Ricorre oggi il nono anniversario della scomparsa della grande Celia Cruz, morta il 16 luglio 2003 a Fort Lee nel New Jersey.
A noi piace ricordarla così…

Ricorre oggi il nono anniversario della scomparsa della grande Celia Cruz, morta il 16 luglio 2003 a Fort Lee nel New Jersey.
A noi piace ricordarla così…
Traduzione di Max Chevere e Silly
Dopo cinque secoli di presenza ispanica in America, il risultato di un largo e costante processo di transculturazione ci offre oggi un panorama musicale caraibico molto ampio che ci unisce coinvolgendoci, un processo che a volte ci permette di riconoscere addirittura la nostra immagine identitaria. In questa immagine sono presenti gli elementi culturali delle radici aborigene, quelli delle culture di dominazione e gli apporti della radice africana arrivati sull’isola (ndr Cuba) tramite la tratta degli schiavi.
Affinchè si potesse scatenare questo processo, era necessario uno scontro tra culture che avrebbe permesso agli elementi più significativi di essere assimilati, facendoli sommare ad altri elementi che avrebbero mantenuto il loro vigore, la propria funzione specifica dentro il gruppo, i propri connotati originari. Questo comporta l’eliminazione naturale dell’obsoleto, delle cose superate, e pertanto sostituibili. Il nuovo prodotto culturale, arricchito con le nuove funzioni, sarà accettato dai gruppi più progressisti, mentre altri gruppi (che possiamo definire conservatori) rimarranno legati alle proprie tradizioni.
Nella storia dell’umanità abbiamo visto la sostituzione del coltello di pietra con quello di ferro che offriva maggiore precisione nella sua funzione primaria, quella di tagliare, cosa senza dubbio molto utile durante i riti tribali.
Nella musica assisitiamo costantemente a come si evolvono o cambiano gli strumenti, gli stili, i modi di fare ma anche a come rimangono sempre alcune basi, precedenti, come elementi di tradizione, anche se passati di moda, in ambienti dove la tradizione si è radicata.
Questo processo è anche ricco di valori, è stabile e duraturo. Quando non viene conservato alcun elemento antecedente si perdono le proprie radici, il filo conduttore; l’elemento identificativo stabile è quello che da vita e ragion d’essere.
Gli elementi mutevoli, innovatori, possono arrivare a stabilizzarsi, o meglio, a scomparire perchè privi dei valori che gli avrebbero assicurato la propria permanenza. Un altro fattore importante sarà la rivalorizzazione degli elementi tradizionali che, una volta tornati in auge, si arricchiranno di alcuni contenuti assimilati durante il loro percorso.
Ci sono molti fattori che determineranno la transculturazione. Un punto chiave è costituito dalle relazioni di produzione e dalla distribuzione della ricchezza e del lavoro, che propizieranno la migrazione, fino alle differenziazioni di strati e ambienti sociali all’interno dei quali gli uomini si differenziano per cultura e beni economici.
Argeliers León menziona tre fattori fondamentali:
Il primo è il “fattore antecedente” nel quale si posizionano gli elementi costitutivi derivati dalle radici ispaniche e africane per Cuba.
Nei caraibi abbiamo un influenza Aborigena, a volte molto presente.
A seguire, “il fattore urbano“, elaborato in quello che diventa anche un ambiente infraurbano.
E successivamente associa l’insieme di questi fattori (che vanno quindi a costituire un nuovo elemento) ad una “marmitta o a un alambicco distillatore” all’interno del quale si miscelano i vari ingredienti dai quali si distillerà un nuovo prodotto.
“In poco tempo, ci dice, siamo passati attraverso culture ormai scomparse, assimilate, sovrapposte, attraverso la perdita di alcuni elementi e la riapparizione di altri, attraverso l’inglobamento di elementi estranei e al rinnovamento di alcuni contenuti in diversi momenti e in diverse proporzioni“, cosa che si ripercuote in tutti gli ambienti della popolazione.(León, Argeliers, El paso de elementos por nuestro folklore, Cuadernos de Folklore, La Habana, 1952).
Questo processo di transculturazione di elementi in tutti gli ambienti della popolazione è permanente e, in maniera generale, ebbe inizio molto prima della presenza ispanica nelle culture precolombiane.
Oggi possiamo comparare i distinti generi musicali caraibici a quegli stessi fattori storici che gli diedero origine ma anche a quegli strati della popolazione che hanno determinato i fattori antecedenti e il fattore urbano elaborato.
L’importanza delle interelazioni o degli scontri fra gli elementi degli stili precedenti o elaborati, si riflette in una semplice analisi auditiva corrispondente all’ambiente infraurbano di varie popolazioni di questo grande “brodo primordiale“, nel quale sono presenti gli elementi antecedenti come gli strumenti a corda, l’idioma e la sua struttura poetica e le percussioni o le strutture metroritmiche dell’antecedente africano.
Gli elementi che determinano i lineamenti identitari sono indubbiamente presenti, quali l’ espressione nei modi di suonare, di impostare la voce, di alternare o variare le strutture.
Storicamente molti di questi elementi arrivarono grazie alle migrazioni tra le isole caraibiche e le coste continentali di questa grande area.
Gli uomini originariamente si spostavano attraverso piccole imbarcazioni, seguendo possibilmente la rotta degli Arawacos, mentre successivamente iniziarono a utilizzare golette di maggior cabotaggio che permettevano l’andata e il ritorno, una possibilità di ritorno per lo più inutilizzata: infatti trasferirono la loro cultura che si sarebbe mischiata a quella dei popoli vicini che avevano origini simili.
Questo scambio culturale fatto di apporti o di sottrazioni di elementi stilistici si verificò anche tra popolazioni di lingue diverse, (inglesi, francesi, olandesi) ma in percentuale minore e in periodi temporali più dilatati, fondando colonie e popolazioni endogame nell’ambito di quei popoli che ricevettero la loro influenza.
Le condizioni di dipendenza economica nelle quali si trovavano questi immigrati determinavano il ceto sociale degli stessi. Io dico che si muovevano richiamati da Cuba, che, essendo la maggior isola delle Antille e con il maggior sviluppo agricolo, attraeva un gran numero di immigrati in cerca di migliori condizioni economiche.
Nel corso del XIX secolo confluirono molti aborigeni e molti indios dello Yucatan, come lavoratori salariati in condizioni di lavoro simili alla schiavitù.
Arrivarono illegalmente anche molti abitanti delle Isole Cayiman e della Giamaica che si stabilirono a sud dell’isola di Pinos, laddove fondarono le loro popolazioni, iniziando un commercio con le imbarcazioni di altre nazioni, anche clandestino.
Precedentemente, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, erano confluiti altri emigranti da Haiti, per motivi politici e economici, dal momento che la loro patria stava perdendo quote di mercato nella raccolta del caffè e della canna da zucchero a causa della rivoluzione.
Inoltre la cessione della Louisiana causò una consistente immigrazione di francesi verso la provincia di Pinar del Río e di Villaclara, dove fondarono la città di Cienfuegos. Gli elementi primari portati dagli schiavi provenienti da Haiti e quelli europei portati dai loro padroni e dai francesi della Louisiana, apportarono nuove sonorità nella musica del XIX secolo che si sono tramandate fino ai giorni nostri, dopo più di un secolo di transculturazioni.
La musica cortigiana europea (maggiori info: www.musicarinascimentale.it) era giunta a Cuba anche grazie ai colonizzatori spagnoli, con un maggior incremento tra il XVIII e il XIX secolo.
Dopo il grande sviluppo della raccolta della canna da zucchero, prodotta nei primi anni del 1900 nelle zone orientali dell’isola, la grande espansione agraria attrasse molti immigrati da Haiti, Santo Domingo, Portorico, Barbados, Jamaica, Isole Caiman, i quali furono a loro volta costretti a miseri contratti salariali con i quali non riuscivano nemmeno a pagare il rientro in patria, senza contare che molti di loro arrivavano senza documenti.
Per questo motivo si stabilirono nelle province dove c’erano i principali centri di raccolta della canna da zucchero.
Per molti anni, le loro pratiche religiose, le loro feste, furono prettamente endogame; non si mischiavano con il resto della popolazione cubana e i loro discendenti parlavano il proprio dialetto, insomma anche se si relazionavano con il resto della gente e imparavano lo spagnolo, mantenevano una tradizione molto ancorata alle proprie radici. Anche oggi, fra le persone più anziane, possiamo trovarne alcune che non ritornarono più in patria e che non parlano spagnolo.
Nell’isola di Pinos vivono alcuni figli e nipoti dei primi immigrati giamaicani e delle isole Cayman che ricordano le danze antiche, ormai quasi scomparse anche nei luoghi d’origine come il “Mentó” ed il “round dance“.
La prima è un’ antica danza cortigiana che si ballava in Giamaica mentre il secondo è un ballo di coppia collegato secondo molti all’origine del “Sucu-sucu“.
La lingua non fu un ostacolo per il riconoscimento di questi generi da parte del popolo.
C’è una canzone dal ritornello infantile che riproduce i temi di un antico foxtrot: “When she comes around the mountain“.
Altri gruppi di lingua inglese provenienti dalle Barbados si stabilirono nella zona centrale del Baraguá, a Camagüey; i loro figli creoli fino a pochi anni fa cantavano antiche canzoni in inglese a più voci e ballavano danze coreografiche e calipsos e, successivamente iniziarono a trasmettere queste esperienze culturali ai gruppi del Movimiento de Aficionados.
Dobbiamo considerare che questa integrazione culturale si verificò dopo che gli immigrati clandestini che collaboravano ai lavori nei campi di canna da zucchero, ricevettero la cittadinanza cubana e i diritti sociali all’inizio della Rivoluzione (ndr Castrista).
Circa quarant’anni fa a Guantánamo viveva un gruppo con radici portoricane, che suonavano Plenas (Ndr: genere autoctono portoricano), che parteciparono ai lavori del centro di lavorazione della canna da zucchero nella zona est di Cuba.
Questi apporti ci fanno decisamente ipotizzare una presenza di elementi caraibici che contribuirono al son cubano o viceversa, dato che si può stabilire un parallelo tra la plena, il changüí, il sucu-sucu, il round dance e i sones primitivi che si cantavano nella Sierra Maestra e nella cuenca del Cauto.
Per quanto riguarda il fattore urbano elaborato e il fattore infraurbano, le relazioni di comunicazione che favoriscono l’azione transculturale sono più vicine. La musica di questi gruppi, di origine europea, utilizza strumenti popolari e strumenti d’orchestra che saranno assimilati da altri gruppi. La gente di origine africana recepì rapidamente il Tiple (ndr: strumento a corda), sostituì le marimbas e gli archi monocordi, utilizzò i tambores (tamburi) dei bianchi; il creolo mulatto inventò la clave ed il bongò.
