Winters e Willie Torres durante la consegna dei premi. New York, 8 gennaio 1993. Foto di Joey Pastrana.

Israel: Lei si allontanò dall’ambiente poco dopo questa premiazione?

Joey: No, a Pasqua ’98 suonai all’Hotel Condado Plaza a San Juan, Puerto Rico, e sporadicamente a New York.

Di fatto ne avevo un po’ abbastanza dell’ambiente, necessitavo una pausa, ero stanco di suonare; oltretutto il clima di New York non fece bene alla mia salute e mi trasferii in Florida: tuttavia ho delle canzoni pronte per una piccola banda qui in Florida e, sebbene non voglia esibirmi dal vivo, ho intenzione di incidere con loro.

Israel: Quando arrivò la Salsa Romantica Lei si tenne lontano da questa onda?

Joey: La Salsa Romantica ha le sue cose buone, ma non è il mio stile, io suono duro, mi piace che la gente avverta questo mio timbro; ha prodotto alcune cose belle, ma non mi inserii mai in quel circuito.

Israel: Quando si trasferì definitivamente in Florida?

Joey: nel 2004, a seguito dell’asma che contrassi nell’esercizio della mia attività di manutentore parchi, respirando il pulviscolo espulso dal tagliaerba; per sei mesi rimasi a letto con la polmonite; mi ritirai e seguii il consiglio di trasferirmi in uno stato con un clima più adatto per chi ha queste insufficienze respiratorie.

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Nella casa di Joey Pastrana.
Nella casa di Joey Pastrana.

Israel: Le piace vivere qui in Florida?

Joey, Sì, il posto è bello e il clima di Fort Myers è simile a quello di Puerto Rico con una media di 21° centigradi; faccio esercizio fisico, compongo musica, scrivo testi, non bevo e non fumo.

Israel: Qual è l’album che le ha fruttato di più economicamente?

Joey: Joey En Carnavale che ha molti brani perfetti, anche se non so esprimere un ordine di preferenza, mi piaccion tutti.

Israel: Come si comportò la Cotique Records sia a livello di compensi che di libertà creativa?

Joey: Economicamente molto male perché a parte il compenso fisso stabilito per l’incisione non ho mai ricevuto alcuna royalty e sto cercando un legale per riappropriarmi di ciò che mi spetta, dato che le mie opere son state riprodotte e rivendute senza che io venissi minimamente coinvolto nei ricavi: stanno lucrando sulle mie opere d’ingegno, è una chiara violazione dei diritti d’autore.

Israel: In una intervista pubblicata su Herencia Latina i New Swing Sextet si lamentarono della stessa cosa, dischi riprodotti da altri ma senza nessun compenso per loro, uno scandalo in considerazione della ricchezza artistica prodotta da tutta una generazione di musicisti.

Joey: In molte parti del mondo vendono tuttora i miei dischi, per esempio in Venezuela, Colombia, New York, Spagna, Inghilterra, Puerto Rico, Panama ed altri, mentre io non ricevo nulla; anche altre bande furono ingannate come i Lebrón Brothers, Johnny Colón, New Swing Sextet e molti altri, mentre i proprietari della Cotique Records si arricchirono con le nostre produzioni: eppure anche noi musicisti invecchiamo e necessitiamo crearci una base economica per vivere quest’ultima tappa della nostra vita felicemente e dignitosamente.

Israel: Joe Quijano mi ha detto che Lei ha raccolto i suoi successi in un CD per metterli in vendita, può darci i dettagli di questa operazione?

Joey: Sì, ho stampato un CD autoprodotto quindi con i costi a mio carico, comprendente brani tutti composti da me, affinché nessun possa reclamarli come suoi, e son tutti registrati alla Società degli Autori; ora cerco un impresario che voglia occuparsi del lancio di questo CD in maniera che possa generare profitti.

Israel: Maestro, Lei è in buoni rapporti con Joe Quijano?

Joey: E’ un fratello per me, lo conosco da quando arrivai nel Bronx…

Israel: Le vostre orchestre suonarono mai assieme nelle stesse serate?

Joey: Sì, diverse volte, come al Bronx Casino (che ora è una chiesa), dove si esibirono bande come quelle di Tito Puente, Tito Rodríguez, la mia, quella di Joe Quijano, Eddie e Charlie Palmieri e Johnny El Bravo López.

Israel: Ha nuovi progetti, nuove sue composizioni da incidere?

Joey: Sì, penso di metter su una banda qui e di rimettermi a suonare.


Israel: Come arrivò al suono forte e crudo che caratterizzò la sua come molte altre bande newyorchesi della seconda metà anni ’60?

Joey: Di fatto all’epoca la gente voleva ballare, e per far sì che ciò accadesse bisognava suonare forte e duro; nel Barrio, se non avevi questa caratteristica, eran problemi per la banda, generava un passaparola negativo, per cui ognuno sentiva la necessità di suonare col diavolo addosso (ride): andar sul palco e non riuscire a far ballare la gente poteva rivelarsi fatale per la banda.

Israel: In quali relazioni è con Ismael Miranda?

