Benvenuti nella sezione delle INTERVISTE de LaSalsaVive!
Qui troverete le interviste raccolte nel tempo dai nostri utenti; potrete vivere in prima persona le risposte degli artisti che hanno fatto la storia della salsa.
Intervista di Enzo “Ciccio” Luoni, traduzione di Stefania “Anthea” Ranzani
Il figlio del rey del Timbal con la verve ereditata dal padre mi ha concesso questa intervista pochi minuti prima del concerto che lo vedeva impegnato con i Big 3 Palladium al festival Latinoamericando 2005.
Come potrete notare dalle risposte, è partito lancia in resta e ha voluto rispondere sempre e solo con il suo pensiero, ma cosa si può fare davanti a così tanta carica ? Niente!!! Assolutamente niente !!!
Sia in Inglese che in Spagnolo le risposte erano contornate e arricchite di smorfie e risate degne dei più grandio comici. Non siamo riusciti nemmeno a fare una foto decente e registrare, sbobinare e tradurre la più difficile intervista del 2005, è stata una faticaccia ripagata dall’ incredibile esperienza nel backstage con i figli di tre dei più grandi artisti del passato.
Ci racconti come e quando è nato il progetto Big Palladium?
Il progetto Big Palladium è partito da
Mario Grillo-Machito Jr., il figlio di Frank Grillo. Mario ha dato una grande e nuova spinta al panorama latino riunendo la grande musica di Tito Rodriguez, Tito Puente e Machito attraverso i loro figli. È nato tutto da questo, ed è un vero onore per me essere qui a rappresentare mio padre.
Che cosa pensi del nuovo boom della salsa tradizionale degli anni ‘70 e di quella degli anni ‘50 come mambo e Latin Jazz e di questo ritornare alle radici?
È una domanda davvero impegnativa…innanzitutto devo fare un appunto: il mio spagnolo non è il massimo…però cercherò di spiegarmi! Negli anni ‘70, con Johnny Pacheco e la Fania…da loro deriva la parola “salsa”…però mio padre, una grande icona – se mi posso permettere – degli anni ‘50 e ‘60, ha sempre parlato di questa musica e l’ha suonata come rumba, mambo, chachacha, guaguanco…questo mix lo vogliamo definire salsa? Allora…Tito Puente ha inventato la “salsa”….con Machito e Rodriguez e altri grandi dell’epoca, ovviamente.
Quali erano le differenze principali delle tre orchestre del Palladium?
Le differenze….Tito Puente ha un sorriso e…una lingua inimitabile! Vedi? Così! (scoppia in una risata che ha del satanico…non si può dire che non abbia preso dal padre!). Rodriguez no, non ha questa caratteristica, ma è un cantante eccezionale….Machito un arrangiatore straordinario…. Però Tito Puente…lo spirito….il cuore….il sorriso…quello che trasmetteva era qualcosa di unico…. Molti dicono che assomiglio tremendamente a mio padre, ma fortunatamente non ho ancora i capelli bianchi…ho 34 anni e quindi li avrò molto presto e gli somiglierò ancora di più! Ma tornando alla domanda…stasera quando vedrete sul palco noi tre, con le nostre sezioni fiati… insomma, gli arrangiamenti sono diversi e questo diversificava anche le tre grandi orchestre dell’epoca. Mio padre era l’unico portoricano che a New York suonava musica cubana…guaguanco, rumba, mambo…e Tito Rodriguez…una voce sensazionale…
A tuo parere, quali sono o sono stati gli artisti più rappresentativi per la storia della Salsa?
Innanzitutto un grande della Fania: Ismael Miranda, cantante senza paragoni. E un cantante che sentirete questa sera, Herman Olivera, che ha cantato anche con Eddie Palmieri. Oppure Charlie Palmieri, se parliamo di latin jazz. Però il più grande, il più famoso, l’ambasciatore in tutto il mondo è senza dubbio Tito Puente: Italia, Giappone, Sudamerica, America Centrale, Australia…in tutto il mondo, Tito Puente è il re della musica latina. E la regina è una sola: Celia Cruz. Lei è stata la mia madrina…ed è la cantante dei cantanti, in tutto il mondo.
Secondo te è corretto dire che negli anni ‘50 il Latin Jazz era più facilmente ballabile rispetto a molte produzioni odierne rivolte più all’ascolto, piuttosto che al ballo?
Oggi il mercato latino è molto diverso. Jennifer Lopez, Marc Anthony…comunque tutti gli artisti latini di oggi sono stati influenzati da personaggi come Tito Puente e Celia Cruz. Non saprei…mi piace la musica di oggi perché è diversa…reggaeton, salsa, merengue…mi piace il mix tra reggaeton e salsa.
Che cosa pensi della nuova musica popolare ballabile cubana chiamata Timba?
La timba? Tutta la musica cubana è musica per divertirsi. Quello che io amo maggiormente è la parte ritmica. Mio padre era un santero. Suonava il timbal a Cuba nel 1939. E i ritmi della rumba, guaguanco, chachacha…così come la bomba plena portoricana….tutto è molto diverso dalla musica di oggi.
Pensi che il futuro della salsa, del mambo moderno e del Latin Jazz sia nel boom del ballo che sta spopolando in tutto il mondo?
Il futuro…non so. Si creano dei mix prendendo da diversi artisti… conosco ad esempio Huey Dunbar, ho dei dischi favolosi….ho molto rispetto per gli artisti che fanno reggaeton, per portarti un altro esempio. Tutto si mescola con la vecchia musica di Tito Puente e Celia Cruz, creando un’incredibile opportunità per tutti coloro che amano ballare la musica latina.
Si ringrazia Tommy Salsero per aver collaborato alla realizzazione di alcune domande.
Intervista di Israel Sánchez-Coll
tratta da Herencia Latina
Traduzione a cura di: Salsa Claude
Prefazione
Herencia Latina è uno dei siti più autorevoli sulla storia della musica latina, ricchissimo di articoli su esponenti di varia fama nella scena del passato (herencia significa eredità); questa intervista, oltre a descriverci nei dettagli la biografia di un noto bandleader, offre anche una ricca descrizione delle tre epoche da lui vissute ossia quelle del Mambo, del Boogaloo e della Salsa: il risultato è un racconto che ritrae i più disparati protagonisti (narrandone inattese relazioni), in diverse situazioni che li accomunano.
Infatti, che relazione aveva Joey Pastrana con Machito? Quali circostanze causarono l’ingaggio come lead vocalist di Chivirico Dávila e quali quelle che fecero terminare la collaborazione di Ismael Miranda? Come esordì Joey Pastrana alla Cotique Records e perché rifiutò sempre di entrare in Fania? Quanto lo toccò il boicottaggio del Boogaloo ad opera dei “Veterani del Mambo” e perché?