![]() TAMBOR ARARÁ |
TAMBOR ARARÁ POLICROMATO |
|
![]() TAMBOR DE CANASTILLERO PARA OLOKUN |
|
I padroni insegnarono ai propri schiavi a utilizzare gli strumenti per quei pochi momenti di svago. Tutto questo, su per giù, si verificò anche negli altri paesi dell’area caraibica. I gruppi spagnoli, formati anche da indios e da meticci messicani accompagnavano feste e processioni. Simili ad essi erano in America centrale, in Colombia, in Venezuela e nelle Antille i gruppi e le piccole orchestre di teatro che qui animavano i balli popolari, le zarzuelas e le processioni. La marimba africana, il balafon, scomparve nelle Antille e continuò ad essere suonata nel sud del Messico, in Guatemala, in El Salvador, in Costa Rica, in Nicaragua, con caratteristiche che hanno fatto pensare che fosse aborigena.
Sicuramente fu lo strumento più radicato e originalmente diffuso di questi paesi, la cui sonorità e la cui pratica sono state abbracciate da vari esecutori, con musica popolare e da concerto.
Caso simile è quello delle Steel Bands, proprie delle popolazione anglofone dei caraibi, un caso molto particolare che non riuscirà a estendersi al di fuori del proprio ambito territoriale e ad arrivare verso zone più estese, transculturandosi con altri strumenti.
La musica con potenza di canto come: Canciones, Boleros, Bambucos, Habaneras e le Guabinas, oltre ad altri generi di canzoni, hanno trapassato le frontiere culturali e hanno costituito un patrimonio comune di varie nazioni. La loro provenienza è scomparsa in alcune occasioni o è stata assunta da altre persone. Da principio avvennero le migrazioni economiche o politiche. Molti artisti che venivano a Cuba frequentemente e a volte vi ci si stabilivano, o gli stessi cubani che emigravano in cerca di lavoro o come rifugiati politici, le cantarono in altri paesi dove furono accolti.
I messicani che arrivarono a Cuba nel XIX secolo o quelli che arrivarono successivamente alla rivoluzione messicana, portarono canzoni che si cantano oggi, conosciute come cubane. Anche le famiglie cubane che emigrarono a Mérida e Veracruz, o in Venezuela, portarono canzoni e danze che si eseguivano a Cuba. Così come in libri di canzoni e ricompilazioni messicane ci sono canzoni cubane.
I casi più rilevanti sono la canzone “Guarda esta flor” di Malesio Morales (messicano) e la canzone colombiana “El Soldado” di Suárez Garabito, conosciuta a Cuba e in America latina come “Lucero de mis noches”, che si canta a tempo di habanera sia a Cuba che in Spagna, dove entrambe le canzoni sono state riregistrate da vari autori. Alcune famiglie cubane, che emigrarono in Venezuela durante la guerra di Indipendenza, al loro rientro in patria cantavano ai loro bambini una canzone di origine venezuelana che diede origine all’inno nazionale della nazione stessa.
La nascita del disco e quindi della registrazione costituisce un fatto culturale di grande importanza per la transculturazione degli elementi musicali.
La diffusione dei cilindri per fonografo e dell’ortofonica, dapprima un lusso per pochi e in seguito un intrattenimento di uso popolare, permise una consistente divulgazione della musica di tutti i popoli verso tutti i paesi del mondo. Una cosa molto importante per tutti i cubani è che la prima agenzia distributrice di dischi per l’america latina sia nata a La Habana.
Le prime registrazioni di dischi di ortofonica si realizzarono con artisti cubani e furono canciones, danzones, puntos cubani.
“Cuba, come paese produttore di musica, di musicisti e di interpreti” racconta Díaz Ayala, “ebbe accesso vasto e immediato all’industria riproduttrice dell’audio, in maniera del tutto simile ad altri paesi latinoamericani”.
“A quell’epoca”, aggiunge, “le registrazioni si facevano negli Stati Uniti e per questo motivo gli artisti di tutta l’America latina si muovevano principalmente verso la città di New York.
Il flusso di musica cubana che arrivava per essere registrata e che dopo veniva diffusa in tutta l’america latina, specialmente nella zona caraibica, era davvero notevole”. Per questa ragione di mercato, la musica elaborata, quella dei nuclei urbani e rurali, fu conosciuta in tutti i caraibi e nei paesi latino americani. Lo scambio di artisti, alcuni dei quali “arruolati” per propri meriti, altri emigrati in cerca di lavoro, ci portò artisti latino americani, mentre artisti cubani andarono verso altri paesi.
Xavier Cugat, studente di violino, nato a Barcellona e vissuto a Cuba, partì con altri artisti cubani e si stabilì a New York, fondando un’orchestra per eseguire “rumbas e congas” da sala.
Nilo Menéndez, pianista, aveva in quella città un’orchestra di danzones; successivamente si dedicò a produrre dischi con canzoni cubane e messicane. Antonio Machín, Mario Bauzá, Frank Grillo e più tardi Pérez Prado, Los Matamoros, Miguelito Valdés, registrarono ed apportarono, da quel punto di espansione della musica latinoamericana e caraibica, tutta una serie di cambi e innovazioni che ci furono nella musica urbana elaborata durante vari decenni, fino agli anni quaranta, quando cominciano le registrazioni a Cuba.
All’isola arrivarano artisti di altri paesi caraibici che influenzarono i modi di espressione. Pedro Vargas e María Luisa Landín cantarono boleros che alterarono la metrica regolare e stabile utilizzata fino a quel momento. Il “tempo rubato” diventò grazie a loro una moda e rimase tale fino a Benny (ndr.Moré), che, per la sua esuberanza musicale (ndr.Benny si distinse proprio per le accelerazioni, dilatazioni e contrazioni del tempo musicale), venne soprannominato “Barbaro del ritmo“.
Sulla stessa lunghezza d’onda di Benny Moré fu il portoricano Daniel Santos, il cui modo di esprimersi influenzò molti cubani, e con loro un consistente movimento di strumentisti, fondamentalmente pianisti, che siglarono una serie di cambiamenti nella musica ballabile oltre che nel “movimento del feeling”, che rappresenterà un cambio totale per il genere canoro.
Ma prima devo fare altre considerazioni. Nello stesso modo in cui alla base del popolo sono più definiti gli elementi dello stile precedente, espressi in un modo singolare che definisce la propria identità, così nella musica urbana questi elementi sono più cosmopoliti in quanto più esposti a tutte le innovazioni e a tutte le influenze straniere. Il disco, la radio e gli altri media di comunicazione sono infatti più acessibili ai nuclei urbani per il loro maggior potere di acquisto. Storicamente nelle città si riscontravano gli aspetti più superficiali della musica per l’influenza da parte dei viaggiatori, degli artisti in tour, dei lavoratori in porti e nelle marinerie, che erano poi quelli che li trasportavano.
Oggi, la possibilità di maggiore comunicazione tra i musicisti produttori e il pubblico ricevente, ha permesso una omogeneizzazione della musica più vicina a questi mezzi di comunicazione.
E la salsa è un prodotto di questa patria caraibica e latino americana ampliata.
La salsa è il prodotto della somma di elementi caraibici che da epoche molto antiche iniziarono a transculturarsi e che provenivano da antecedenti fonti, comuni alla cultura ispanica e a quella africana.
E’ la somma delle innovazioni apportate dai popoli caraibici che si sono stabiliti nel cosmopolita quartiere latino di New York.
Non potremmo considerare questo quartiere come facente parte dell’area caraibica?
Di fatto si realizzò un fattore musicale ibrido di tutti questi paesi che fu accettato di buon grado e che identificò tutti i caraibi in questa nuova espressione.
Nella musica urbana, creata da autori come Nilo Menéndez (cubano), Palmerín e Lara, autori provenienti dallo Yucatan (guarda il link sulla Trova Yucateca), Bobby Capó e Rafael Hernández (portoricani), troviamo similitudini tali da poter essere considerate provenienti da uno stesso paese e dallo stesso autore.
Riscontriamo costantemente, da parte degli autori, l’intenzione intellettiva e cosciente di avvicinarsi a stili che possono diventare una moda, oltre che a modi di fare che si osservano in luoghi comuni.
Allo stesso modo le canzoni, i gruppi strumentali e vocali, le strumentazioni, l’uso degli strumenti elettroacustici, i tumbaos e l’espressione collettiva di un gruppo, possono essere associati, vuoi per l’interesse di relazionarsi, allo stare “al passo con i tempi”, al distaccarsi dal particolare per entrare in un panorama generale più ampio.
E possiamo vedere in un tracciato di oltre cinquant’anni come si sono evoluti i generi strumentali, grazie ai continui apporti, per arrivare fino ai giorni nostri.
Ringraziamo María Teresa Linares per averci concesso l’autorizzazione a pubblicare questo articolo.
HERENCIA TRANSCULTURAL EN LA MUSICA DEL CARIBE
por: María Teresa Linares
Luego de cinco siglos de la presencia hispánica en América, el resultado de un largo y constante proceso de transculturación nos ofrece hoy un panorama musical muy amplio en este Caribe que nos une, proceso que a la vez permite que reconozcamos nuestra imagen identitaria. En esta imagen están presentes los elementos culturales de las raíces aborígenes, los de las culturas de dominación y los aportes de la raíz africana, trasladados a la Isla mediante la trata esclavista.
Para que aquel proceso se hubiera producido, era necesario un choque de culturas en el que los elementos más significativos fueran asumidos, sumados a otros que mantenían su vigencia, su función específica dentro del grupo, sus elementos raigales. Es la eliminación natural de lo obsoleto, de lo pasado, y por lo tanto sustituible. El nuevo producto cultural, enriquecido, con nuevas funciones es aceptado por los grupos más progresistas, mientras que otro grupo — aceptemos el término conservador–, guardará sus tradiciones.
En la historia de la humanidad vimos cómo se sustituía el cuchillo de piedra por el de hierro que ofrecía mayor perfección en sus funciones, los cortes, sin embargo aquél quedaba para los servicios rituales. En la música vemos constantemente como evolucionan o cambian instrumentos, estilos, modos de hacer, pero permanecen algunos básicos, anteriores, como elementos tradicionales, aún pasados de moda, en ambientes donde la tradición se asienta.
Este proceso también es valorativo, perdurable, medular. Cuando no conserva ningún elemento antecedente se desarraiga hasta desconocerse. El hilo conductor, el elemento identificativo estable es el que da vida y razón de ser. Los elementos mutables, innovadores, pueden llegar a ser estables, o bien, desaparecer por carecer de los valores que le hubieran asegurado su permanencia. Otro factor importante será la re-valoración de los elementos tradicionales que al retornar su uso se enriquecen con algunos aportes asimilados en el trayecto que han recorrido.
Hay muchos factores que determinan que se produzca la transculturación. Fundamentalmente las relaciones de producción, desde la distribución de la riqueza y el trabajo, que propician las migraciones, hasta la diferenciación de estratos y ambientes sociales en que se sitúan al hombre pueblo y al hombre culto .