Joey: Prima di lasciare New York per la Florida lo chiamai e mi disse che stava bene ed era ingrassato, cosa poco immaginabile per quel “magrolino” che possiamo ricordarci nella foto del nostro primo album; mi raccontò che adesso ha la faccia grande come un pallone!

Israel: Ha più cantato per Lei?

Joey: No, dopo il mio primo album, mai più perché andò con Larry Harlow; io non avevo molte serate e lui aveva il problema di sfuggire alla chiamata di leva per il Vietnam, cosa che gli riuscì lavorando molto per Larry Harlow: gli dissi “Non ti preoccupare, io ingaggerò Chombo in tua sostituzione”.

José “Chombo” Rodríguez e Joey Pastrana in San Juan, Puerto Rico.  Foto di Joey Pastrana.
José “Chombo” Rodríguez e Joey Pastrana in San Juan, Puerto Rico. Foto di Joey Pastrana.

Israel: José “Chombo” Rodríguez vive sempre a Puerto Rico?

Joey: No, Joe Quijano mi ha detto che è scomparso, sembra per un attacco cardiaco, lo apprese dalla radio; era un bravo ragazzo, anche se talvolta faceva il matto.

Israel: Sa qualcosa dell’altro suo cantante, Carlos Santos?

Joey: Lui si trasferì ad Orlando, a quattro ore da qui.

Israel: Siete in contatto?

Joey: Sì, mi chiama sempre quando passa da queste parti; dovrei avere il suo numero da qualche parte ma non credo che conosca il mio nuovo numero dato che ho traslocato di recente. Certamente mio fratello minore ha il suo numero.

Israel: Chi, Willie Pastrana?

Joey: No, Tony, il più piccolo di noi tre.

Israel: E Willie che fa adesso?

Joey: Vive a New York e lavora per il municipio; al momento sta preparando un CD per la sua orchestra attuale, intende lanciarlo nel 2006.

Israel: Quanti figli ha Lei?

Joey: Una figlia e un figlio.

Israel: Lei è nonno?

Joey: Caspita, sì, ho una nipote di 14 anni.

Israel: I suoi figli amano la musica?

Joey: No, non mi sono usciti musicisti! Miguel suona un po’ la conga ma non a livello da musicista.

Israel: Lei vive con sua moglie?

Joey: No, divorziai circa cinque anni fa quando mi ammalai, vivo qui da solo e ho un po’ di amiche che mi vengono a trovare (ride) ma ci sto attento, perché a portarle a cena son spese (ride).

Israel: La sua ex moglie è cantante?

Joey: No, mi aiutava nella parte grafica e nelle note degli album, si chiama Dana Torres.

Israel: E’ portoricana?

Joey: No, ebrea americana

Israel: Se le dovessero chiedere di radunare la banda di Joey Pastrana, quali integranti sceglierebbe?

Joey: Adesso?

Israel: Sì.

Joey: E come potrei farlo, se nemmeno so dove vivono i miei ex colleghi?

Israel: E allora, proviamo ad immaginarla.

Joey: Ok, me la immagino con Tito Rodríguez come lead vocalist, Mongo Santamaria alle congas, Chiky Pérez (ex integrante della banda di Tito Puente e che lavorò nel mio primo album) al bongó, Puchy (altro mio ex integrante), Angel Rodríguez e Larry Spencer alle trombe, Jack Hitchcok e Barry Rogers ai tromboni infine Bobby Rodríguez (altro ex integrante di Tito Puente) al basso.

Israel: Quali sono le sue bande preferite?

Joey: Machito, Tito Rodríguez, Tito Puente (amavo le big bands, ma durante la mia epoca non c’era lavoro per questo formato orchestrale), Pérez Prado, Charlie ed Eddie Palmieri, Ricardo Ray, Joe Quijano y su Orquesta Cachana e Joe Cuba.

Israel: E tra le orchestre cubane?

Joey: Chapotín, Orquesta Casino de la Playa, Aragón, Fajardo y sus Estrellas (con cui spesso condividevo le serate), Lou Pérez… Mi piace Patato Valdés.

Ti racconto un aneddoto su Patato, stavo suonando congas nel Bronx e gli dico “Son già le 18, devo andare perché domani sera parto per la California” e lui col suo gergo (Joey lo imita) “Va bene, ci vediamo”; il giorno dopo arriviamo al locale e iniziamo a suonare quando all’improvviso entra Patato Valdés e gli chiedo sorpreso “Che ci fai qui?” e lui “Io te l’ho detto che sarei venuto qui, sei tu che non hai capito!”: due giorni dopo me lo rivedo in un locale in Florida e … terminammo la tournée incontrandoci anche a Puerto Rico!

Ismael Rivera, Joey Pastrana, Kako, Rafael Cortijo, Santos Colón e Camilo Azuquita. Foto di Joey Pastrana ceduta a Herencia Latina.
Ismael Rivera, Joey Pastrana, Kako, Rafael Cortijo, Santos Colón e Camilo Azuquita. Foto di Joey Pastrana ceduta a Herencia Latina.

Israel: E tra le orchestre portoricane?

Joey: Cortijo e Ismael Rivera, ho una foto insieme a loro due e Kako, Santos Colón e Azuquita: te la cedo.