Tutto ciò è descritto in questa lunga ma interessantissima intervista, ora disponibile anche in italiano.
Claude
Israel Sánchez-Coll: Dove nacque Joey Pastrana?
Joey Pastrana: Nacqui il 22 Agosto 1942 a Santurce, Puerto Rico. A quattro anni la mia famiglia si trasferì a New York a causa del lavoro di mio padre, che era un marittimo mercantile. Crebbi nel Barrio (Harlem) sulla 110a strada dove rimanemmo dieci anni, dopodiché ci trasferimmo nel Bronx. Fu però nel Barrio dove si manifestarono le mie “inquietudini” musicali: suonavo i timbales e la conga. A casa di un cugino c’era uno scantinato con un pianoforte e lì ci ritrovavamo per suonare. Joe Quijano era un mio vicino di casa e gestiva un negozio di dischi. Mio padre si chiamava José P. Pastrana e mia madre Julia Santos.
Israel: Entrambi di Puerto Rico?
Joey: Sì, di Santurce.
Israel: Il nome completo?
Joey: José Luis Pastrana Santos.
Israel: E perché “Joey”?
Joey: A scuola mi americanizzarono il nome, mi chiamavano Joseph Louis Pastrana quindi tutti i compagni iniziarono a chiamarmi Joey.
Israel: Quindi il “Joey” nacque a scuola, e non durante la carriera musicale?
Joey: Esatto.
Israel: Chi influenzò la sua formazione musicale?
Joey: Le mie prime influenze furono quelle di Tito Puente, Daniel Santos – che era cugino di mia madre – Bobby Valentín, Charlie ed Eddie Palmieri; ce ne sarebbero molti altri, ma mi sfuggono i nomi.
Israel: Chi la spinse a scegliere i timbales?
Joey: Di fatto scelsi io la batteria che studiavo presso la scuola del maestro Gene Krupa, uno dei giganti del jazz noto come batterista di Benny Goodman oltreché collaboratore di Lionel Hampton, Teddy Wilson, Charlie Ventura ed altri ancora. Aveva una scuola in centro a Manhattan e lì iniziai a leggere gli spartiti.
Non avendo la macchina ero costretto a prendere il metrò, già scomodo di per se stesso, ed ancor più alle 3 del mattino, quando solitamente terminavamo di suonare, e anche se talvolta amici o familiari mi prestavano la macchina la scomodità della situazione mi portò a valutare alternative.
Decisi di suonare bongó e campana inserendomi in un piccolo conjunto che aveva Bobby Valentín – Bobby suonava il basso nella banda di Tito Rodríguez, il timbalero di Bobby abbandonò il gruppo e lui me ne offrì il posto – e con cui potei partecipare alla registrazione dell’album Ritmo Pa’ Goza’ – El Mensajero nel 1965. Scrissi anche due brani a Bobby usciti con l’album Young Man With A Horn: Que Pollito (Joey canticchia il ritornello “Yo tengo un pollo que quiere bailar”) e un brano mambo jazz chiamato The Gate, riferito al locale “Village Gate” dove al Lunedì suonavano le migliori bande latine ingaggiate dal Dj radiofonico Symphony Sid, che portava avanti una programmazione artistica con molto mambo jazz.
In seguito Bobby Valentín ingaggiò Papi Pagani, figlio di Federico, quando quest’ultimo perse il posto nella banda di Tito Rodríguez a causa del consumo di sostanze stupefacenti. Durante le prove Bobby mi disse semplicemente che adesso avrebbe continuato con “Il timbalero di Tito Rodríguez”, senza però aggiungere alcun dettaglio.
Quella settimana iniziai a scrivere testi e comporre musica a casa mia quando apprendo dalla radio che cercavano orchestre per registrare in studio: chiamai Simphony Sid affinché mi aiutasse e lui mi mise in contatto con un ragazzo che mi aiutò con gli arrangiamenti, cosicché in due settimane fui pronto per entrare in studio. Andai con la mia banda in un negozio – e guarda la combinazione, era quello della moglie di Federico Pagani – dove c’era una stanza per le prove. Il negozio era sulla 183a all’angolo con Williams Avenue, chiamai George Goldner, proprietario della Cotique Records, e gli chiesi di ascoltarci. Al termine della prima canzone ci fermò e disse: “Quando possiamo registrare il disco?” Un po’ sorpreso gli dissi: “Ma se te ne abbiamo fatta ascoltare solo una?” E lui rispose: “A me non importa, quando siete disponibili?” E in risposta alla sua insistenza gli dissi: “Ok, la prossima settimana.” E fu così che uscii col mio primo album: Let’s Ball
Israel: Perché in questo album le cambiarono il nome in Pastrano?
Joey: Ah, fu un errore di George Goldner perché fecero le cose di fretta! Mi ritrovai così con un nome dal suono italiano, ma nei successivi album la Cotique – responsabile dell’errore – corresse il nome.
Israel: Chi erano i componenti di questa orchestra d’esordio?
Joey: Due musicisti “prestatimi” da Joe Quijano (trombettista e bassista), mio fratello Willie Pastrana alle congas, e un ragazzo ai suoi esordi musicali con la banda di Andy Harlow, Ismael Miranda. Il primo album fu un grande successo di vendita, ciononostante la nostra orchestra non riusciva ad avere ingaggi per i concerti e Ismael andò con Larry Harlow.
Israel: Israel Miranda disse che Lei lo ingaggiò dopo averlo visto con Andy Harlow ad un concerto presso il club El Dorado.
Joey: Esatto. Cercavo il mio cantante nei club, e lo trovai in un periodo in cui la banda presso cui lavorava non aveva molte serate quindi gli diedi i miei spartiti e in una settimana registrammo l’album.
Israel: Nel quale c’è un classico: Rumbón Melón.
Joey: Sì, funzionò perché l’esperienza con la banda di Bobby Valentín mi insegnò come andava scritto un brano affinché piacesse al pubblico, e difatti nel giro di tre mesi diventò un successo. Ciononostante, siccome le serate non arrivavano, Ismael se ne andò. In seguito George Goldner mi chiamò per pianificare l’uscita del secondo album, avvisandomi che i risultati sarebbero arrivati in tempi più lunghi.
Registrammo perciò l’album “Joey” col cantante Chombo che conobbi a New York e che aveva già partecipato ai cori del primo album, dimostrandosi così anche un ottimo lead vocalist.
Israel: Il suo nome completo?
Joey: José “Chombo” Rodríguez.
Israel: Fu il successore di Ismael Miranda?
Joey: Sì. Con Chombo il secondo disco uscì bene. Nel ’67 entrambi gli album erano recensiti sulle riviste e competevano per il primo posto.