Argeliers León menciona tres factores fundamentales: el factor antecedente en el que sitúa los elementos constitutivos derivados del antecedente hispánico y el antecedente africano para Cuba. En el Caribe tenemos el factor aborígen, en ocasiones muy presente. Luego el factor urbano elaborado en el que se determina también un ambiente infraurbano
Luego compara la mezcla de aquellos elementos como integrados en una “marmita o cucúrbita de alambique” donde se mezclan los ingredientes varios de los cuales se destila un nuevo producto. “En corto tiempo, nos dice, se ha pasado por culturas desaparecidas, culturas asimiladas, superpuestas, pérdida de elementos, reaparición de otros, incorporación de elementos ajenos, renovación de aportes en diferentes momentos y proporciones” lo cual ocurre entre todos los ambientes de la población.(León, Argeliers, El paso de elementos por nuestro folklore, Cuadernos de Folklore, La Habana, l952. Este proceso de transculturación de elementos en todos los ambientes de la población es permanente, y de manera general ocurrió desde mucho antes de la presencia hispánica entre las culturas precolombinas.
Hoy, podemos comparar los distintos géneros musicales del Caribe entre sí y entre los factores históricos que les dieron origen, y en cada uno de los estratos de población que determinan los factores antecedentes y el factor urbano elaborado.
La importancia de la interrelación o choque entre los elementos de estilo antecedentes o elaborados se refleja en el simple análisis de una audición que corresponda al ambiente infraurbano de varios pueblos de este gran charco, en los que estén presentes los elementos antecedentes como la cuerda pulsada, el idioma y su estructura poética, y la percusión o las estructuras metrorrítmicas del antecedente africano. Los elementos que determinan los rasgos de identidad están, indudablemente presentes, por su expresión en sus modos de tañer, de impostar la voz, de alternar o variar sus estructuras.
Históricamente se trasladaron muchos de estos elementos a través de migraciones entre las islas del Caribe y las costas continentales de esta gran área. Los hombres que se trasladaban en pequeñas embarcaciones siguiendo, posiblemente la ruta de los arawacos, pero ahora en goletas de cabotaje que permitían una ida y vuelta, que en ocasiones nunca ocurriría, trasladaron su cultura, que se sumó a la de los pueblos cercanos de similar orígen. Este intercambio, suma o resta de elementos de estilo también ocurrió entre poblaciones de lenguas distintas,(inglés, francés, holandés) pero en menor grado y en períodos de tiempo más amplios al fundarse colonias o poblaciones endógamas en aquellos pueblos que recibieron sus aportes.
Las condiciones de dependencia económica en que llegaban estos inmigrantes determinaban el estrato poblacional al que se sumaban. Y digo llegaban por el fenómeno cubano, que como isla de mayor tamaño en las Antillas, y con mayor desarrollo agrario, atrajo un gran número de inmigrantes en busca de mejores condiciones económicas. Desde el siglo XIX fueron traídos como trabajadores asalariados en condiciones casi esclavistas muchos aborígenes y mestizos yucatecos. También vinieron clandestinamente muchos pobladores de las Islas Caimán y jamaicanos que se establecieron al sur de Isla de Pinos, en la que fundaron sus poblaciones, y desde ellas establecieron un comercio con embarcaciones de otras naciones, también clandestino. Otra índole de inmigrantes había venido de Haití a fines del siglo XVIII y principios del XIX por motivos políticos y económicos, pues aquella nación perdía, con su revolución, el comercio de café y azúcar. Además, el traspaso de la Louisiana fue causante de migraciones de franceses hacia la provincia de Pinar del Río y la de Villaclara, en la que se fundó por ellos la ciudad de Cienfuegos. Los elementos primarios traídos por los esclavos provenientes de Haití y los de la música europea traídos por sus amos y los franceses de la Louisiana aportaron nuevas sonoridades en la música del siglo XIX que ha llegado hasta hoy luego de más de un siglo de transculturaciones. La música cortesana europea también nos había llegado por la vía de los colonizadores españoles, con mayor incremento entre los siglos XVIII y XIX.
Luego del gran desarrollo azucarero producido en los primeros años del presente siglo en las zonas orientales de la Isla, la gran expansión agraria atrajo muchos inmigrantes de Haití, Santo Domingo, Puerto Rico, Barbados, Jamaica, Islas Caimán, los que también vinieron contratados con salarios misérrimos con los que no podían pagarse el regreso o llegaron indocumentados, estableciéndose poblaciones en las provincias donde se fundaron grandes centrales azucareros.
Durante muchos años, la práctica de sus ritos religiosos, de sus fiestas, tuvo un carácter endógamo, no se mezclaban con la población cubana y sus descendientes hablaban su propio idioma y aunque se relacionaban con el resto de la población y aprendían el español se mantenía una tradición muy apegada a sus antecedentes. Aún hoy, entre personas muy ancianas podemos encontrar algunas que nunca regresaron y no hablan español.
En la Isla de Pinos se mantienen algunos hijos y nietos de jamaicanos y caimaneros que recuerdan danzas antiguas, casi desaparecidas en sus lugares de origen como el mentó y el round dance, la primera, una antigua danza cortesana que se bailaba en Jamaica, y la segunda, otra danza de pareja enlazada a la que ellos le atribuyen el origen del sucusucu.
El idioma no ha sido óbice para la identificación de estos géneros con la población. Hay una canción cíclica infantil que reproduce los temas de un antiguo fox trot: When she comes around the mountain.
En otros grupos de habla inglesa, de Barbados, establecidos en el batey del Central Baraguá, en Camagüey, los hijos criollos hace pocos años cantaban antiguas canciones inglesas a varias voces, bailaban danzas coreográficas y calipsos, y luego transmitieron estas experiencias culturales a grupos del Movimiento de Aficionados. Esta integración, consideramos que se produjo luego de una nacionalización y reconocimiento ciudadano a aquellos inmigrantes clandestinos que colaboraron en el desarrollo azucarero al promulgarse la Ley de Seguridad Social al principio de la Revolución, y fue, además a nivel nacional. Ya la población de estos grupos se integra a la cubana y se amplían sus acciones culturales con las nuestras.
Hace también cerca de cuarenta años que existía en Guantánamo un grupo que ejecutaba plenas identificado como de inmigrantes puertorriqueños que participaron en las labores del Central azucarero más al este de nuestro territorio. Estos aportes nos han hecho suponer, y plantear como hipótesis, una presencia de elementos caribeños contribuyentes al son cubano o viceversa, ya que podemos establecer un paralelo entre una plena, un changüí, un sucu-sucu, un round dance con los sones primitivos que se cantaron en la Sierra Maestra y en la cuenca del Cauto
Para el factor urbano elaborado, y aún el factor infraurbano, las relaciones de comunicación que propicien una acción transcultural son más cercanas. La música de estos grupos, de origen europeo, utiliza instrumentos populares y de la orquesta que fueron asimilados por otros grupos. El negro asumió tempranamente el tiple, sustituyó las marimbas y arcos monocordes, utilizó los tambores de los blancos y el criollo mulato inventó las claves y el bongó. Los amos enseñaron a sus esclavos a ejecutar los instrumentos para sus ratos de solaz. Todo esto planteado grosso modo sucedió en otros países del área del Caribe Las bandas españolas integradas por indios y mestizos mexicanos acompañan las fiestas procesionales. En Centro América, Colombia, Venezuela, y en las Antillas son similares las bandas y las pequeñas orquestas de teatro que aquí amenizaron bailes populares, zarzuelas y procesiones. La marimba africana, el balafón, desapareció en las Antillas y permaneció al sur de México, Guatemala, El Salvador, Costa Rica , Nicaragua, con características que han hecho pensar que es aborígen. Es el instrumento más arraigado y original de esos países cuya sonoridad y práctica se ha desarrollado hasta poder ser interpretada por varios ejecutantes, con música popular y de concierto. Caso similar es el de las Steel bands de los pueblos anglófonos del Caribe, pero son aspectos particulares que no alcanzan a extenderse fuera de su ámbito y llegar a zonas más amplias transculturándose con otros instrumentos.
La música con potencia de canto: Canciones, boleros, bambucos, habaneras y guabinas más otros géneros de canción han traspasado fronteras culturales y han constituído un patrimonio común de varias naciones. Su autoría ha desaparecido en ocasiones o la han asumido otras personas. Se trasladaron primero por las migraciones económicas o políticas. Muchos artistas que venían de recorrido y a veces se quedaban, o gentes del pueblo que emigraban en busca de trabajo o como refugiados políticos las cantaron en otros países que los acogieron. Los mexicanos que llegaron a Cuba en el siglo XIX o los que posteriormente a la Revolución Mexicana llegaron a nuestras playas trajeron canciones que se cantan hoy como cubanas. También las familias cubanas que emigraron a Mérida y Veracruz, o a Venezuela, trajeron canciones y danzas que se ejecutaron en Cuba. Asimismo en cancioneros y recopilaciones mexicanas aparecen canciones cubanas.
Los casos más notables son la canción Guarda esta flor, de Melesio Morales, de México, y la canción colombiana El Soldado, de Suárez Garabito, que se ha conocido en Cuba e Hispanoamérica como Lucero de mis noches y se canta en tiempo de habanera, tanto en nuestro país como en España, en donde ambas han sido registradas por varios autores. Familias cubanas que emigraron a Venezuela durante la Guerra de Independencia, vinieron cantando a sus niños una canción de cuna venezolana que dio origen al Himno nacional de aquella nación.
Pero un hecho cultural de gran importancia para la transculturación de elementos musicales es la presencia del disco, de la grabación. La divulgación primero como objeto suntuario, luego como objeto de entretenimiento de uso popular, del fonógrafo de cilindros y de la ortofónica, permitió la mayor expansión de la música de todos los pueblos hacia todos los países. Y resulta importante para nosotros que se haya instalado en La Habana la primera agencia distribuidora de discos para toda Latinoamérica . Las primeras grabaciones de discos de ortofónica se realizaron con artistas cubanos, y fueron canciones, danzones, puntos cubanos. “Cuba, como país productor de música, músicos e intérpretes” dice Díaz Ayala–, tuvo acceso inmediato y bastante amplio a la industria reproductora del sonido, en comparación con otros países latinoamericanos”…”Por aquella época, agrega, las grabaciones se hacían en Estados Unidos, para lo cual los artistas de toda América viajaban principalmente a la ciudad de Nueva York. Era muy grande el flujo de música cubana que llegaba para ser grabada y que después circulaba por toda Latinoamérica, especialmente la cuenca caribeña…” Por esta razón mercantil, la música elaborada, la de los núcleos urbanos y rurales, fue conocida en todo el Caribe y más extensamente en toda Iberoamérica.
El intercambio de artistas, unos contratados por sus méritos, otros que emigraban en busca de trabajo, nos trajo artistas latinoamericanos y salieron hacia otros países artistas cubanos.