Sapevi che avevo scritto due brani a Cortijo? Aguacero e Oriza. Tra le tante volte che viaggiai a Puerto Rico mi capitò di incontrare Cortijo senza Ismael per cui gli chiesi dove fosse, e lui mi rispose che si era nascosto a Panama (era ricercato dalla polizia); recandomi a Panama per la tournée ho chiesto di lui a un nostro fan che ci condusse a un vecchio hotel dove una vecchietta si staccò un attimo dai fornelli per andarmelo a chiamare: Ismael mi abbracciò fortissimo, mi disse che stava bene e parlammo fino a notte inoltrata.

Quando tornai a Puerto Rico riferii l’episodio a Cortijo e i dettagli del suo indirizzo; quando Ismael risolse i suoi problemi con la legge me lo ritrovo nel Bronx con la sua banda offrendomi di presenziare alla sua registrazione, dopodiché chiacchierammo cinque ore: lui mi chiamava “Pastranita”.

Israel: Pastrana è un nome portoricano?

Joey: No, siamo in pochi ad averlo lì.

Israel: Penso sia più sudamericano, per esempio in Colombia elessero due presidenti con quel nome…. Stranamente erano padre e figlio (ridono)!

Joey: A Cuba ci son molti Pastrana, mi dissero che ha origini spagnole ed arrivò a Puerto Rico passando da Cuba; un’altra cosa che mi raccontarono fu che fosse relazionato con la Casa Reale Spagnola, nello specifico i loro cuochi si chiamavano così: non saprei, a mio padre e a molti miei zii comunque piace cucinare, e a Puerto Rico c’è un ristorante con quel nome, credo a Santurce..

Israel: Dei paesi in cui ha vissuto quale le è piaciuto di più?

Joey: Puerto Rico, perché la gente ama ballare e perché è la mia isola, ma mi è piaciuto anche il Panama e mi sorprese pure l’isola di Saint Thomas perché nonostante la sua popolazione fosse di discendenza inglese o africana, apprezzavano la musica latina.

Israel: Joey, a St. Thomas (British Virgin Islands) si stabilirono molti portoricani dell’isola di Vieques e si ascolta molto la radio portoricana.

Joey: Sì, me lo avevan detto in occasione dei miei tre concerti nell’isola.

Israel: Ha saputo che la sua musica si sta ascoltando in Francia, Inghilterra, Italia e Spagna?

Joey: Sì, la cosa mi ha sorpreso e ribadisco che non ricevo un centesimo da queste vendite (ride), dovrebbero pagarmi un tot sulle vendite e sui passaggi in radio, ma ciò succede solo con la BMI con cui mi associai fin dalla mia prima incisione e che tuttora mi manda un resoconto trimestrale sui miei compensi riguardanti il Giappone, la Spagna, l’Argentina e altri paesi.

Israel: Lei vive solo con la pensione?

Joey: Esatto.

Israel: Le due coriste quando smisero di cantare?

Joey: Quando cessò la collaborazione con Cotique Records; non fu facile continuare con la musica latina così si diedero al Rock.

In casa di Machito: Joey Pastrana, Machito e Joe Quijano. Foto di Joey Pastrana - ceduta a Herencia Latina
In casa di Machito: Joey Pastrana, Machito e Joe Quijano. Foto di Joey Pastrana – ceduta a Herencia Latina
Mario Bauzá, Joey Pastrana, Tito Puente e Graciela. Foto di Joey Pastrana - ceduta a Herencia Latina
Mario Bauzá, Joey Pastrana, Tito Puente e Graciela. Foto di Joey Pastrana – ceduta a Herencia Latina

Israel: Ci racconti del Boogaloo che compose per Machito.

Joey: Con Machito era diverso, perché quando la sua discografica non gli rinnovò il contratto rimase senza lavoro, così George Goldner della Cotique Records decise di ingaggiarlo a patto che io mi inventassi un Boogaloo per lui, cosa che non aveva mai avuto nel suo repertorio.

Andai a casa, ci pensai molto fino a ricordarmi che avevo già un brano fatto, ed era adatto a Machito, così andai da Mario Bauzá e gli diedi Ahora Sí, per dargli un’idea di come fosse un Boogaloo.

Ne scrissi uno anche per Graciela, ma con arie più da Mambo; Mario Bauzá disse a Machito “Facciamolo, dai, dai!” e il giorno stesso li aveva arrangiati entrambi; m’invito a tornare l’indomani per sentirli suonati, cosa che mi meravigliò per la velocità.

Il giorno dopo, alle prove, Bauzá mi sorprese per il lavoro fatto e Machito e Graciela mi misero come arrangiatore nei crediti della canzone; i brani furono lanciati e divennero subito dei successi in tutta New York, causandomi anche qualche problema con Tito Puente che non gradiva che uno della sua generazione se ne uscisse con un Boogaloo: di fatto, poi, non erano ritmicamente dei Boogaloo bensì della Guarachas col cantato allo stile Boogaloo.

Un giorno incontrai il figlio di Machito dicendomi che mi “odiava”, e quando gli chiesi il perché rispose “Il Boogaloo che hai scritto per mio padre me lo chiedono in tutto il mondo, Ahora Sí!”