Israel: Lei fu un direttore d’orchestra innovatore, mise due voci femminili nei cori dando una nuova caratteristica alla sua musica laddove le altre bande seguitavano a tenere schemi tradizionali; come sviluppò questa idea?
Joey: Si chiamavano Sonia Rivera e Becky Rivera ma non erano sorelle.
Israel: Dove le conobbe?
Joey: Sonia Rivera era mia cognata ma in realtà la conoscevo da dieci anni prima che si sposasse con mio fratello Willie Pastrana, quando la sentii cantare in un gruppo di musica nordamericana mentre Becky Rivera è una mia cara amica d’infanzia: entrambe sono di Puerto Rico.
Israel: Sono viventi?
Joey: Sì.
Israel: A New York?
Joey: Credo che Becky stia in Florida e Sonia a New York con le sue tre figlie: credo che canti in un gruppo rock.
Israel: Perché quest’idea di integrare le voci femminili?
Joey: Presi l’idea da Tito Rodríguez che aveva una ragazza nel suo coro. Di fatto un giorno ero ad un suo concerto ed apprezzai come questa voce differente si distinguesse all’interno del coro e mi piacque. Situai inoltre le due ragazze in prima linea per fare scena, cantando e ballando insieme a mio fratello Willie. Ne uscì un suono che ricordava quello della banda di Cortijo.
Israel: Pensi che nel New Swing Sextet le tre coriste erano le sorelle e la moglie di George Rodríguez, il vibrafonista-leader.
Joey: Il New Swing Sextet si ispirò a me (ride), perché nel ’67 poche orchestre, sia grandi che piccole, avevano questo formato, mentre in seguito molti altri lo adottarono.
Israel: L’orchestra suonava bene, era coinvolgente; negli anni ’60 e ’70 le orchestre erano mediamente maschiliste, raramente trovavi donne nei cori.
Joey: Esatto.
Israel: Cosa rappresentò il Boogaloo per la sua generazione?
Joey: All’epoca tutti i giovani volevano ballare ed ascoltare soltanto Boogaloo poiché non conoscevano bene i balli del Mambo né del Cha Cha come le persone più adulte. I giovani fecero da catalizzatore per l’ascesa del movimento, non i vecchi che lo malsopportavano e speravano nel suo declino. Anche le orchestre di veterani non amavano suonare brani Boogaloo.
Israel: E’ vero che Lei spinse Johnny Colón a firmare per Cotique?
Joey: Io scrissi un brano a Johnny Colón. Quando uscì il mio primo album molti impazzirono per il Boogaloo. Johnny lo faceva in maniera diversa dalla mia, riscuotendo successo con un solo disco, Boogaloo Blues, dove compose la musica e suonò come pianista e i cui testi furono scritti da Tito Ramos. Il brano che dava il nome anche all’album nacque come Guajira in spagnolo ma George Goldner suggerì di cambiare il testo in inglese e di riarrangiare la musica di conseguenza; il risultato fu un Boogaloo diverso dal solito ma che piacque al pubblico.
Il Boogaloo più ballabile lo compose Pete Rodríguez: I Like It Like That. Ciononostante Pete Rodríguez si allontanò dalla musica perché il suo vero amore era per il Mambo e la Guajira. Il vero compositore era il suo trombettista, Tony Pabón, che ai cori mise sua moglie e i figli di entrambi.
Israel: Considera il Boogaloo una musica nera?
Joey: Nacque nel Barrio da neri e portoricani che frequentavano le stesse scuole e strade; i latini apprezzavano più la musica nordamericana e i neri quella latina, così si contaminarono a vicenda.
Israel: E’ vero che José Curbelo bloccò molti ingaggi di serate alle orchestre emergenti di Boogaloo?
Joey: Sì, è vero. Siccome il Boogaloo stava riscuotendo successo i musicisti più anziani erano gelosi poiché la loro fama consolidata iniziava a venire adombrata dal “nuovo”. Capitò pure che Tito Puente pretese di venir menzionato sulle locandine prima dei gruppi Boogaloo (come Joe Cuba, nonostante quest’ultimo avesse cinque brani di successo e lui nessuno); le nuove bande vendevano dischi, quelle affermate non più, tuttavia volevano dominare le serate e iniziarono a sermonare che “il Boogaloo non serviva a niente, non era niente”. La verità è che la gente voleva ballare Boogaloo, e in seguito avrebbe preso a ballare Salsa. Io nei miei album mettevo entrambi i generi.
Israel: E lo Shingaling?
Joey: Era uno stile di ballo, il movimento in coppia era diverso, mentre il Boogaloo si ballava in una direzione lo Shingaling lo si ballava in un’altra, e tutto sulla medesima musica; fu introdotto dai neri americani.
Israel: Lei ricevette un premio nel ’68 dalla rivista Latin New York per le vendite del brano “Riky Chi”, consegnato da George Goldner; cosa può raccontarci in proposito?
Joey: Fu un disco d’oro che mi diedero per i miei 45 giri, formato che d’abitudine veniva sempre lanciato prima dell’album. Ricordo che al Palladium diedero un disco d’oro anche a Pérez Prado delle stesse dimensioni di quello che ricevetti io. Detto premio riguardava i singoli delle mie prime produzioni ossia Riky Chi, Rumbón Melón, La Güira e altri.
Israel: Quante copie vendette del suo primo disco?
Joey: Del primo album non ricordo, del secondo (Joey) in sole due settimane si vendettero quarantamila copia tra New York e Puerto Rico. Al momento, il primo rimane il più venduto e ciononostante io non ho mai ricevuto un centesimo, pensa te come sono certe situazioni.
Israel: Il suo terzo album?
Joey: Il terzo album fu Joey In Puerto Rico.
Israel: Joey En Carnaval fu il quarto o il quinto?
Joey: Credo il quinto, e lo produssi io perché George Goldner nel frattempo morì e dovetti far tutto da me.
Israel: Questo album viene anche in CD e lo trovo meraviglioso con brani come Joey’s Thing (il mio preferito), Chacaboo, Aguacero, My Girl.
Joey: Lo chiamai “La Cosa Di Joey” perché fu così impegnativo per me comporre e produrre nel contempo che alla fine mi dimenticai il titolo!
Israel: E’ sua la composizione?
Joey: Sì, lo scrissi come lo volevo e lo sentivo, questa è la cosa più importante.
Israel: Suo fratello Willie Pastrana lo accompagna in questo album.
Joey: Sì, fu presente in sei album, poi tornò con Joe Quijano che aveva molti ingaggi all’estero, cosa che desideravo avere anch’io e che si concretizzò all’uscita de El Diferente con Chivirico Dávila poiché tramite la radio riscosse successo anche a Panamá e Venezuela, paesi in cui facemmo una tournée di tre settimane, toccando anche Los Angeles, Florida, St. Thomas Island, Puerto Rico e New York.