Xavier Cugat, estudiante de violín nacido en Barcelona y criado en Cuba, partió con otros artistas cubanos y se estableció en Nueva York, fundando una orquesta para ejecutar rumbas y congas “de salón”. Nilo Menéndez, pianista, tenía en aquella ciudad una orquesta de danzones y se dedicó luego a producir discos con cancioneros cubanos y mexicanos. Antonio Machín, Mario Bauzá, Frank Grillo; más tarde Pérez Prado, Los Matamoros, Miguelito Valdés, grabaron desde aquel punto de expansión de música latinoamericana y caribeña, toda una serie de cambios e innovaciones que ocurrieron en la música urbana elaborada durante varias décadas, hasta la del cuarenta que comienzan las grabaciones desde Cuba.
A la Isla llegaron artistas de otros países del Caribe que influyeron en los modos de expresión. Pedro Vargas y María Luisa Landín cantaron boleros que alteraban la métrica regular y estable en que se había cantado. El rubatto se puso de moda a partir de ellos y llegó hasta el Beny, quién en su exageración alcanzó el apelativo de “Bárbaro del ritmo”. Coincidente con el Beny fue el puertorriqueño Daniel Santos, de cuya expresión aprendieron muchos cubanos, y con ellos un fuerte movimiento de instrumentistas, pianistas fundamentalmente, marcaron una serie de cambios en la música bailable y otro, el movimiento del feeling, que daría un vuelco a los estilos cantables.
Pero antes debo hacer otras consideraciones. Del mismo modo que en la base del pueblo están más definidos los elementos de estilo antecedentes, expresados de un modo singular que define su identidad, en la música urbana estos elementos son más cosmopolitas al estar expuestos a todas las innovaciones e influencias foráneas. El disco, la radio y los demás medios de comunicación son más accesibles a los núcleos urbanos por su mayor poder adquisitivo. Históricamente en las ciudades era donde se encontraban los aspectos más superficiales de la música por la afluencia de viajeros, artistas en jiras, trabajadores de los puertos y la marinería, que eran los que la transportaban.
Hoy, la posibilidad de mayor comunicación entre los músicos productores y su público receptor, ha permitido una homogeneización entre la música de las capas más cercanas a estos medios. Y la salsa es un producto de esa patria caribeña y latinoamericana ampliada.
La salsa es el producto de la suma de elementos caribeños que desde muy antiguo se estuvieron transculturando y que provenían de antecedentes comunes de las culturas hispánica y africana. La suma de innovaciones aportadas por caribeños establecidos en el cosmopolita barrio latino de Nueva York ¿No podremos considerar que este barrio es también es una parte del área del Caribe? Realizó un hecho musical híbrido de todos estos países que se aceptó y alto grado, identificando todo el Caribe en esta nueva expresión.
En la música urbana creada por autores como Nilo Menéndez, cubano, Palmerín, y Lara, autores yucatecos; Bobby Capó y Rafael Hernández, puertorriqueños, encontramos tal similitud que podemos considerarlas de un mismo país y autor. Constantemente vemos la intención intelectiva y consciente de los autores de acercarse a estilos que se imponen en la moda, de acercarse a modos de hacer que se escuchan en lugares comunes. De igual manera las canciones, los grupos instrumentales y vocales, las instrumentaciones, el uso de instrumentos electroacústicos, los tumbaos y la expresión colectiva de un grupo, puede ser muy similar entre sí por el interés de relacionarse, de estar “al día”, de salir de lo particular a lo general en un panorama más amplio.
Y podemos ver en un trazado de más de cincuenta años cómo han evolucionado géneros instrumentales recibiendo aportes para llegar al trazando del camino hasta hoy.
tratto da El Diario La Prensa di New York 1961 e dal portale Herencia Latina
a cura di ©JOSE TORRES CINTRON.
Traduzione a cura di Daikil
“¡Señores qué pachanga!..¡Me voy pa’ la Pachanga!…¡Señores qué Pachanga!…¡Me voy pa’ la Pachanga!”
Eduardo Davidson.
Questo interessante articolo sull’origine della pachanga fu pubblicato dalla rivista Nuestra Historia de “El Diario La Prensa” di New York. Si tratta di alcune dichiarazioni fatte da Arsenio Rodríguez e pubblicate il 30 aprile 1961. (Herencia Latina)
C’è un nuovo ritmo a New York che sta facendo impazzire gli amanti del ballo. La pachanga, il movimentato ritmo i cui fedeli interpreti sono oggi due giovani direttori di orchestra – Charlie Palmieri e Johnny Pacheco – , rispettivamente portoricano e dominicano.
La pachanga ha trasformato questa città ed ha fatto impazzire migliaia di persone che si sono sentite attratte da un ritmo così coinvolgente. Quello che è cominciato come un ballo “da pazzi” in meno di due anni si è propagato in tutti i locali notturni della città fino a contagiare gli amanti della musica brava.
Già non si sentono più frasi come “Andiamo a rumbear” oppure “si va a mambear”. Ora tutti vanno a pachanguear, i giovani, gli adulti e i bambini. Si balla la pachanga nelle feste famigliari del Barrio e di Long Island, del Bronx e di Manhattan, come anche in tutti i club notturni della città, dal più umile al più elegante.
C’è una discordanza di idee sull’origine di questo movimento. Senza dubbio i più autorevoli direttori d’orchestra della città, tra cui il popolare Machito Juanucho López, Belisario López e Fran Ugarte, concordano che la pachanga è una combinazione di ritmi provenienti dal merengue, dal son montuno, dal mambo e dagli altri ritmi tropicali più movimentati.
Di una cosa sono tutti sicuri, che lo stile col quale i giovani newyorkini ballano la pachanga è originale del Bronx. Il brinquito (passo, ndr) tipico della pachanga non è stato importato da nessun paese. Ha avuto origine qui.
Secondo le ricerche che abbiamo fatto, tutto pare indicare che il ritmo che sta causando furore in città, nacque qui dalle orchestre di Fajardo e di Aragon, le quali giunsero in questa città nel 1959. Queste orchestre introdussero il ritmo ma non prese subito piede.
Nel teatro Puerto Rico del Bronx, venerdì 12 maggio del 1961 si celebrerà “La Prensa’s Pachanga Nite” per presentare le coppie che si contenderanno lo scettro de “I Re della Pachanga”. I partecipanti a questa serata avranno la possibilità di vedere le coppie in azione e di sentire questo ritmo interpretato dai massimi esponenti.
“¡Señores qué pachanga!..¡Me voy pa’ la Pachanga!…¡Señores qué Pachanga!…¡Me voy pa’ la Pachanga!”
Così ripete il coro di una delle pachangas più popolari del momento, e così ripete il coro nella Gran Pachanga (festa tipica, ndr) che ha causato la serie di articoli che “La Stampa” ha cominciato a pubblicare da domenica (2 aprile del 1961), firmati da José Torres Citrón.
Gli articoli si sviluppano attorno ad una serie di ricerche realizzate da Torres Citrón e ciò che ne viene fuori riguardo a questo ritmo ed a questo ballo così popolare in questi giorni sono stati dettagli trascurati da chi, pur animato dalle migliori intenzioni, ha creduto di conoscere la realtà sulla pachanga. Ma si dà il caso che qui venga intervistato il grande musicista cubano formidabile autore di musica popolare, quella dei ritmi calienti, sonero veterano, uno degli uomini cui è stato attribuito il titolo di “Re del Ritmo”, l’unico Arsenio Rodriguez il quale spiega dettagliatamente come la pachanga sia nativa ed abbia la sua culla nei campi dell’indomito Oriente (Santiago di Cuba).
“La storia torna a ripetersi. Mi hanno tolto il mambo e adesso vogliono levarmi il montuno”, afferma Arsenio. “ Però, prima di entrare nelle spiegazioni della verità sulla pachanga, lasciatemi chiarire che non ho nulla contro Charlie Palmieri, né contro Pacheco (che sono segnalati come i più importanti con le loro rispettive orchestre per i ritmi pachangueros). Entrambi hanno la mia stima. Con questo resta inteso che il mio unico obbiettivo è quello di segnalare dettagli importanti sul ritmo chiamato pachanga.”
“La pachanga – dichiara Arsenio – nasce a Cuba. Ha la sua culla a Santiago di Cuba. Un saggio una volta disse: ‘A questo mondo nulla scompare, tutto ritorna al suo posto’. Questo ritmo che oggi si riconosce come pachanga è nato in Oriente, in una località chiamata El Pilón. All’inizio si chiamava chivo (“capra”).
Si suonava con un tres, le cui corde erano di interiora di juntia, che si mettevano ad essiccare e poi venivano utilizzate per il tres. Una latta di carburante fungeva da bongó o tumbadora; un tino con un cavo ad uno dei lati faceva le veci del contrabbasso (si colpiva) e due pezzi di legno che furono chiamati claves erano gli strumenti originali per eseguire quella che oggi chiamiamo pachanga”.
“I primi chivos che furono suonati – continua Arsenio – , dicevano: ‘Yo no como corazón de chivo camará, porque el chivo me indigesta el buche’… oppure: ‘La pisé, la pisé, la pisé, mamamá’, ‘Compay contunto que te coge el día’. Questi versetti erano cantati dalla prima voce, quasi sempre quello che suonava il tres, mentre i ballerini facevano il coro”.
Arsenio Rodriguez però dice che il merengue non smette mai di avere una piccola influenza nella pachanga originale, e spiega: “Nelle colonie per la raccolta della canna di Cuba – in particolare là nella provincia orientale – si riunivano molti Haitiani, Giamaicani, Portoricani, uomini di lavoro che venivano a Cuba per il taglio della canna durante il raccolto. Per nessuno è un segreto che il merengue nasce da un ritmo haitiano giunto a Santo Domingo”.
“Il chivo originale prese a volte il nome di “Capetillo”, altre di son montuno ed oggi si chiama pachanga. La pachanga – assicura Arsenio – è una composizione musicale ballabile, composta di son montuno e zapateo cubano (danza folklorica basata sul battito dei piedi, ndr). Dal momento che la maggior parte dei giovani a New York è portoricana, così posso dire che il chivo se fosse suonato là a Puerto Rico, sarebbe il seis chorreao (ballo di coppia tipico dei campesinos portoricani, molto veloce, ndr)”.
“La miglior dimostrazione che la pachanga sarebbe il seis chorreao di Puerto Rico l’abbiamo nelle interpretazioni di ballo. E’ un ritmo che va nel sangue ed i Portoricani lo interpretano per intuizione, eseguendo una combinazione di zapateo cubano e son montuno”.
“Non è meno certo – prosegue Rodriguez – che la prima pachanga composta è legata al merengue, come ho già detto in precedenza. Il testo di questa pachanga dice: ‘Señores qué Pachanga, me voy pa’ la Pachanga’ secondo un modello molto simile al merengue. ‘A la Rigola yo no vuelvo más’ ha un ritmo simile. Questa somiglianza fra la pachanga ed il merengue è stata la causa dell’accoramento di Pacheco, divenuto un magnifico interprete di questo ritmo cubano proveniente dal chivo e dal son montuno che oggi è diventato così famoso a New York”.