Ho incluso anche questo brano nella raccolta dei miei successi.

Joey Pastrana e Tina Roppe. A Fort Myers, Florida. Foto di Joey Pastrana
Joey Pastrana e Tina Roppe. A Fort Myers, Florida. Foto di Joey Pastrana
Joey Pastrana a casa sua.
Joey Pastrana a casa sua.

Israel: Maestro, chi la spinse a stampare questo CD?

Joey: Tina Roppe, una gran donna che mi ha aiutato molto qui a Fort Myers.

Israel: Grazie Maestro.

Al Cotton Club di New York: Joey Pastrana con il Maestro Machito. Foto di Joey Pastrana - ceduta a Herencia Latina
Al Cotton Club di New York: Joey Pastrana con il Maestro Machito. Foto di Joey Pastrana – ceduta a Herencia Latina

VIVA PASTRANA!
Intervista di Israel Sánchez-Coll a Joey Pastrana (Maggio 2006) per
www.herencialatina.com

Israel Sánchez-Coll Fort Myers, Florida, Dicembre 2006

Bebo Valdes, (Ramón Emilio Valdés Amaro; 9 Ottobre 1918 Quivicán - Cuba - 22 Marzo 2013 Svezia)

Adios Bebo Valdes

22 marzo 2013

Ci lascia oggi un altro grande musicista di Cuba, Bebo Valdes.
Il pianista che aveva 94 anni, da due settimane aveva subito un peggioramento dello stato della sua salute e per questo motivo si era trasferito da Malaga (dove viveva) in Svezia, dove abitano alcuni dei suoi figli.

Dionisio Ramón Emilio Valdés Amaro era nato a Quivicán, Cuba nel 1918 e già fin da quando aveva sette anni aveva iniziato a studiare il piano, studio che alternava ad altre esibizioni in alcuni gruppi scolastici dove cantava e suonava le maracas.

Una volta diventato maggiorenne si traferì a La Habana per studiare al Conservatorio, studi che si manteneva anche facendo piccoli lavori in un ristorante cinese.

Bebo Valdes, (Ramón Emilio Valdés Amaro; 9 Ottobre 1918 Quivicán - Cuba - 22 Marzo 2013 Svezia)
Bebo Valdes, (Ramón Emilio Valdés Amaro; 9 Ottobre 1918 Quivicán – Cuba – 22 Marzo 2013 Svezia)

Arrivati ai primi anni quaranta, debuttò come pianista professionista con diverse orchestre, fra le quali non possiamo non ricordare quella del trombettista Julio Cueva, che lavorò per diverse catene radiofoniche.

In quel periodo cominciò a ritrovare un vecchio amico d’infanzia che da lì a poco avrebbe scritto pagine gloriose della musica cubana: il compositore e contrabbassista Israel López ‘Cachao’, padre del mambo que successivamente sarebbe stato reso popolare da Pérez Prado.

Nel 1948, dopo un viaggio ad Haiti che avrebbe segnato tutto il suo percorso musicale, la sua carriera prese vigore con l’ingresso nel leggendario Club ‘Tropicana‘, dove sarebbe rimasto a suonare come pianista e arrangiatore dell’orchestra di Armando Romeu fino al 1957.

Durante questa epoca creò ‘Sabor de Cuba‘, la sua big band e grazie a questa ebbero la possibilità di emergere figure del calibro di Rita Montaner ed i cantanti Beny Moré e Rolando Laserie.

All’inizio dei primi anni cinquanta, il musicista cubano iniziò a organizzare le sue “descargas”, sessioni d’improvvisazione di jazz afrocubano che furono registrate dal produttore americano Norman Granz all’interno della serie di concerti ‘Jazz at the Philarmonic‘.

Sempre in questo periodo Valdes conobbe Nat King Cole con cui registrò alcuni brani e fu l’inventore della batanga, un nuovo ritmo che iniziava a far concorrenza al mambo dell’epoca. Poco dopo l’inizio della Rivoluzione Cubana, nel 1960, iniziò il suo esilio che non sarebbe mai più finito, lasciando nell’isola moglie e figli. Dopo alcuni brevi trasferimenti fra Messico e Stati Uniti, iniziò un tour in Europa dove si sarebbe trasferito definitivamente a Stoccolma, dove visse più di trenta anni e dove continuò a comporre e suonare il piano, principalmente in bar e hotel.
Nel 2007 si trasferì a Malaga, in Spagna, dove avrebbe vissuto fino a pochi giorni dal suo definitivo rientro a Stoccolma.

Orami ritiratosi, in seguito ad una malattia, il medico gli disse che non avrebbe più potuto suonare il piano, al che gli rispose: “solo da morto”.

Fu solo nel 1994, quando aveva già 76 anni, quando con l’aiuto di Paquito D’Rivera il maestro tornò a registrare un disco “Bebo rides again“. Alcuni anni dopo diventò amico del direttore cinematografico Fernando Trueba e iniziò una fruttifera collaborazione che arriva fino ai giorni nostri, con film come ‘Calle 54‘ (2000) o ‘El milagro de Candeal‘ (2004) e dischi come ‘El arte del sabor‘ (2001) o ‘Bebo de Cuba‘ (2005).