Israel: Com’era il Venezuela?
Joey: Interessante, ma non ancora così salsero come lo sarebbe divenuto in seguito poiché all’epoca ascoltavano più orchestre locali che newyorchesi.
Israel: Chi scrisse My Girl?
Joey: E’ mia; tutti i brani cantati in inglese nei miei album sono miei.
Israel: Come ingaggiò Carlos Santos?
Joey: Quando Chombo andò a Puerto Rico durante una delle mie numerose tournée, scoprì di amare profondamente l’isola per cui un giorno mi disse: “Io non torno più a New York, resto qui.” Quindi tornai senza cantante a New York e dopo molte ricerche trovai Carlos Santos, molto giovane e di voce acerba ma con il talento dell’improvvisatore. Il primo album che feci con lui credo fosse Joey en Puerto Rico, dopodiché migliorò la sua voce e nella seconda produzione che facemmo assieme progredì tantissimo, basti sentirlo in Chaca Ca Boom.
Israel: Il Chaca Ca Boom è un brano in risposta ai suoi avversari.
Joey: La gente diceva che io non suonavo veramente poiché durante i concerti presso le sale da ballo non mi producevo in assoli né improvvisazioni, ma d’altronde se la gente voleva ballare io non potevo che assecondare lo scopo per cui venivano alle nostre serate. Alcuni ragazzi tra il pubblico mi chiedevano di suonare loro i timbales per sopperire a questa mia “mancanza” e allora glieli prestavo ma solo per la penultima canzone della scaletta.
Riguardo questo brano scrissi “La gente voleva Chaca ca boom, boom”, che sono i colpi dei timbales, e in questo modo zittii i miei critici (ride) e nel contempo ebbi anche un brano di successo.
Israel: Fu un inno in tanti Paesi latinoamericani.
Joey: Mi lusinga e mi emoziona. Dopo la Cotique io feci altri cinque album tra i quali The Godfather (stesso titolo del film Il Padrino, che spopolava in quell’anno).
Ti racconto un aneddoto, Tito Rodríguez era vivo durante la registrazione dell’album e mi chiamò in studio dicendomi che gli avevano raccontato che stavo registrando il brano de Il Padrino, al ché gli dissi di sì e lui m’informò che stava facendo la stessa cosa, così ci facemmo una risata. Tito ha sempre avuto ottimi rapporti con me, e le nostre orchestre alle serate suonavano spesso assieme.
Altra cosa importante, io uscii con la copertina ispirata alla locandina del film e il brano de Il Padrino come traccia 1 del lato A; Tito Rodríguez invece uscì con la sua immagine e il brano lo mise come ultima traccia del lato B. Credo che lo arrangiò insieme a Louie Ramírez.
Foto di sinistra:Joey ai timbales – foto di destra: Joe Quijano, Joey Pastrana e Joe Cuba.
Foto di Joey Pastrana – cedute a Herencia Latina.
Israel: In quali locali di New York divenne popolare la banda di Joey Pastrana?
Joey: Al club Corso che era un po’ la mia casa poiché ci lavoravo tre volte alla settimana mentre per i restanti giorni lavoravo due volte a Brooklyn e due volte al Tropicana del Bronx, dove si affermò Ricky Ricardo (Desi Arnaz), il personaggio del programma “I Love Lucy”, prodotto da sua moglie Lucille Ball. Ricky Ricardo – nome con cui era noto nel programma – oltre al Tropicana suonava anche al club La Conga di Manhattan. Il Tropicana del Bronx aveva le stesse scenografie del suo programma e divenne popolare come lo fu il Palladium.
Israel: Desi Arnaz interpretò Babalú di Miguelito Valdés e El Cumbanchero di Rafael Hernández, cercando di mischiare il ritmo di Machito con la melodia di André Kostelanetz.
Joey: Imitava Miguelito Valdés, del quale io ero amico da quando lo incontrai a Puerto Rico, dove mi riconobbe prima che io riconoscessi lui; ci trovavamo in fila al Sindacato e ci presentammo l’un l’altro, dopodiché andammo a mangiare ad un ristorante cubano dove incontrammo Johnny Pacheco, Bobby Valentín e Vicentino Valdés e capitò una scena comica poiché Miguelito iniziò a scavare nel riso ed esclamò: “Ma dove sono i fagioli?”, cosa che ci fece ridere tutti per cinque minuti dato che il suo modo di parlare era sempre “cantato”. Fummo amici per i quattro anni successivi, finché morì. A volte mio fratello Willie lo chiamava scherzosamente Ricky Ricardo e lui rispondeva stizzito “Io sono Miguelito Valdés, l’originale, non la copia!” (Joey ride).
Israel: Ti piacevano i ritmi cubani?
Joey: In famiglia abbiam sempre ascoltato i ritmi cubani, mio padre adorava per esempio Sonora Matancera, Pérez Prado – prima di passare dalla musica latina a quella americana – Casino De La Playa, Riverside ed altri.
Israel: Quindi ascoltavi molta Guaracha, Mambo, Cha Cha Chá e Charanga?
Joey: La Charanga era della mia epoca, ‘66/’67 quando tutti si misero a ballarla a New York e nella quale Pacheco, grande amico mio, si inserì approfittando dell’onda. Pacheco amava la mia musica ma non gradiva il Boogaloo, insisteva affinché firmassi per la sua Fania Records ma io gli rispondevo che loro erano troppo in dissintonia con questo genere. Io, del resto, suonavo anche Salsa per non restare a terra qualora il genere fosse tramontato, cosa che altre bande, specializzate e bravissime nel Boogaloo, non fecero, così scomparvero appena arrivò la Salsa; alcune si dimostrarono proprio incapaci di “stare in clave”, così dopo magari un solo disco scomparvero per sempre.
Israel: Ne ricorda alcune?
Joey: No, ma ricordo che erano tante.
Israel: Lei è amico di Joe Bataan?
Joey: Certo, era uno di coloro che non suonavano molta musica latina, faceva musica americana e alla fine concludeva con una Cha Cha Chá; insieme facemmo molte serate, lui aveva la sua hit Gipsy Woman. Johnny Colon fece tre album, il primo di successo, i seguenti a scendere, poi si ritirò dalle scene per dedicarsi all’insegnamento della musica ai giovani.
Israel: Johnny affermò che molti impresari che gestivano le bande di Mambo, tra i quali José Curbelo e Ralph Mercado, boicottarono quelle di Boogaloo non offrendogli serate, montando una vera e propria cospirazione contro il genere musicale.
Joey: Sì, confermo, ma io non ne caddi vittima poiché suonavo anche Salsa; aggiungo che quando il Boogaloo iniziò a scemare, chi gli diede la botta finale fu la Fania Records.
Israel: Chiarissimo. Quindi perché non firmò mai per la Fania?