“Subito ci si è allontanati da questa prima pachanga e si è arrivati alla sua origine, il chivo ed il son montuno”. Questi pezzi lo confermano: ‘Dile a Malcolina que te toque el guiro’ è una copia di ‘Dile a Catalina que te compre un guayo’, solo con un paio di note cambiate. Óyeme Mulata è lo stesso son montuno di Cangrejo Fue A Estudiar.
ASCOLTA
Tra i sones montunos di Arsenio abbiamo: ‘El reloj de la pastora’, ‘Se acabó los guapos en Yateras’, ‘Dame un chachito para guele’, ‘Tocoloro pájaro que nunca vuela’ e ‘Yo no engaño a las nenas’. “In questi sones montunos, oltre agli strumenti già citati dei conjuntos, vengono affiancati il flauto ed un violino e nasce la pachanga.”
Fu Arsenio Rodriguez a portare il son montuno a New York. Arsenio arriva nel 1927 dalla Playa de Marianao, a La Habana, per imporre questo ritmo. “Ciò che un tempo si chiamava capetillo, venne rinominato mambo, più tardi cha-cha ed ora, stanchi di tanti accordi dissonanti con la possibilità di sentire altri ritmi, hanno trasformato quello che si chiamava chivo con meno armonizzazioni rispetto al son montuno: la qual cosa è stata la mia grande caratteristica come interprete”.
“Quando lo chiamai mambo lo ha adottato Pérez Prado e quando sono tornato a chiamarlo son montuno, hanno aggiunto flauto e violino. E’ stato ripreso da Fayardo e Argon ed ultimamente da Palmieri e Pacheco, e tutto questo nel Bronx. ¡Qué cosas tiene la Pachanga!”
“E per concludere dirò – dopo aver chiesto perdono per l’immodestia – che io, Arsenio Rodriguez, sono stato il padre della creatura ora chiamata pachanga.”
Quando il reporter si congeda da Arsenio, dopo aver sentito la sua relazione sul chivo, il capetillo ed il son montuno convertito in mambo e più tardi in cha-cha, ai nostri orecchi rimangono come un’eco la musica e le parole di: “¡Señores qué Pachanga!…Me voy pa’ la Pachanga!…¡Señores que Pachanga!…¡Me voy pa’ la Pachanga!”.
Cortesia di www.herencialatina.com
Edit 09 settembre 2012
G R A Z I E a tutti voi ragazzi, sto ancora finendo di leggere i vs. commenti su facebook e sono veramente senza parole, anche perchè quelle le avete spese tutte voi. Ieri è stata l’ennesima dimostrazione di quanto la passione possa superare gli ostacoli ed il buon Tommy ne sa qualcosa… :D. Per sostituirlo ho dovuto correre per due dalle 17 di sabato 8 settembre alle 6:40 del giorno successivo ma ne è valsa la pena e nonostante sia ancora distrutto, sono strafelice perchè alla fine la nostra amata musica e la voglia di stare insieme hanno vinto ancora una volta.
Ieri il nostro Tommy Salsero (soprannominato il regista per via della carrozzina sulla quale ha passato la serata) ha dovuto guardare le tante ballerine che gli chiedevano cosa fosse successo e solo grazie allo loro coccole (e se lo avesse fatto apposta??? :D) è riuscito a superare la tristezza di non poterci ballare insieme.
I ns. eventi vivono anche di queste situazioni: la musica è una parte importante ma non basta, ci vuole tanta passione, spirito di sacrificio (penso anche e soprattutto a chi si fa centinaia di chilometri per vivere questo evento di un giorno nonostante la crisi di questi tempi), voglia di condividere un momento che rimarrà impresso per sempre nei propri ricordi.
Quindi non posso non ringraziarvi ancora una volta cari amici malati di sooooooooooooolo salsa classica, TUTTI indistintamente, perchè non c’è differenza fra ballerini, dj, maestri di ballo, gestori e organizzatori, alla fine quel che conta è portare avanti un’idea che è nata dalla passione di qualche amico in un forum di salsa e che a distanza di quasi DIECI anni continua a…vivere più forte che mai.
Appuntamento al prossimo anno per la festa dei 10 anni LaSalsaVive, intanto, nell’attesa, vi diamo appuntamento al 21 settembre con la Charanga Moderna a Bergamo nel nuovo locale dell’amico Vannydj Capoferri.
Ed ecco le prime foto!
Vai alle foto 9 compleanno LaSalsaVive by redazione LSV
edit 22/9/12
E finalmente ecco anche i video!!!:
Finalmente ci risiamo! Anche quest’anno LaSalsaVive festeggia il compleanno al Don Chisciotte di Galliera (BO), questa volta il nono!
L’evento degli eventi, come dice qualcuno, semplicemente “l’evento” o “la madre di tutti gli eventi” di salsa classica… 🙂 troppo buoni, ci fa un immenso piacere leggere questi commenti e ogni anno cerchiamo sempre di fare qualcosa in più per rendere la serata al di sopra delle aspettative (che sono sempre molto alte) 🙂
Anche quest’anno riproporremo l’ormai collaudata formula (il Galà della Salsa Classica alla sua settima edizione) dei dj da ogni parte d’Italia e qualche ospite anche dall’estero, che suoneranno in coppia su tre piste.
Inoltre ci sarà la quarta edizione della mostra dei vinili di salsa classica con collezionisti e appassionati da ogni parte d’Italia.
Quindi, se ami la salsa classica e vuoi passare una notte completamente diversa dalle altre, l’8 settembre 2012 non puoi mancare, ti aspettiamo per il nostro 9 compleanno!
E come ogni anno c’è la possibilità di cenare dentro il locale! Ecco il menù che potrete degustare al Don Chisciotte previa prenotazione (Max Chevere (tel. 392.1047764) o Tommy Salsero (tel. 392.1047764) e vi daremo tutti i dettagli).
PROGRAMMA
Ore 17: Apertura mostra/scambio del vinile. (la mostra è aperta al pubblico gratuitamente)
Ore 20: CENA:
pennette tricolore
grigliata mista di carne con patate al forno
creme caramel
caffè
acqua e vino
Per le persone con problemi alimentari tipo celiaci c’è la possibilità di avere un menù specifico, vi preghiamo solo di farcelo sapere per tempo in modo da non creare problemi alla cucina. GRAZIE!
Ore 23: Inizio pre-serata con i dj
Questi i dj invitati che hanno partecipato: (in ordine alfabetico)
Andrew Rusig (Gorizia) – Sesar Dj (Napoli)
Antonio Fei (Avellino) – Francesco “Frankaly Lavoe” (Napoli)
El Temba (Los Calvos) (Genova) – Norberto Rios (Ascoli)
Fabio El Barrio (Bologna) – Ivan El Conde (Taranto)
Giancarlo Coppo – Paolo Falzetti (Salsa 7o y Guaguanco) (Torino)
Max “El Bacán” (Ancona) – Pio4te (Roma)
Mascalzone Latino (Lucca) – Claude dj (Milano)
Pupo (Milano) – Fabrizio Zoro (Milano) – Franco Monte (Milano)
Vannydj Capoferri (Bergamo) – Paolo “El Chino” (Bolzano)
Altri dj in attesa di conferma…
Ore 24: Presentazione e partenza con i dj a coppie che si alterneranno nelle due postazioni.
Ore 02: Torta di compleanno Lasalsavive!
La festa andrà avanti fino all’alba e saranno dispensati brioche e cappuccino ai sopravvissuti alla maratona!
Per avere un’idea dell’evento:
Ed ecco alcuni video della scorsa edizione a cura di Pietro Naldi:
Per scaricare il banner ufficiale del 9 compleanno LaSalsaVive clicca qui:
HOTEL CONVENZIONATI:
————————————————-
HOTEL PAMELA
Hotel Pamela – Via Galliera Sud, 74 – 40018 San Pietro in Casale (BO) Italy
Tel. +39 051 810754 (6 Linee) – Fax +39 051 817202 info@hotelpamela.it
Quando prenotate ricordate di dire convenzione LASALSAVIVE, persona da contattare: Gianni.
Tariffe convenzionate:
Singola: 45 EURO con prima colazione (caffè,succo e brioche)
Doppia o matrimoniale: 52 EURO (caffè,succo e brioche)
Tripla: 67 EURO (caffè,succo e brioche)
Quadrupla: 79 EURO (caffè,succo e brioche)
————————————————-
HOTEL LUNA BLU di CASUMARO (FE)
44041 Casumaro (FE) – Via Del Lavoro, 1/B
Tel.051 6849994
http://www.hotellunablu.it/info.php
Mappa:
http://www.hotellunablu.it/cartina.php
L’hotel sarà chiuso dal 1 al 31 Agosto, per prenotare potete inviare un sms al N. 338.8523858 (Silvia) inviare una mail a info@hotellunablu.it oppure telefonare dopo il 1 Settembre.
Quando prenotate ricordate di dire convenzione LASALSAVIVE.
—————————————————
HOTEL GALLIERA
40010 Galliera (BO) – Via Dante Alighieri, 2/C
051 812148
http://www.hotelgalliera.it/
Mappa:
http://www.hotelgalliera.it/carta.html
Camera singola 34 Euro
Camera doppia 50 Euro
Camera tripla 65 Euro
Quando prenotate ricordate di dire convenzione LASALSAVIVE.
——————————————————-
Come arrivare al Don Chisciotte:
1. Prendere A13 (direzione Padova ).
2. Uscire ad Altedo (uscita dopo Bologna Interporto e prima di Ferrara sud).
3. Seguire per San Pietro in Casale (girando a destra usciti dal casello continuare 4 km).
4. All’incrocio prima di entrare a San Pietro girare a destra verso Ferrara.
5. Dopo circa 50 mt a sinistra e seguite le indicazioni “POGGETTO” “MASSUMATICO”.
6. Percorrere questa stradina senza mai lasciarla, oltrepassando “MASSUMATICO”.
7. Dopo circa 8 km troverete le indicazioni “Sant’Agostino” (girate a sinistra poi a destra).
8. Dopo circa 1km sulla destra troverete il Don Chisciotte.
Don Chisciotte
S. Agostino – Galliera (BO)
Via Confine, 1 –
Info: 051/814340
Vai alla mappa:
Parte 5 di 6
Alla fine degli anni ’70, la vita di Hector Lavoe aveva preso una direzione pericolosa. La sua sfavillante carriera da solista lo portava di nuovo agli eccessi. Un ritmo di lavoro vertiginoso, con più di due dischi registrati all’anno, sommato all’abuso delle droghe l’obbligano a recludersi in cerca di salute mentale. Durante la prima decade degli ’80, con più di 30 dischi registrati al suo attivo, Hector Lavoe continuò ad essere un cantante rinomato grazie a produzioni come “Que sentimiento” e “Reventò”, o le sue presentazioni con la Fania All Stars. Hector si era convertito nel “cantante de los cantantes”, però non potè scappare dal suo fatale destino, la vita lo aveva condannato, per ogni grande successo una tragedia lo aspettava per assalirlo.