Questa ultima parte della sua carriera, que si identifica con il disco ‘Lágrimas negras‘ (2004), registrato con Diego el Cigala, è stata segnata da riconoscimenti e premi all’artista cubano, fra i quali si evidenziano vari Grammy. Nel 2008 diede l’addio al palcoscenico.

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Aprile 2008

di Tommy Salsero

Parlare di colui che può essere definito, a mio avviso, uno dei più importanti musicisti latini di ogni tempo, non è certo facile. La mia non vuole essere una biografia completa, per questo ci vorrebbe un libro intero, ma una breve introduzione ai suoi meriti artistici in campo musicale. Cachao nacque a l’Habana nel 1918 e fu un musicista completo (suonava infatti anche il piano, sebbene il suo strumento principale fosse il Contrabbasso).
Cachao ebbe una doppia vita artistica:

– la prima, che durò circa 30 anni, nella musica colta come elemento integrante della Sinfonica dell’Habana dove ebbe modo di suonare per direttori come Eric Kleibe, Sir Thomas Beecham, Von Karajan, Stravinsky (Cachao suonò ‘Firebird’ e ‘Petrouchka’ con il maestro) , Héctor Villalobos e Antal Doraty o nella musica operistica con tenori come Mario Del Monaco.

– la seconda nella musica popolare latinoamericana.

La musica del maestro attraversa tutto il Novecento, costellata da geniali intuizioni che hanno sempre anticipato gli stili a venire.
Nel 1937 con suo fratello Orestes “Macho” Lopez (Orquesta Arcaño y sus Maravillas) anticipò la moda del Mambo.
Orestes scrisse il brano “Mambo” (diffuso alla radio a partire dal 1938) aggiungendo alla terza parte del Danzon (i due fratelli ne composero circa 3000!) un montuno; in questa sezione svilupparono insieme alcune idee musicali, basate sul tumbao del piano e con le improvvisazioni generalmente affidate al flauto e sostenute da un ricco movimento sincopato affidato ai Guajeos dei violini, ai Timbales e successivamente ad una Conga suonata da un giovane musicista, El Colorao.

Il Danzon de Ritmo Nuevo era il papà del mambo.
Il brano “Mambo” segnerà una nuova era nella musica latina sia per le innovative armonie che per le varianti ritmiche.
Sebbene i fratelli Lopez non siano i padri esclusivi del Mambo, genere che sarà sviluppato in modo differente da artisti come Arsenio Rodriguez, Damaso Perez Prado, Renè Hernandez, Bebo Valdes ed El Niño Rivera, a loro va sicuramente la palma dei precursori.

Negli anni 50 Cachao rese celebri le “Descargas” tra musicisti, generalmente costruite sul sistema modale , (in contrapposizione al tonale su cui si basa anche la canzone popolare) che diventeranno una parte imprescindibile della Salsa degli anni 70.
Il disco del 1957 registrato per la Panart “Cuban Jam Sessions En Miniature” ha lasciato un marchio indelebile per tutte le Descargas a seguire.

Cachao lavorava con una formazione aperta che includeva suo fratello Orestes al piano, Alejandro Vivar e Armando “Chocolate” Armenteros alle trombe, Generoso Jimenez al trombone, Enemelio Jimenez al sax alto, Emilio Penalver al sax tenore, Virgilio Lisama al sax baritono, Andres “Niño” Rivera al tres, Guillermo Barreto ai timbales, Tata Güines alle congas, Rogelio Iglesias ai Bongos e Gustavo Tamayo al guiro.
Cachao si cimenta qui con ritmi come Son e Rumba, imprimendo anche a questi generi il suo proprio stile immediatamente riconoscibile.
Un sistema basato sulla figura ritmica della “cascara” suonata sui timbales, in contrapposizione ad un basso sincopato, ostinato ed ossessivo che marchierà a fuoco più di un trentennio di musica latina a New York, conosciuto anche come “ritmo Cachao“!
Da Tito Rodriguez (con cui Cachao suonò negli anni 60) a Ray Barretto questo modo di suonare il basso è ancora oggi alla base di moltissimi brani di Latin Jazz, Latin Soul/Funk e Salsa.
Basta ascoltare brani come “Trombon Criollo”, ”Oye mi tres montuno”, ”Cogele el golpe” o “Descarga cubana” per rendersene conto.

Tecnicamente Cachao era considerato dal più grande bassista elettrico di tutti i tempi, Jaco Pastorius, il miglior bassista esistente al mondo.
Già perché l’eredità più grande Cachao la lascia forse ai bassisti, come ricorda spesso il geniale Andy Gonzalez.
La sua tecnica, precisa fino al suo ultimo giorno di vita, era incredibile ed era sempre affiancata ad un sabor e uno swing inimitabili, riuscendo a trasmettere ogni singola emozione da quelle corde. In questo caso la frase “pugno di ferro in guanti di velluto” calza alla perfezione.