Joey: Perché la Fania con tutti i miei dinieghi mi divenne ostile, e ridevo su queste loro continue profferte.
Israel: Quindi non volle unirsi a loro?
Joey: No, perché c’erano troppi spocchiosi là dentro, così firmai con la discografica argentina Parnaso che aveva iniziato ad ampliare i propri interessi nella Salsa e composi per loro A Comer e El Padrino. Pure mio fratello Willie incise due album con loro.
Israel: E, dato che da Fania si era autoescluso, Parnaso Records le procurò serate a New York?
Joey: No, io seguitai a lavorare per conto mio e la cosa non mi danneggiò molto perché in radio trasmettevano i miei dischi, come per esempio Malambo che si vendette a New York e a Puerto Rico; tuttavia Jerry Masucci, il proprietario della Fania Records, si comportava scorrettamente perché dissuadeva i Dj radiofonici dal programmare certe orchestre: il Dj Polito Vega era un mio vicino di casa e gli davo io i miei dischi direttamente, al ché lui mi rispondeva “Guarda, io te li programmo ma questa gente potrebbe crearmi problemi perché mi tengono sott’occhio per danneggiarmi.” Ciononostante mi programmò The Godfather e un altro paio di pezzi.
Israel: Nessuno denunciò la Fania per queste pratiche?
Joey: Macché, la Fania si comprava tutti e tutti stavano zitti; per esempio, la Parnaso Records chiamava direttamente i Dj per protestare ma loro rispondevano che avevano già un sacco di musica e “non potevano certo metter tutto”: il risultato fu che la mia musica si diffuse di più in Venezuela, Argentina, Panama e Colombia che a New York.
Israel: Come venne in contatto con Ricardo Ray?
Joey: Stavo registrando un album economico per la Fonseca Records nello stesso periodo in cui stavano registrando Ricardo Ray, Bobby Cruz e Chivirico Dávila, quest’ultimo nel ruolo di lead vocalist perché per quei particolari brani Bobby Cruz non era ancora adatto (lo divenne poco dopo quell’esperienza); facemmo assieme le copertine dei nostri dischi e da allora restammo buoni amici.
Israel: Maestro, Herencia Latina pubblicò un’intervista al magnifico Chivirico Dávila in Cali, Colombia, dove affermò “Con Joey Pastrana io conobbi la gloria”: come ingaggiò Chivirico per il suo album The Real Thing – El Verdadero?
Joey: Lo conobbi quando lavorava per Ricardo Ray, poi cessò la collaborazione e andò a Chicago dove ebbe un serio alterco con suo figlio, della cui moglie si innamorò e con la quale scappò; il figlio lo cercava dappertutto per ammazzarlo quindi Chivirico decise di tornare a New York per sfuggirgli.
Una sera stavo lavorando al club Corso e pernottammo in una casa lì vicino che utilizzavamo per riposarci, allorché arrivò Chivirico, ci spiegò molto scosso la sua vicenda e ci disse che alloggiava lì vicino in un hotel; sotto il cappotto vestiva una camicia e sotto ancora un pigiama (Joey ride).
Gli offrii tre settimane di lavoro in studio per il mio imminente album da registrare; sulle prime rifiutò adducendo problemi di voce ma alla fine accettò perché necessitava denaro; registrammo così Pastrana Llegó (me lo cantò esattamente come volevo io, soprattutto nella splendida intro), poi The Real Thing e Campana: quest’ultimo brano era dedicato alla segretaria Juana del Dj Simphony Sid, eccellente persona di origini latine e giamaicane, brano finalizzato ad essere usato come sigla del suo programma radio. Tuttavia Tito Puente aveva già composto un Mambo per quel programma (Joey inizia a cantarlo) ma dopo la prima mezzora Sid metteva anche la mia, che era più afroide.
The Real Thing fu uno degli ultimi che feci con Cotique Records, l’ultimo fu Joey En Carnaval; quando morì il proprietario George Goldner gli eredi vollero vendere la discografica alla Fania Records e io dissi loro : “Con Fania non voglio lavorare.”
Israel: “Maestro, Lei ingaggiò Chivirico solo per l’album The Real Thing – El Verdadero per poi intraprendere ognuno le proprie strade?
Joey: Be’, Chivirico non era più in grado di cantare, quando lo portavo alle mie serate gli andava via la voce al primo set, e alla ripresa non cantava più; lui stesso mi confessò che non era in grado di cantar più di due brani, così me lo portai a Puerto Rico (dove quasi mi morì) insieme anche ad Héctor Lavoe…
Israel: Ossia che anche Lei invitò Héctor Lavoe nella sua banda?
Joey: Sì, Willie Colón lo aveva scaricato. Héctor Lavoe lo conoscevo prima che lui si unisse a Willie Colón, ed entrambi li conobbi alla spiaggia di Orchard nel Bronx dove suonavano, uno il trombone, l’altro cantando e suonando maracas. Mi divertivo con loro, all’epoca erano molto giovani.
Quando Willie Colón lo lasciò io gli chiesi: “Sarà dura per te adesso?” Ma lui tranquillo rispose: “No, ho un contratto con Fania Records per cui Willie non può incidere senza me né io senza la sua banda” per cui gli proposi di accompagnarmi a Puerto Rico spiegandogli che Chivirico non poteva sostenere una serata intera, accettando di fare il corista ed intervenendo all’occorrenza come lead vocalist (conosceva tutti i miei brani storici).
Israel: Héctor Lavoe faceva sia il corista che il lead vocalist?
Joey: Sì, entrambe le cose, ma quando lo venne a sapere la Fania, fecero le loro rimostranze e quell’esperienza fu interrotta. Come corista, partecipò ai miei due album A Comer e The Godfather.
Israel: A cosa s’ispirò Lei nel comporre Malambo?
Joey: Malambo fu scritta per i timbales (Joey intona il ritornello: “Me gusta los timbales pa’ gozar bembé”).
Israel: Il brano fu un successo a Puerto Rico e molti paesi latinoamericani, a tutt’oggi si può dire che è un classico della Salsa.
Joey: Sì, piacque molto a Puerto Rico, io lo composi per i miei antenati, le mie origini. Un altro classico della mia produzione è Riki Chi che ricordo sempre al mio pubblico cantando “Riki Chi, Oh No, No”.
Israel: All’epoca del Boogaloo quali bande le piacevano?
Joey: Mi piacevano Joe Cuba, Tony Pabón, Ricardo Ray, conobbi l’indio Cherokee, Doc Cheatam quando suonava al Metropol con Gene Krupa, poi Ralfy Pagán che era un cantante interessante ma più orientato verso la musica nordamericana.
Israel: Lei conobbe King Nando?