Priscila: “Lui venne al mondo per possedere cose e soffrire, per fare felici altre persone però lui stesso non lo era. Lui fece felice molta gente però lui non poteva raggiungere la felicità.”
Nel febbraio del 1987 il suo appartamento nel Queens si incendiò obbligandolo a saltare giù, insieme a sua moglie, per potersi salvare la vita. Solo pochi giorni dopo sua suocera, della quale si burla nella canzone “Soñando despierto” fu accoltellata nella sua terra natale, Portorico.
Richie Viera: “Per Hector questo fu molto triste perchè a parte tutto Hector si era burlato di sua suocera, però era una burla sana, in una canzone diceva “se non avessi più mia suocera” o qualcosa del genere, e dopo gli accoltellano brutalmente la suocera… per lui fu una cosa molto impressionante e da lì mai più ha suonato quella canzone.”
Però il colpo più crudele di tutta la sua esistenza accadde solo un mese dopo. Il 7 maggio 1987, Tito Junior, il minore dei suoi figli, morì con un colpo di pistola mentre giocava con le armi insieme ad un suo amico.
Tito Nieves commenta: “Quello che lo distrusse, che gli uccise il cuore, fu la morte di suo figlio. Lì morì Hector Lavoe. Hector Lavoe fu presente in carne ed ossa, credo più o meno per altri 8 o 9 anni, però la sua anima morì.”
Il colpo fu letale per Hector. Nonostante ciò i suoi promotori seppero trovare un “elisir” per quel fatidico momento, registrare un nuovo album. Nel 1988 “Hector Strikes Back” ricevette una nomination ai Grammy come album Latino, la notizia era uno scherzo del destino.
Hector aveva un nuovo problema da affrontare, l’AIDS.
Priscila: “Io sapevo che Hector era in ospedale e sapevo quello che aveva e anche lui lo sapeva ma non lo accettava. Non mi ha mai detto io ho questo, non lo accettò mai, almeno davanti a me non lo accettò. Io non gli ho fatto mai capire che lo sapevo. Quello che faceva era passare il tempo a ridere e raccontare barzellette e sembrava stesse bene.”
Fu questa voglia di vivere quella che continuò a dare impulso alla sua carriera, però il suo stato d’animo era troppo volubile, qualsiasi imprevisto potrebbe essergli letale. Il 28 giugno 1988 Hector Lavoe ritorna a Portorico per offrire un concerto come parte della festa patronale di San Juan.
Richie Viera: “Hector fece qualche concerto in Bayamon la cui promozione fu mal gestita, coincise anche con altri eventi, ci furono problemi di solvenza dei produttori ai tecnici del suono e delle luci, con tutti.”
Mentre si intonava “Mi gente” uno degli organizzatori staccò luci e audio, l’umiliazione fu troppo grande per lo stato emozionale nel quale si trovava. Una lite con Puchie al ritorno in Hotel fu il colmo. Il giorno dopo tutti i giornali annunciavano la notizia che Hector Lavoe si era lanciato dal nono piano dell’hotel Regency, tentativo fallito di finire la sua vita.
Priscila: “Lui mi disse che era in piedi sul balcone e vide il figlio che gli diceva, vieni papà, vieni. Non so se era una cosa mentale sua o quello che fosse.”
Richie Viera: “Hector, per una condizione che aveva maturato anteriormente quando ebbe un’intossicazione a causa delle droghe, era rimasto in un flash-back, a volte ti salutava e lo dimenticava e ti salutava tre volte.”
Bobby Cruz: Mi misi in contatto con lui, gli dissi, Hector non puoi continuare così, ti ammazzi, non muori perchè Dio ha dei piani per te, io ti voglio portare nel mio programma, lì ti aiutiamo, uscirai e continuerai a cantare di nuovo. Però c’erano persone a lui vicine che avevano timore che portare Hector nel programma equivalesse a convertire Hector in un “fanatico religioso” come Richie, come Bobby e quindi gli affari sarebbero sfumati.
Fine quinta parte.
Parte 6 di 6
Hector sembrava essere un uomo di ferro, a prescindere da tante tragedie poteva ancora mantenersi in piedi. Dopo quello che successe nell’hotel Recency si azzardò a dare un recital nella 156esima strada nel Bronx, durante l’estate del 1989. Un pubblico fedele fu testimone della degradazione fisica e morale che soffriva il cantante. Però quello che seguì quella emotiva presentazione fu una profonda fase di solitudine nell’ospedale di ricerca Sophie & W. Cohen di New York.
Tutti quelli che una volta dicevano essere suoi amici lo avevano abbandonato, Hector ormai non poteva più fabbricare soldi.
Priscila: “Hector non se ne lamentò mai, ciononostante i pochi visitatori percepivano il suo disagio, e ne erano dispiaciuti.”
Tito Nieves: “Si dimenticarono di lui. Io vivevo a mezzo miglio da casa sua e condividevamo molte cose, andavo con lui, lo portavo in auto visto che non poteva più guidare, dopo in ultimo quando stavamo in ospedale. Si sentiva perfino solo.”
Nel marzo del 1993 capitò un fatto che diede fastidio ai suoi parenti più stretti, la sua compagnia discografica lo sottopone ad un concerto di ritorno, con mezzo viso paralizzato, zoppo ad una gamba, potendo appena cantante, Hector realizza quella che sarà la sua ultima presentazione.
Roberto Roena, collega ed amico, ricorda: “Lui cantò con noi e fu troppo… fu eccessivo portarlo lì. Non potei suonare, personalmente non ce la feci a suonare, perchè non mi piacque, non mi piacque.”
Tito Nieves: “Lo fecero salire su un palcoscenico in New Jersey, lo fecero più che altro per lo spirito, la morale della gente però lo videro così male. Io non l’avrei mai mostrato così di fronte al pubblico, avrei lasciato la sua immagine di come tutti lo conoscevano.”
Cheo Feliciano: “Io volevo che si desse un periodo di tempo ad Hector affinchè potesse dire quello che ci aspettavamo da lui e a noi fece male il cuore vedere che lui non poteva esprimere quello che sentiva dentro.”
Hector visse l’agonia della sua malattia nel più terribile abbandono. Mentre il mondo che una volta gli apparteneva seguiva il suo corso, il cantante giaceva solo in un appartamento a New York. Il corpo di Hector, sfortunatamente, non era così forte quanto la sua anima, la sua condizione si aggravò obbligando i familiari a ricoverarlo all’ospedale Saint Clare di New York. Solo un giorno dopo, il 29 giugno 1993, “el cantante de los cantantes” morì per un attacco cardiaco.
FINALE
Già non c’erano più dischi da aspettare. Quella moltitudine allegra e festiva, che fu il suo pubblico, lo accompagnò al “son” della sua musica. Ismael Miranda, amico e collega, intonò le ultime parole in suo onore.
Willie Colon, il collega dei suoi primi passi nella musica, era in tournée in Spagna, e racconta: “Stavo suonando a Siviglia, ero nel camerino quando me lo dissero e non ebbi tempo, dovetti uscire a cantare e nel mezzo della canzone ebbi un nodo e la gola si rifiutava di continuare, mi addolorò molto.”
Era morto l’uomo, “el chico malo de la salsa”, “el rey de la puntualitad”, “el cantante de los cantantes”.
Papo Lucca dice: “Era il cantante della gente umile, di tutti i paesi Latino-Americani.”
Richie Ray, cantante ed amico, dice: “Un talento straordinario, un essere umano ricco, una persona con molto cuore, molta anima e molto cuore.”
Ismael Miranda racconta: “Ci lasciò molto, anche se adesso non è più tra noi però la sua musica continua, la sua musica vive.”
Anche se Hector Lavoe lascio un vuoto insostituibile nel mondo della musica latina, il suo “pregon” ci accompagna ancora.
Il suo legato fu raccolto da David Maldonado in un’opera teatrale, che convertì la sua vita in arte, intitolata “Quien matò a Hector Lavoe”1.
Domingo Quiñones commenta : “Nell’opera si tratta di piangere e ridere perchè così era la vita di Hector, non ebbe mai un equilibrio perfetto, non era mai neutrale, era o ridere per non piangere o piangere.”
Hector Lavoe, “la voz”, un “sonero”.
Ruben Blades racconta: “Aveva un potere, un potere però molto forte, molto di “Barrio” e anche un forte senso dell’umorismo.”
Un uomo che a prescindere dalla sua solitudine rallegrò la vita di molti con il suo canto.
Cheo Feliciano dice: “Hector continua ad essere “el duende, el duendecillo”2 che Dio dotò di un talento incredibile e di uno spirito meraviglioso.”
Un ragazzo innocente che perse la direzione nel labirinto della fama.
Bobby Cruz commenta: “Non facciamo tanti giri, se avessimo potuto portarlo nel programma, Hector sarebbe ancora qui a cantare“.
Un uomo del quale non è possibile dimenticarsi.
Richie Veira: “Per me Hector è ancora vivo, per il suo legato musicale che sta lì e… “Chi ha ucciso Hector Lavoe?” … le circostanze della vita.”
Il suo “soneo” è una leggenda nel mondo della salsa, perchè lui sarà sempre “EL CANTANTE DE LOS CANTANTES”.
Note:
1 Letterale “Chi ha ucciso Hector Lavoe”. (N.d.T.)
2 Duende significa folletto. (N.d.T.) Fine sesta e ultima parte.
Parte 3 di 6
Con il successo arrivarono gli amori. Alla fine del 1967, dopo il lancio del suo primo album insieme a Willie Colon e la sua orchestra, Hector Lavoe conosce Carmen Castro, una fan che assistette ad una presentazione presso il Conaughey Hate Garden Globe di New York. La relazione divenne formale nel Gennaio del 1968, nel febbraio dello stesso anno Carmen era già incinta. Il 30 ottobre 1968 nasce il suo primo figlio, Josè Alberto Perez. Due mesi dopo, giusto la notte del battesimo, Hector ricevette la chiamata di un’altra fan, Nilda Romàn, meglio conosciuta come la “Puchie”, era incinta. Hector era il padre. Mentre la sua vita personale si convertiva in un caos, la coppia Willie Colon/Hector Lavoe, cominciava ad avere popolarità.
Lo stato di gravidanza di Puchie lo portò a contrarre matrimonio nel 1968, ma il figlio non arriverà fino a quasi un anno dopo, il 25 settembre 1969. Il suo nome è Tito Junior Perez.
Pappo Lucca, compagno e amico ricorda: “Nel suo matrimonio non ebbe mai una buona relazione con la signora, lei era un pò forte, dominante e a volte lo insultava, anche pubblicamente. Di fatto lui non dava importanza a tutto ciò.”