Cachao aveva anche una tecnica ottima con l’archetto, avendo suonato musica classica per tanti anni; una delle innovazioni più grandi fu quella di usare l’archetto in modo percussivo alternando un colpo secco ad altri due legati.
Era sempre a suo agio sia accompagnando la Sinfonica de La Habana che improvvisando una Descarga o una Rumba con un piccolo gruppo di percussionisti.
I Generi che gli devono molto sono tanti: Danzon, Mambo, Descarga, Salsa, Latin Jazz, Latin Soul, Latin Funk, ecc.

Nei primi anni 60 suona nei migliori gruppi di New York con Machito e con il celebre gruppo di Tito Rodriguez

con cui incide diversi dischi; questa collaborazione mette in luce la grandezza del maestro nell’ambito delle Big Band. Imperdibile il disco del 1964 “Carnaval De las Americas” o “Tito Tito Tito” dove possiamo ascoltare una versione grandiosa di “Descarga Cachao” e la splendida “Descarga Malanga”.

Nel 1966 registra per la Tico di Pancho Cristal le celebri, Descargas Live at the Village Gate vol.1, 2, 3.

Altro celebre ed importantissimo disco è “Patato y Totico” del 1968 che vede insieme Cachao, Patato Valdes, Totico ed il grande Arsenio Rodriguez.

Nel 1969 arriva un disco storico con Eddie Palmieri dal titolo “Champagne” che contiene uno dei Boogaloo più belli della storia “Ay Que Rico” il cui giro di basso diventerà un modello anche per i gruppi di Latin Soul Funk degli anni 70.

Dopo un periodo passato a suonare negli hotel di Las Vegas negli anni 70, si trasferisce a Miami negli anni 80 dove incide una nuova serie di Descargas assieme a Tany Gil, Walfredo De Los Reyes e Francisco Paquito Hechavarria famoso come pianista di Gloria Estefan, nei celebri dischi dei Miami Sound Machine.

Sono comunque gli anni più tranquilli da un punto di vista musicale; Cachao sembra dimenticato quando tutto cambia a partire dall’incontro con Andy Garcia che porta nel 1993 allo storico video “Como su ritmo no hay dos” che rende finalmente merito e importanza a questo gigante della musica latina.
Nello stesso anno arrivano due splendidi dischi, uno con Paquito D’Rivera “40 Years of Cuban jam sessions” e l’altro con Gloria Estefan “Mi Tierra” che vince il premio Grammy!

Seguono tour in tutto il mondo e finalmente altri premi Grammy: Master Sessions Vol.1 nel 1994, El Arte Del Sabor nel 2003 assieme a Bebo e Patato Valdes e nel 2004/2005 con ¡Ahora Si!

Master Sessions Vol.1

Nel 2007 ha suonato per l’ultima volta nel nostro paese ed è in questa occasione che abbiamo avuto l’oppportunità per l’ultima intervista rilasciata al nostro portale:

Clicca qui per leggere l’intervista a Israel Cachao Lopez

Resoconto del concerto di Israel Cachao Lopez di Domenica 25 Luglio 2004

É un appuntamento con la storia, questo concerto, la storia con la S maiuscola.

Dietro le quinte ad ascoltarlo c’erano Tata Güines e Changuito, i più grandi percussionisti di Cuba, assieme ad Haila ed alcuni componenti della Charanga Habanera.
La serata ha visto anche la fondamentale partecipazione (più avanti capirete perchè), di un grandissimo trombonista di origine portoricana: Jimmy Bosh!

Jimmy Bosh

Il gruppo vedeva la classica formazione di Timbales, Congas, Voce e Guiro, Piano, Tromba, Sax e Clarino, Violino oltre al trombone di Bosh e al contrabbasso classico di Cachao.

Vederlo entrare sul palco accompagnato da una persona, per via dell’età (80 anni circa), fa tenerezza, ma quando si aggroviglia al suo strumento diventando praticamente un corpo solo con esso e si sentono le prime note profonde e rotonde, magicamente il tempo scompare, gli anni spariscono.
Sono i tocchi granitici di Cachao sul basso, che danno inizio al concerto con la immortale “Descarga Cachao”.
Un poderoso tumbao che porta gli stessi anni di chi lo suona, esce da quel contrabbasso, un solo corpo e una sola anima, gli occhi chiusi e le mani che accarezzano, graffiano o percuotono il suo strumento con poderosi colpi di archetto in modo percussivo.

Il Timbales come sempre fa la parte del leone assieme al contrabbasso e alla congas per quanto riguarda il tumbao ritmico, che tutti abbiamo sentito almeno una volta nella vita, la parte melodica è invece affidata al violino e al clarino che si alternano in canto e controcanto facendo riaffiorare tutto il fascino della “orquesta tipica” di inizio secolo scorso.
In sezione tromba, trombone e Sax (suonato dal clarinettista) si fondono bene rendendo più contemporaneo il sound nei brani più swinganti.