Joey: Caspita se lo conobbi! Viveva tra la 109a e la 110a strada dove suonava la chitarra e cantava. Fece un disco di successo a New York, “Fortuna”, che era romantico, come molti che uscirono in quell’epoca.
Israel: Perché la sua orchestra esce di scena a fine anni ottanta?
Joey: Pensa che nel ’93 organizzarono una celebrazione in cui mi diedero un premio alla carriera, in pratica mi consacrarono come leggenda della musica latina; lo stesso fecero con Jimmy Sabater, Willie Torres e altri: Marilyn Winters, un’ebrea americana, ex ballerina di Tito Rodríguez che non abbandonò mai l’ambiente latino, ideò l’evento e ci consegnò lei stessa i trofei.
Israel: Lei si allontanò dall’ambiente poco dopo questa premiazione?
Joey: No, a Pasqua ’98 suonai all’Hotel Condado Plaza a San Juan, Puerto Rico, e sporadicamente a New York.
Di fatto ne avevo un po’ abbastanza dell’ambiente, necessitavo una pausa, ero stanco di suonare; oltretutto il clima di New York non fece bene alla mia salute e mi trasferii in Florida: tuttavia ho delle canzoni pronte per una piccola banda qui in Florida e, sebbene non voglia esibirmi dal vivo, ho intenzione di incidere con loro.
Israel: Quando arrivò la Salsa Romantica Lei si tenne lontano da questa onda?
Joey: La Salsa Romantica ha le sue cose buone, ma non è il mio stile, io suono duro, mi piace che la gente avverta questo mio timbro; ha prodotto alcune cose belle, ma non mi inserii mai in quel circuito.
Israel: Quando si trasferì definitivamente in Florida?
Joey: nel 2004, a seguito dell’asma che contrassi nell’esercizio della mia attività di manutentore parchi, respirando il pulviscolo espulso dal tagliaerba; per sei mesi rimasi a letto con la polmonite; mi ritirai e seguii il consiglio di trasferirmi in uno stato con un clima più adatto per chi ha queste insufficienze respiratorie.
Israel: Le piace vivere qui in Florida?
Joey, Sì, il posto è bello e il clima di Fort Myers è simile a quello di Puerto Rico con una media di 21° centigradi; faccio esercizio fisico, compongo musica, scrivo testi, non bevo e non fumo.
Israel: Qual è l’album che le ha fruttato di più economicamente?
Joey: Joey En Carnavale che ha molti brani perfetti, anche se non so esprimere un ordine di preferenza, mi piaccion tutti.
Israel: Come si comportò la Cotique Records sia a livello di compensi che di libertà creativa?
Joey: Economicamente molto male perché a parte il compenso fisso stabilito per l’incisione non ho mai ricevuto alcuna royalty e sto cercando un legale per riappropriarmi di ciò che mi spetta, dato che le mie opere son state riprodotte e rivendute senza che io venissi minimamente coinvolto nei ricavi: stanno lucrando sulle mie opere d’ingegno, è una chiara violazione dei diritti d’autore.
Israel: In una intervista pubblicata su Herencia Latina i New Swing Sextet si lamentarono della stessa cosa, dischi riprodotti da altri ma senza nessun compenso per loro, uno scandalo in considerazione della ricchezza artistica prodotta da tutta una generazione di musicisti.
Joey: In molte parti del mondo vendono tuttora i miei dischi, per esempio in Venezuela, Colombia, New York, Spagna, Inghilterra, Puerto Rico, Panama ed altri, mentre io non ricevo nulla; anche altre bande furono ingannate come i Lebrón Brothers, Johnny Colón, New Swing Sextet e molti altri, mentre i proprietari della Cotique Records si arricchirono con le nostre produzioni: eppure anche noi musicisti invecchiamo e necessitiamo crearci una base economica per vivere quest’ultima tappa della nostra vita felicemente e dignitosamente.
Israel: Joe Quijano mi ha detto che Lei ha raccolto i suoi successi in un CD per metterli in vendita, può darci i dettagli di questa operazione?
Joey: Sì, ho stampato un CD autoprodotto quindi con i costi a mio carico, comprendente brani tutti composti da me, affinché nessun possa reclamarli come suoi, e son tutti registrati alla Società degli Autori; ora cerco un impresario che voglia occuparsi del lancio di questo CD in maniera che possa generare profitti.
Israel: Maestro, Lei è in buoni rapporti con Joe Quijano?
Joey: E’ un fratello per me, lo conosco da quando arrivai nel Bronx…
Israel: Le vostre orchestre suonarono mai assieme nelle stesse serate?
Joey: Sì, diverse volte, come al Bronx Casino (che ora è una chiesa), dove si esibirono bande come quelle di Tito Puente, Tito Rodríguez, la mia, quella di Joe Quijano, Eddie e Charlie Palmieri e Johnny El Bravo López.
Israel: Ha nuovi progetti, nuove sue composizioni da incidere?
Joey: Sì, penso di metter su una banda qui e di rimettermi a suonare.
Israel: Come arrivò al suono forte e crudo che caratterizzò la sua come molte altre bande newyorchesi della seconda metà anni ’60?
Joey: Di fatto all’epoca la gente voleva ballare, e per far sì che ciò accadesse bisognava suonare forte e duro; nel Barrio, se non avevi questa caratteristica, eran problemi per la banda, generava un passaparola negativo, per cui ognuno sentiva la necessità di suonare col diavolo addosso (ride): andar sul palco e non riuscire a far ballare la gente poteva rivelarsi fatale per la banda.
Israel: In quali relazioni è con Ismael Miranda?
Joey: Prima di lasciare New York per la Florida lo chiamai e mi disse che stava bene ed era ingrassato, cosa poco immaginabile per quel “magrolino” che possiamo ricordarci nella foto del nostro primo album; mi raccontò che adesso ha la faccia grande come un pallone!
Israel: Ha più cantato per Lei?
Joey: No, dopo il mio primo album, mai più perché andò con Larry Harlow; io non avevo molte serate e lui aveva il problema di sfuggire alla chiamata di leva per il Vietnam, cosa che gli riuscì lavorando molto per Larry Harlow: gli dissi “Non ti preoccupare, io ingaggerò Chombo in tua sostituzione”.
Israel: José “Chombo” Rodríguez vive sempre a Puerto Rico?
Joey: No, Joe Quijano mi ha detto che è scomparso, sembra per un attacco cardiaco, lo apprese dalla radio; era un bravo ragazzo, anche se talvolta faceva il matto.
Israel: Sa qualcosa dell’altro suo cantante, Carlos Santos?
Joey: Lui si trasferì ad Orlando, a quattro ore da qui.
Israel: Siete in contatto?
Joey: Sì, mi chiama sempre quando passa da queste parti; dovrei avere il suo numero da qualche parte ma non credo che conosca il mio nuovo numero dato che ho traslocato di recente. Certamente mio fratello minore ha il suo numero.