Bobby Cruz: “Deve aver sofferto molto, chi può dirlo, perché dei due il marito sembrava lei, figurati, sembra facile a dirsi ma prova tu a far tutto ciò che vuole la tua fidanzata e dimmi come ci si sente… lo sai!”
Oltre a Héctor Lavoe e Willie Colón, molte altre orchestre si erano affermate come rappresentative del nuovo movimento musicale: la Salsa. Nel 1970, la loro casa discografica (ndr: la Fania) decise di sfruttare la loro reputazione per unirle in un solo gruppo dando luogo ad un fenomeno ancor più grande: la Fania All Stars.
Ismael Miranda: “Quando ci sono molti artisti insieme, anche se tutti siamo come fratelli, molte volte si ha un pò di tensione, chi va per primo, chi per secondo, però Hector ed io siamo sempre riusciti a pacificare tutti, parlare con le persone, facevamo qualcosa di divertente in modo che tutto si calmasse.”
Cheo Feliciano: “Mi ricordo che mi ero addormentato sulla sedia e i miei amici chiesero i cosmetici e i trucchi a Celia Cruz e mi truccarono. Allora quando mi svegliai attraversai il corridoio per andare in bagno e mi accorsi che tutti mi salutavano sorridendo; hey Cheito, pensai, come sono simpatici i miei amici oggi, fino al momento in cui, arrivato in bagno, mi guardai.Mi venne una rabbia immaginandomi chi l’aveva fatto.”
Come membri delle stelle di Fania, Hector e Willie registrarono più di 15 album, viaggiarono in tutto il mondo, prendendo parte anche ad eventi in Africa e girarono due film: Our Latin Thing e Salsa.
Le droghe si convertirono allora nella scappatoia che Hector trovò per sostenere più di sette concerti a settimana. Le conseguenze si tradussero in una forte instabilità, Hector era un ritardatario cronico e spesso arrivava a insultare il pubblico, situazione che lo porterà a passare 4 giorni in carcere dopo un concerto nel colosseo di Guayaquil, in Ecuador, per offesa alla morale. A lungo andare questa ribellione si convertì in uno stile proprio al quale tanto i fans che i compagni finirono per adattarsi.
Priscila: “Se ne usciva con le sue cose, diceva quello che voleva e al pubblico questo piaceva.”
Pappo Lucca: “Hector, a volte non si presentava nemmeno, ma il pubblico arrivava sempre a vederlo e ogni volta, anche se se ne andavano via scoraggiati perchè lui non c’era, il giorno dopo tornavano per vederlo.”
Nel 1971 Roger Dosson, dj di uno show radiofonico, battezza Hector Lavoe come il ragazzo “Malo” (cattivo) della salsa, però questa critica viene sfruttata dai suoi promotori che la trasformano in una trovata pubblicitaria. La salsa interpretata da Lavoe comincia ad essere chiamata Salsa Brava.
César Miguel Rondòn: “Sembrava vendicativo, per questo, quando lui suonava e cantava lo faceva con una rabbia spiazzante e che lo rendeva assolutamente irripetibile, trasformandolo in un Grande. Buona parte di questa musica, di quella di cui parliamo, di quei tempi, negli anni 70, la salsa, si pone come espressione del quartiere, come espressione carica di rabbia, tagliente e per questo lui fu unico nel cantarla, essendo così!”
Nel 1974 Willie Colon decide di lasciare la sua stessa orchestra, i problemi di Hector con le droghe rendevano impossibile qualsiasi accordo professionale. La decisione di Willie Colon lascia solo Hector Lavoe sulla scena, ciò nonostante le relazioni personali e musicali tra loro due non ne risentono e Willie continua a produrre la musica di Hector.
Fine terza parte.
Parte 4 di 6
La vita vertiginosa di Lavoe è fuori controllo. Un matrimonio instabile ed una carriera che si dimena tra gli eccessi. Willie Colon decide di abbandonare la sua stessa orchestra, lasciando l’amico solo sul palcoscenico.
Un Hector finito fisicamente e moralmente si prepara per affrontare la carriera da solo.
Dopo l’uscita di Willie Colon dall’orchestra, Hector Lavoe dovette prendere una decisione per non lasciare tutti i suoi colleghi senza lavoro, quasi tutti capifamiglia. Nel 1975 esce sul mercato “La Voz”) il primo album da solista di Hector Lavoe.
Il successo dell’album fu di proporzioni inaspettate.
Con l’album “De ti depende” segna un nuova rotta professionale; l’uomo che aveva fatto ridere tutto il suo pubblico, questa volta lo faceva piangere con i suoi boleri, però il successo fu comunque grandissimo.
“Periodico de ayer” si convertì in un classico istantaneo, però il successo era direttamente proporzionale alla sua autodistruzione.
Domingo Quiñones, attore e cantante dice: “Hector invece di vedere tanto successo nella vita, vide molta sofferenza, e tanto più cresceva come artista più si distruggeva come essere umano e le persone che soffrono questa condizione di assuefazione all’eroina o a qualsiasi tipo di droga, non riescono a comprendere che cos’è la vita!”
Sua moglie Puchie aveva generato una guerra tra Tito junior e suo figlio Josè Alberto, che racconta nel suo libro “la historia del cantante Hector Lavoe” tutte le umiliazioni alle quali era sottoposto dalla matrigna e dal fratellastro.
Però i problemi non erano solo negli affari familiari; l’abuso al quale era sottoposto dai suoi promotori includeva l’eccesso di lavoro e meno privilegi, così come il facile accesso alle droghe per mantenersi attivo. Hector Lavoe si era convertito per i suoi rappresentanti in una macchina per far soldi.
Bobby Cruz racconta: “Una persona come Hector, che produceva soldi per molte persone, rendeva tutto più difficile perchè per loro era meglio che si drogasse e che cantasse, perchè se non avesse cantato avrebbero perso molti soldi. Allora il ragazzo, trascinandosi, arrivava ai concerti, si faceva un buchino da qualche parte e alla fine eccolo lì, che cantava! Hector era magrissimo, non che fosse mai stato grasso, ma appariva denutrito e abbastanza debilitato.”
Nel 1977, fu protagonista di una campagna istituzionale contro l’uso della marijuana. Hector era cosciente dei danni che le droghe potevano causare alle persone e volle approfittare della sua popolarità per responsabilizzare il pubblico, però i suoi stessi rappresentanti lo censurarono, perchè se il “chico malo” avesse cambiato immagine, avrebbe potuto diminuire la sua popolarità compromettendo le vendite dei dischi.
Ironicamente quello stesso anno, come risultato degli eccessi, Hector Lavoe sparisce dallo scenario per un periodo lungo, lasciando a metà una tournée e non portando a termine gli impegni assunti con la casa discografica.
Aveva perso la coscienza della propria identità e l’ubicazione spazio-temporale. Nell’aprile del 1977, fu ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Greenmore, con un quadro clinico che evidenziava un terribile stato depressivo.
Ismael Miranda: “Apparentemente stava sempre bene, io seppi del problema, cioè sapevamo che avesse problemi, però quando si aggravava la situazione intervenivo io perchè lui aveva molta considerazione di me.”
Papo Lucca: “Sì lui aveva il suo problema però non lo dava a vedere quando stava con noi.”
Però la stella di Hector non si spegneva, con l’appoggio dei suoi amici e colleghi d’orchestra Hector torna di nuovo, prima di tutto in buona salute e poi al palcoscenico. Nel 1978 Hector lancia la sua ventinovesima produzione discografica, intitolata, ironicamente, “Comedia”. Il successo del suo singolo “El cantante” fu esorbitante. Grazie a questo pezzo, composto da un nuovo talento, il giovane panamense Ruben Blades, Hector si converte ne “El cantante de los cantantes”.
César Miguel Rondón: “El cantante è una canzone, un brano scritto appositamente per Hector. Di fatto quando Hector si presenta ad interpretarla, aggiunge dei pezzi unici, come ad esempio la frase che rende omaggio ad Ismael Rivera, e quella emblematica “algunos cantan con falda, yo canto con pantalones” (alcuni cantano con la gonna, io canto con i pantaloni). Questa canzone dice molto di Hector e delle sue capacità.”
Fine quarta parte.
Parte 1 di 6
Hector Juan Perez nasce a Ponce1 una città di Portorico, il 30 settembre 1946 e nel seno di una numerosa famiglia che sconfisse la povertà grazie al loro talento musicale. Sua madre Francisca Martina de Perez cantava nelle feste patronali e ai funerali, suo padre Luis Perez era un conosciuto direttore musicale. Hector Perez conobbe la fatalità e la sensazione d’abbandono sin dai suoi primi anni, un segno che lo accompagnerà in ogni passo della sua vita. Sua madre, Francisca de Perez, muore a seguito di una strana malattia respiratoria.
Priscila Perez sorella del cantante dice: “Nostra madre morì che noi eravamo tutti piccoli, all’incirca quando io avevo 7 anni, allora quando lei morì mi mandarono con mio padre mentre il mio patrigno si occupò degli altri e si prese cura di Hector.”
Suo padre si converte allora in suo mentore e, seguendo l’inclinazione musicale della famiglia, decide di iscriverlo all’accademia musicale Juan Morel Campos.
Priscila segue: “Quello che succedeva era che a volte andava e altre no e diceva a papà che andava, lui sempre raccontava storie però io lo so perchè lui non andava, andava solo quando voleva.” (ride)
Hector non era un bambino che seguiva le regole, per questo cambiò la formazione musicale classica per imitare le figure della musica popolare portoricana, come Chuito el de Bayamon.
(DON) Tite Curet racconta: “C’èra qualcosa in lui che ricordava un Jibaro, (ndr: cioè un contadino Portoricano), praticamente cantava come “Chuito El De Bayamón“, anche la bocca aveva la stessa impostazione di quella di Chuito, non so come riuscisse a farlo, quello che so è che lui in quest’ aspetto ebbe un trionfo che mai più si sarebbe ottenuto in radio, mai più nella vita.”
Priscila continua: “Lui cantava nelle feste della scuola, lui sempre cantava, mi ricordo che aveva circa 12 anni venne a casa e disse: sto provando! Ed io: che stai provando? E rispose: Campanitas de cristal perchè canterò alla festa della scuola… e si mise a cantarmi Campanitas de cristal“.
La sua determinazione lo portò a formare una sua banda di 10 componenti quando aveva solo 14 anni, allora suonava con i suoi amici nei locali notturni di Ponce.
Papo Lucca racconta: “Il venerdì c’era sempre un programma a scuola dove si presentavano talenti, di teatro, cantanti, musicisti di piano, conga, qualsiasi cosa e lì si presentò ed io lo accompagnai per la prima volta e da lì andammo ad un programma in televisione per gareggiare, allora accadde che io mi sbagliai, gli diedi un tono molto alto e a lui uscì una stecca e non vinse, quindi quando uscimmo da lì il papà di Hector ci regalò un uovo, invece dell’uovo d’oro voi avete vinto questo!”