Il repertorio quasi esclusivamente strumentale ha un suo filo logico e passa in rassegna tutti i tipici generi cubani a partire da un bellissimo Danzon che finisce in Cha Cha Cha, (ritmo che infatti deriva come il mambo proprio dal Danzon).
Si susseguono un Mambo e poi una bellissima “Cancion”, genere che venne influenzato sia dalla canzone napoletana che da quella francese che arriva a Cuba dalla vicina isola di Haiti.
Si tratta di “Si me pudieras querer” un brano di Ignacio Jacinto Villa, (pianista con cui Cachao suonò giovanissimo negli anni 30) conosciuto come “Bola de Nieve”, forse il più importante esponente del genere.

Questo cantante e pianista che cominciò la carriera come pianista di Rita Montaner ha infatti nelle sue trame armoniche un grosso punto di riferimento nei compositori impressionisti francesi come Debussy e per capire questa influenza è sufficiente ascoltare uno dei suoi più famosi successi come “Drume Negrita” o “Vete De Mi”.

Sono davvero felice che Cachao abbia fatto conoscere ai presenti la musica di questo straordinario autore e interprete che si esibì anche in Italia negli anni 50.
Segue una delle forme più importanti della musica campesina, la Guajira Son, resa celebre nel mondo dal brano “Guantanamera”, per arrivare infine alla sua più celebre creazione, Lindo Yambù, la bellissima Rumba Yambù in clave di Son che tutto il pubblico canta all’unisono durante il celebre ritornello, “Ave Maria morena”!

Alcuni ragazzi sotto al palco mimano il ballo e tutti gli altri battono la clave sotto gli occhi stupiti di Alfredo Valdes Junior, pianista e figlio di Alfredo Valdes, celebre pianista del Septeto Nacional di Ignacio Piñeiro.
Arriva il bis richiesto a gran voce dai presenti ed ecco che il gruppo riparte con una Descarga da paura dove si incontrano Cuba e Puerto Rico, il mambo di Cachao con il sound salsero del trombone di Jimmy Bosh.
Passato e presente si incontrano di nuovo, con un Jimmy scatenato che mima passi di rumba, fianco a fianco con Cachao, che diventa direttore, lanciando gli assoli della tromba e del sax.
Quando Jimmy interviene lo fa con una potenza devastante, che copre tutti gli altri; in alcuni momenti sembra di ascoltare una intera sezione di tromboni….invece di uno!!

Frasi velocissime si inseguono tra tromba e trombone, timbales e conga, in una sfida all’ultima nota, con Cachao che da buon padre lascia ai suoi musicisti l’onore della chiusura del concerto.
Oltre al già citato Jimmy Bosh in forma strepitosa, note positive vengono dal violinista e dal sassofonista/clarinettista di cui purtroppo non ricordo i nomi, e dal piano “magico” e nostalgico di Alfredo valdes Jr. che con i suoi tumbaos tradizionali con le note suonate ad ottave parallele ci riporta a quello stile classico, immortalato da pianisti come Lili Martinez, Lino Frias, Pedro Justiz “Peruchin” e Ruben Gonzalez.

Un po’ sottotono la tromba e di normale routine il lavoro svolto da Congas e Timbales.
Ma si sa che il re della serata era lui, questo “giovane” bassista che si porta dietro una carriera mostruosa, con una semplicità e un’ umiltà propria solo ai grandi.

Non si può dimenticare quello sguardo di meraviglia, tipico dei bambini, che si materializzava davanti a noi ogni volta che apriva gli occhi (Cachao suona spesso ad occhi chiusi), quasi meravigliato del fatto che ci fosse qualcuno che lo seguiva sotto il palco, con un tifo da stadio.

Perchè ora purtroppo, arriva l’unica nota stonata della intera serata…..eravamo meno di un centinaio!

Cento amanti della buona musica (quasi tutti italiani) che hanno urlato il loro amore e la loro passione per coprire quella imbarazzante e francamente vergognosa situazione.
Per non fargli mancare il calore e l’affetto che un pubblico fantasma non avrebbe potuto donargli…
Eravamo pochi ma sembravamo tanti.
Non so se tornerà, ma la prossima volta vorrei vederlo in un teatro pieno di gente, degna cornice alla sua arte senza tempo.
Grazie Cachao.
P.s: Un consiglio a tutti gli amanti della musica senza categorie o nazionalità.
Si tratta del disco, che include anche un bellissimo dvd:

Israel “Cachao” Lopez : Ahora Sí! Andy Garcia Presents Cachao – CD & DVD Set (Univision 100750)

Willie Rosario con Tommy Salsero

Willie Rosario: 55 anni di carriera artistica.

Da oltre 55 anni, il timbalero Willie Rosario e la sua orchestra hanno interpretato un ritmo conosciuto popolarmente come salsa. Per il creatore di questo gruppo però questa etichetta musicale non è un genere ma un concetto che ne raggruppa diversi.

“C’è molta gente che dice che è un genere, però io dico che la salsa non è un genere ma un concetto musicale che ne mette insieme diversi”.

Parlare sull’origine della parola salsa non è semplice, visto che esistono diverse teorie in merito, però quella di “Mr. Afinque” è che il nome fu inventato dallo speaker radiofonico venezuelano Phidias Danilo Escalona.

Willie Rosario ha detto che nonostante i suoi 82 anni non ha alcuna intenzione di ritirarsi, anche se è più selettivo nello scegliere le date.
Willie Rosario ha detto che nonostante i suoi 82 anni non ha alcuna intenzione di ritirarsi, anche se è più selettivo nello scegliere le date.