Israel: Chi, Willie Pastrana?
Joey: No, Tony, il più piccolo di noi tre.
Israel: E Willie che fa adesso?
Joey: Vive a New York e lavora per il municipio; al momento sta preparando un CD per la sua orchestra attuale, intende lanciarlo nel 2006.
Israel: Quanti figli ha Lei?
Joey: Una figlia e un figlio.
Israel: Lei è nonno?
Joey: Caspita, sì, ho una nipote di 14 anni.
Israel: I suoi figli amano la musica?
Joey: No, non mi sono usciti musicisti! Miguel suona un po’ la conga ma non a livello da musicista.
Israel: Lei vive con sua moglie?
Joey: No, divorziai circa cinque anni fa quando mi ammalai, vivo qui da solo e ho un po’ di amiche che mi vengono a trovare (ride) ma ci sto attento, perché a portarle a cena son spese (ride).
Israel: La sua ex moglie è cantante?
Joey: No, mi aiutava nella parte grafica e nelle note degli album, si chiama Dana Torres.
Israel: E’ portoricana?
Joey: No, ebrea americana
Israel: Se le dovessero chiedere di radunare la banda di Joey Pastrana, quali integranti sceglierebbe?
Joey: Adesso?
Israel: Sì.
Joey: E come potrei farlo, se nemmeno so dove vivono i miei ex colleghi?
Israel: E allora, proviamo ad immaginarla.
Joey: Ok, me la immagino con Tito Rodríguez come lead vocalist, Mongo Santamaria alle congas, Chiky Pérez (ex integrante della banda di Tito Puente e che lavorò nel mio primo album) al bongó, Puchy (altro mio ex integrante), Angel Rodríguez e Larry Spencer alle trombe, Jack Hitchcok e Barry Rogers ai tromboni infine Bobby Rodríguez (altro ex integrante di Tito Puente) al basso.
Israel: Quali sono le sue bande preferite?
Joey: Machito, Tito Rodríguez, Tito Puente (amavo le big bands, ma durante la mia epoca non c’era lavoro per questo formato orchestrale), Pérez Prado, Charlie ed Eddie Palmieri, Ricardo Ray, Joe Quijano y su Orquesta Cachana e Joe Cuba.
Israel: E tra le orchestre cubane?
Joey: Chapotín, Orquesta Casino de la Playa, Aragón, Fajardo y sus Estrellas (con cui spesso condividevo le serate), Lou Pérez… Mi piace Patato Valdés.
Ti racconto un aneddoto su Patato, stavo suonando congas nel Bronx e gli dico “Son già le 18, devo andare perché domani sera parto per la California” e lui col suo gergo (Joey lo imita) “Va bene, ci vediamo”; il giorno dopo arriviamo al locale e iniziamo a suonare quando all’improvviso entra Patato Valdés e gli chiedo sorpreso “Che ci fai qui?” e lui “Io te l’ho detto che sarei venuto qui, sei tu che non hai capito!”: due giorni dopo me lo rivedo in un locale in Florida e … terminammo la tournée incontrandoci anche a Puerto Rico!
Israel: E tra le orchestre portoricane?
Joey: Cortijo e Ismael Rivera, ho una foto insieme a loro due e Kako, Santos Colón e Azuquita: te la cedo.
Sapevi che avevo scritto due brani a Cortijo? Aguacero e Oriza. Tra le tante volte che viaggiai a Puerto Rico mi capitò di incontrare Cortijo senza Ismael per cui gli chiesi dove fosse, e lui mi rispose che si era nascosto a Panama (era ricercato dalla polizia); recandomi a Panama per la tournée ho chiesto di lui a un nostro fan che ci condusse a un vecchio hotel dove una vecchietta si staccò un attimo dai fornelli per andarmelo a chiamare: Ismael mi abbracciò fortissimo, mi disse che stava bene e parlammo fino a notte inoltrata.
Quando tornai a Puerto Rico riferii l’episodio a Cortijo e i dettagli del suo indirizzo; quando Ismael risolse i suoi problemi con la legge me lo ritrovo nel Bronx con la sua banda offrendomi di presenziare alla sua registrazione, dopodiché chiacchierammo cinque ore: lui mi chiamava “Pastranita”.
Israel: Pastrana è un nome portoricano?
Joey: No, siamo in pochi ad averlo lì.
Israel: Penso sia più sudamericano, per esempio in Colombia elessero due presidenti con quel nome…. Stranamente erano padre e figlio (ridono)!
Joey: A Cuba ci son molti Pastrana, mi dissero che ha origini spagnole ed arrivò a Puerto Rico passando da Cuba; un’altra cosa che mi raccontarono fu che fosse relazionato con la Casa Reale Spagnola, nello specifico i loro cuochi si chiamavano così: non saprei, a mio padre e a molti miei zii comunque piace cucinare, e a Puerto Rico c’è un ristorante con quel nome, credo a Santurce..
Israel: Dei paesi in cui ha vissuto quale le è piaciuto di più?
Joey: Puerto Rico, perché la gente ama ballare e perché è la mia isola, ma mi è piaciuto anche il Panama e mi sorprese pure l’isola di Saint Thomas perché nonostante la sua popolazione fosse di discendenza inglese o africana, apprezzavano la musica latina.
Israel: Joey, a St. Thomas (British Virgin Islands) si stabilirono molti portoricani dell’isola di Vieques e si ascolta molto la radio portoricana.
Joey: Sì, me lo avevan detto in occasione dei miei tre concerti nell’isola.
Israel: Ha saputo che la sua musica si sta ascoltando in Francia, Inghilterra, Italia e Spagna?
Joey: Sì, la cosa mi ha sorpreso e ribadisco che non ricevo un centesimo da queste vendite (ride), dovrebbero pagarmi un tot sulle vendite e sui passaggi in radio, ma ciò succede solo con la BMI con cui mi associai fin dalla mia prima incisione e che tuttora mi manda un resoconto trimestrale sui miei compensi riguardanti il Giappone, la Spagna, l’Argentina e altri paesi.
Israel: Lei vive solo con la pensione?
Joey: Esatto.
Israel: Le due coriste quando smisero di cantare?
Joey: Quando cessò la collaborazione con Cotique Records; non fu facile continuare con la musica latina così si diedero al Rock.
Israel: Ci racconti del Boogaloo che compose per Machito.
Joey: Con Machito era diverso, perché quando la sua discografica non gli rinnovò il contratto rimase senza lavoro, così George Goldner della Cotique Records decise di ingaggiarlo a patto che io mi inventassi un Boogaloo per lui, cosa che non aveva mai avuto nel suo repertorio.