Priscila: “Quando aveva 12 anni cantò in televisione e Felipe Rodriguez, che riposi in pace, gli diede la mano e disse tu sarai una futura stella, sarai grande.”
L’approvazione del pubblico fu immediata, subito furono accattivati dalla voce di quell’adolescente che delirava al ritmo della musica popolare portoricana. Guadagnare 18 dollari a notte era troppo per un giovane che non aveva nemmeno terminato gli studi basilari. In mezzo alle tentazioni della notte Hector conobbe la controparte della pericolosa doppietta che lo accompagnò per tutta la vita: il successo e la tragedia.
Fine prima parte.
Note: 1 Precisamente in Calle Belgica, Ponce, Puerto Rico.(N.d.T.)
Parte 2 di 6
Hector era deciso ad essere il miglior cantante del mondo, adesso la sua meta era New York, la capitale musicale del momento. Però il principale ostacolo proviene proprio da New York, suo fratello, che era andato precedentemente lì a cercare fortuna, muore a causa delle droghe.
Priscila: “Quando aveva 16 anni se ne andò a New York. Il patrigno non era d’accordo siccome l’altro mio fratello era morto in un incidente, lui temeva che gli accadesse lo stesso, che si rovinasse o gli accadesse qualsiasi cosa là quindi si opponeva però lui venne a vivere con me a New York e rimase con me finché si sposò e fortunatamente gli andò bene nella musica.”
Contro tutte le censure di suo padre che vedeva New York come un luogo di mal auspicio, Hector Perez arriva nella grande mela il 3 maggio 1963 a soli 17 anni. E’ l’epoca del sesso libero, delle droghe, del rock n’ roll e della violenza. Nel mezzo di questo turbinìo di conflitti, Hector cominciava ad aprirsi il campo nell’ambiente musicale.
Priscila: “Una volta disse: io vado a cercarmi un lavoro perchè la musica non rende. Allora andò a cercare lavoro da un signore che pitturava e lo stesso giorno passo io e vedo un ragazzino aggrappato all’impalcatura e lui mi chiama e io gli dico: che fai tu aggrappato lì?- Sto lavorando, e io dissi: guarda scendi di lì che con quello che guadagno viviamo però tu non farai questo lavoro che ti ammazzi, il vento ti porta via! perchè era magrolino.”
E così una notte, dopo due settimane dal suo arrivo, Hector accompagna il suo amico Roberto Garcia ad un’audizione in un locale notturno, offrendosi in buona fede di dimostrare al corista come si canta la musica latina, in cambio di questo nobile gesto, hector rimase con il suo posto.
Cristòbal Diaz Ayala, collezionista di musica latina dice: “Hector ha dovuto ascoltare, da bambino, le registrazioni di plena che si fecero nella città di New York soprattutto negli anni 30. Queste registrazioni qui si sono un pò perse nei ricordi però in quegli anni se ne fecero molte e questa plena fece un pò quello che fece Lavoe, cioè parlava del barrio, aveva stampo umoristico e un pò sarcastico su quello che era il barrio, per esempio qualcuna parlava del proibizionismo dell’alcool, parlava dei problemi sociali che si avevano e tutto questo ha dovuto impressionare il ragazzo.”
Cominciò allora una carriera vertiginosa durante la quale fece parte di differenti band: Orquestra Nueva York, Caco y las estrellas e The Alegre All Stars e il momento più importante della sua carriera stava per arrivare.
Nel 1966 conosce Johnny Pacheco, proprietario e direttore della casa discografica del momento, Fania.
Johnny Pacheco presentò allora Hector Lavoe con Willie Colon, altro genio di appena 15 anni che dirigeva una banda conosciuta come “ Boogaloo y latin jazz”.
Willie Colon racconta: “Noi ci siamo conosciuti da adolescenti e conoscemmo il mondo insieme, uscimmo dal barrio del Bronx ed io imparai a parlare spagnolo. Lo capivo ma parlavo molto poco. Era un ragazzo con un senso dell’umorismo brillante, brillante con una mente incredibile , con un repertorio di cui tu potevi menzionare un titolo e lui non solamente sapeva le parole ma ti imitava il tipo che la cantava, fosse Carlos Gardel o Sadel o Ramito o Chuito el de Bayamon, quello che fosse, te lo imitava perfettamente.”
L’affinità tra i ragazzi fu istantanea, Hector aveva la voce precisa per far conoscere l’esperimento musicale di Willie Colon.
César Miguel Rondón, autore di “El libro de la salsa” dice: “c’era in questo gruppo una nozione del canto del barrio, che fu distintivo e molto particolare. Essi avevano molto talento, quello rudimentale di Willie per portare la musica che gli apparteneva ma molto anche il talento di Hector, per entrambi.”
Willie Colon apparteneva ad una corrente di musicisti latini che praticavano la fusione dei ritmi caraibici, fu allora che il son montuno, il guaguancò e la guaracha si unirono in una mistura che immediatamente si convertì in un boom, la SALSA.
Cristòbal Diaz Ayala: “La plena parlava di storie del barrio, così come lo faceva anche Carlos Gardel e tanti altri musicisti dell’America Latina però Lavoe lo sapeva fare in un modo nuovo, in un modo caustico e più intenso ed ebbe la fortuna di unirsi con quel genio musicale di Willie Colon e iniziarono a produrre quella serie di meraviglie.”
Nell’estate del 1967 esce in commercio il primo album di Hector Lavoe e Willie Colon “EL MALO”1, completamente un fenomeno musicale. Con l’esplosione del rock e il fenomeno dei Beatles che contagiavano il mondo, la SALSA, ritratto musicale del barrio e dello stile di vita Latino, si convertì nell’unico modo di identificazione possibile dinanzi all’imminente alienazione musicale, mentre la gioventù nord americana ed europea predicava SESSO, DROGA E ROCK n’ ROLL, l’America Latina aveva un suo proprio slogan SESSO, DROGA E SALSA.
Tite Curet: “Lì fu che ci azzeccarono perchè la gente era nell’epoca delle pandillas2, nell’epoca di Paul Simon, nell’epoca dei “cattivi”e questo fu quello che loro prospettarono, nella loro musica dipinsero quell’epoca “cattiva”.”
Note: 1 Letteralmente “il cattivo”. (N.d.T)
2 Nel senso latino americano, gruppi di giovani violenti e sovversivi. (N.d.T.)
Fine seconda parte.
En la montaña de Sorte por Yaracuy En Venezuela, vive una Diosa En la Montana de Sorte por Yaracuy Vive una Diosa, una noble reina, De gran belleza y de gran bondad Amada por la naturaleza E iluminada de caridad. Y sus paredes son hechas de viento Oh salve reina, Maria Lionza, En la montaña de Sorte por Yaracuy Coro: Un ramo ‘e flores, de flores blancas A to’a la gente alla en los Cerritos Dona Maria cueste lo que cueste Y va cuidando a su Venezuela Fue por el rio Guanaguanare Ella es la reina que el pueblo adora Flores para tu altar Con tabaco y aguardiente Nos despedimos con un saludo |
Nella montagna di Sorte per Yaracuy In Venezuela, vive una dea Nella montagna di Sorte per Yaracuy Vive una dea, una nobile regina, Di gran bellezza e di gran bontà Amata dalla natura E illuminata di carità. E le sue pareti sono fatte di vento Oh salve regina, Maria Lionza, Nella montagna di Sorte per Coro: Un ramo di fiori, di fiori bianchi A tutta la gente che vive fra le montagne Donna Maria costi quel che costi E va curando alla sua patria (Venezuela) Fu per il fiume Guanaguanare Lei è la regina che il popolo adora Fiori per il tuo altare Con tabacco e aguardiente (liquore simile alla grappa) Noi ce ne andiamo con un saluto |
Traduzione a cura della redazione LaSalsaVive, ringraziamo l’amica Amalia J Cilia per l’aiuto fondamentale.
5 Luglio 2012
Notizia tratta da Primera Hora
Dopo aver dato la notizia della prossima uscita del nuovo disco dei Lebron Brothers ecco un’altra bella notizia per tutti i fans di Johnny Ventura: il merenguero dominicano di 72 anni sta lavorando al nuovo disco insieme al figlio Jandy Ventura che si occupa della produzione e della direzione del disco.
L’album si chiama “El viejo está en la calle“, mentre il primo singolo lanciato sul mercato è “Sigo en la rumba“.
Per maggiori informazioni: http://www.johnnyventuraonline.com/
Español
A sus 72 años, el merenguero dominicano Johnny Ventura recarga su espirítu vivaracho, que lo caracteriza y la energía con la que se mueve en tarima con el calor y apoyo incondicional de su público.
Es por ello que “el Caballo Mayor” reitera a Primera Hora que “la energía en la música me la imprime el público, que juega un papel de un 80 por ciento de lo que es la presentación de un artista, y tengo la bendición de que el público siempre me recibe con mucho entusiasmo y eso lo reflejo en la tarima”.
Para mantener ese contacto con sus más fieles seguidores, la voz de Capullo y sorullo planifica lanzar su álbum El viejo está en la calle, cuyo primer sencillo es Sigo en la rumba.
Este proyecto musical le hincha el pecho de orgullo al cantante porque trabajó con su hijo Jandy Ventura, quien se encargó de la producción y dirección del disco.
“Es muy grato cuando uno es dirigido y producido por un hijo, es muy grato. Es un orgullo definitivamente”, sostiene el orgulloso padre, cuyo nombre de pila es Juan de Dios Ventura Soriano.
En cuanto al título de su oferta musical, dice riendo que “yo soy un bebé de 72 años y dije: ‘Vamos a hacer algo fresco con arreglos de merengue y otros géneros muy actualizados con el toque de lo que es la música de Johnny Ventura.
Entre sus planes en agenda, Johnny Ventura estará en Puerto Rico para el concierto de su amigo y colega Andy Montañez, quien celebrará sus 50 años de trayectoria musical el sábado 14 de este mes, en el Coliseo de Puerto Rico.
“Puerto Rico me recibe siempre con mucho cariño, y durante tantos años ha sido una base fundamental en mi carrera”, recalca.
Aprovechó esta entrevista para “invitar al público que asista al evento porque se van a divertir con la calidad del espectáculo que se está montando, y todo el mundo conoce a Andy Montañez y, en mi caso, yo quiero contar anécdotas y no se las deben perder”.
Direttamente dal profilo twitter dei Lebron Brothers, ecco la notizia che tutti i fans del mitico gruppo dei fratelli Lebron, stavano aspettando: Los Hermanos Lebron sono in studio a registrare il nuovo disco!
Ecco la foto delle registrazioni:
https://twitter.com/LEBRONBROS/status/220322623203180544
Alla nostra domanda per sapere quando il disco sarà pronto, i Lebron Brothers hanno risposto entro poche settimane.
Bene, non ci resta che aspettare e presto potremo ascoltare il nuovo lavoro!
https://twitter.com/LEBRONBROS/status/220503355687055360
https://twitter.com/LEBRONBROS/status/221076464328650752