“Fu il primo che utilizzò quel nome per descrivere questa musica allegra. Lui metteva un disco di guaguanco, uno di mambo e li chiamava salsa. Da lì la parola divenne un simbolo collettivo per identificare i diversi ritmi musicali”.

Però indipendentemente dall’origine della parola, il pubblico ha potuto godere per più di 55 anni della salsa “sabrosa” di Willie Rosario e la sua orchestra, che il prossimo 20 aprile celebreranno il loro anniversario con un concerto al colosseo Roberto Clemente di San Juan.

Il “sabor” e la ricchezza della musica dell’orchestra di Willie Rosario sono indiscutibili. Quando suonano canzoni come “Botaron la pelota“, “Busca el ritmo” e “Lluvia“, i ballerini non possono contenersi e far altro che muovere i loro corpi. Questa cadenza ritmica che risveglia le orecchie e i piedi, è, forse, lo swing di questo gruppo che ha potuto contare su cantanti del calibro di Gilberto Santa Rosa, Tony Vega, Chamaco Rivera, Puppy Cantor, Primi Cruz e Canito Rodríguez, fra gli altri.

“Per essere qui abbiamo dovuto lottare e lavorare molto, poichè come sapete questo è un mestiere molto complicato dove ti pagano per il nome. E per far conoscere questo nome è necessario lavorare molto con tanta costanza e pazienza, perchè questa non è una gara di 200 metri ma una maratona”.

Al di là di un buon paio di scarpe per correre questa maratona, Mr. Afinque ha contato su un’orchestra di prima qualità e con un suono caratteristico che è riuscito ad ottenere, fra le altre cose, grazie all’incorporazione del sax baritono nella sua musica.

Articolo tratto da Primera Hora.

Español

Por más de 55 años, el timbalero Willie Rosario y su orquesta han interpretando un ritmo conocido popularmente como salsa. Para el creador de esta agrupación, sin embargo, esa etiqueta musical no es un género, sino más bien un concepto que agrupa diversos sonidos.

“Hay mucha gente que dice que es un género, pero yo no digo que la salsa es un género, yo digo que es un concepto musical porque es la carpa, la sombrilla que cubre muchos ritmos”, explicó el maestro Rosario, también conocido como “Mr. Afinque”.

Hablar sobre el origen de la palabra salsa es un tema controvertible en el que existen diversas versiones, la de Rosario es que el nombre se lo inventó un locutor venezolano llamado Phidias Danilo Escalona.

“Fue el primero que le puso ese nombre para hablar sobre esa música alegre. Él ponía un disco de guaguancó y le llamaba salsa, ponía otro de mambo y le llamaba salsa. Eso logró que la palabra surgiera como una palabra colectiva que cubre distintos ritmos”, agregó.

Pero independientemente del origen de la palabra, el público ha disfrutado por más de 55 años de la salsa sabrosa de Willie Rosario y su orquesta, que este próximo 20 de abril celebrará su aniversario con un concierto que se llevará a cabo en el coliseo Roberto Clemente, en San Juan.

El sabor y ricura que inyectan la música de Rosario y su orquesta son indiscutibles. Cuando suenan canciones como Botaron la pelota, Busca el ritmo y Lluvia, los bailadores no se pueden contener y tienen que, mínimamente, menear los hombros. Esa cadencia rítmica que despierta los oídos y los pies es, quizás, la clave de este grupo, que ha contado con cantantes de la talla de Gilberto Santa Rosa, Tony Vega, Chamaco Rivera, Puppy Cantor, Primi Cruz y Canito Rodríguez, entre otros.

“Para estar aquí, tuvimos que luchar mucho, trabajar mucho, pues como sabes, esto es un negocio bien complejo donde te pagan por el nombre. Para levantar esa imagen y ese nombre se necesita mucha lucha, mucho trabajo, mucha constancia y mucha paciencia, porque esto no es una carrera de 200 metros, esto es un maratón”, explicó Rosario en entrevista con Primera Hora.

Más allá que un buen par de zapatos para correr ese maratón musical, Mr. Afinque ha contado con una orquesta de primera y con un sonido distintivo que logró, entre otras cosas, gracias a que incorporó el saxofón barítono a su propuesta.
Sobre los nuevos

Ese ritmo gordo y sabroso que proyecta la orquesta es al que deberían apostar los nuevos conjuntos, según Rosario. Destacó que grupos como Sammy García y el Sabor de Puerto Rico, Don Perignon y La Orquesta Puertorriqueña, y Siglo XXI van por “el carril de nosotros”. Pero resaltó que “hay otros” que van por otro ritmo.

“Hay grupos que se proyectan solo con cantantes y usan una vestimenta un poco de reguetón, con pantalones rotos y unas cadenotas; entonces, qué se yo, están cantando baladas románticas en tiempo de salsa”, opinó.

“No levantan entusiasmo y la salsa es entusiasmo”, agregó Rosario, quien el próximo 20 de abril espera arrebatar a sus fanáticos con la fogosidad de su swing.