Andai a casa, ci pensai molto fino a ricordarmi che avevo già un brano fatto, ed era adatto a Machito, così andai da Mario Bauzá e gli diedi Ahora Sí, per dargli un’idea di come fosse un Boogaloo.
Ne scrissi uno anche per Graciela, ma con arie più da Mambo; Mario Bauzá disse a Machito “Facciamolo, dai, dai!” e il giorno stesso li aveva arrangiati entrambi; m’invito a tornare l’indomani per sentirli suonati, cosa che mi meravigliò per la velocità.
Il giorno dopo, alle prove, Bauzá mi sorprese per il lavoro fatto e Machito e Graciela mi misero come arrangiatore nei crediti della canzone; i brani furono lanciati e divennero subito dei successi in tutta New York, causandomi anche qualche problema con Tito Puente che non gradiva che uno della sua generazione se ne uscisse con un Boogaloo: di fatto, poi, non erano ritmicamente dei Boogaloo bensì della Guarachas col cantato allo stile Boogaloo.
Un giorno incontrai il figlio di Machito dicendomi che mi “odiava”, e quando gli chiesi il perché rispose “Il Boogaloo che hai scritto per mio padre me lo chiedono in tutto il mondo, Ahora Sí!”
Ho incluso anche questo brano nella raccolta dei miei successi.
Israel: Maestro, chi la spinse a stampare questo CD?
Joey: Tina Roppe, una gran donna che mi ha aiutato molto qui a Fort Myers.
Israel: Grazie Maestro.
VIVA PASTRANA!
Intervista di Israel Sánchez-Coll a Joey Pastrana (Maggio 2006) per www.herencialatina.com
Israel Sánchez-Coll Fort Myers, Florida, Dicembre 2006
Intervista di Tommy Salsero e Dj Guaci realizzata al Festival Latino Americando il 28 Giugno 2008
L’intervista a Cheo Feliciano
Tommy Salsero: C’è un nuovo disco all’orizzonte con Ruben Blades.
Il disco è un progetto che stiamo portando avanti da molto tempo, però dato che Ruben è molto occupato con il Ministero del Turismo di Panama dobbiamo aspettare che registri la sua parte, mentre la mia è già pronta.
Il concetto del disco è che io canterò i suoi successi e lui i miei.
Spero che il disco sia disponibile alla vendita entro la fine di quest’anno.
Tommy Salsero: Che differenza c’è tra il modo di registrare una canzone oggi e nel passato, quando si registrava con un suono più aggressivo, più duro e tutti suonavano insieme?
C’è da dire che tutto si modifica, le nuove generazioni vogliono utilizzare i loro procedimenti e le nuove forme tecnologiche per registrare cercando la perfezione nel completare un prodotto.
Ai nostri tempi invece si dava la priorità a edificare bene un prodotto e non a come ultimarlo. C’era più sentimento e si cercava di proiettare le emozioni del momento, il calore, e per fare questo si realizzava tutto insieme e non in maniera fredda un pezzo alla volta.
Però alla fine quel che conta è che si continui a far salsa!
Tommy Salsero: Durante il tuo soggiorno presso il centro Hogar Crea (Centro di recupero per tossicodipendenti) hai registrato con l’orchestra Impacto Crea?
Si.
Tommy Salsero: Puoi parlarci del progetto Impacto Crea?
Il progetto nacque da alcuni musicisti che avevano avuto il mio stesso problema, tutti cercavamo un aiuto e per questo creammo il progetto CREA che all’epoca era agli inizi ma che oggi rappresenta un’istituzione fra le maggiori al mondo attiva nella lotta contro la droga, Hogares Crea Internacional. Questi musicisti in quel periodo cercavano di ricostruire la propria vita, esattamente come me, e prima di tutto volevamo lasciare un messaggio per essere d’esempio e far comprendere cosa stava succedendo dentro la fondazione Crea e dentro noi stessi. Fu un progetto molto bello.
Dj Guaci: Attualmente quali sono i musicisti portoricani che stanno facendo la miglior musica, quella che piace a te?
Ti posso dire che recentemente, lo scorso 20 Giugno, abbiamo celebrato i miei 50 anni nella salsa nel Madison Square Garden e mi ha accompagnato la Spanish Harlem Orquesta; quei ragazzi sono incredibili, i migliori che ci sono attualmente, sia come orchestra indipendente che per accompagnare qualsiasi cantante.
The Spanish Harlem Orquesta di Oscar Hernández, incredibili!
Cheo Feliciano con la Spanish Harlem Orchestra
Dj Guaci: È stato un onore e un piacere intervistarla.Può lasciare un saluto per tutti gli italiani che amano la salsa buena?
Io vorrei ringraziare di cuore ai salseri italiani che sono tanti.
A Portorico durante il Congresso della Salsa gli italiani sono stati cinque volte campioni della salsa!
Possiamo dire che l’Italia è la salsa!
Ed io vi voglio molto bene.
Dj Guaci: Un saluto per Salsabox che è il mio programma nella televisione de Lasalsavive.
Amici miei, un saluto dal vostro fratello Cheo invitandoli a guardare Salsabox, perchè questa è salsa, il resto è solo una copia!
I saluti di Cheo Feliciano ai lettori de LaSalsaVive
Intervista di Tommy Salsero realizzata durante l’Energy Days di Bologna il 3 Gennaio 2009
Il Maestro Leonardo Martinez Moya racconta della prima volta che venne in Italia con il Conjunto Folklorico nacional de Cuba e della storia del ballo cubano.
Intervista a Leonardo Martinez Moya – Bologna 03/01/09
Ecco la telefonata “vigliacca” che abbiamo fatto al Maestro Marco Francesconi e a cui ha preso parte anche Francesco Scalvenzi degli Alafia, durante la diretta radio del ns. programma di salsa classica di sabato 3 novembre.
Salve Maestro è un piacere essere qui con lei e vorrei darle il benvenuto nel nostro paese da parte del nostro sito Lasalsavive.org e ringraziarla per questa intervista.
Quando ha iniziato a suonare e quali sono state le sue influenze musicali?
Ho iniziato a suonare a cinque anni grazie ad una fisarmonica che mi regalarono i miei genitori. Sono stato influenzato dai miei familiari, che vantano due generazioni nella musica popolare e classica.
Suonavano anche i miei zii e guardandoli ho imparato molto.
Ci riunivamo tutti a casa dei miei nonni dove c’erano due pianoforti; c’era chi suonava la chitarra, chi il piano e tutti cantavano.
Fu così che mi innamorai del piano, infatti volevo suonarlo sempre.
Però a casa mia non ne avevamo uno e per questo motivo imparai a suonarlo solo più tardi.
Quali sono stati i pianisti caraibici di jazz latino o di musica latina in generale che l’hanno influenzata maggiormente?
Inizialmente c’è un mio antenato Juan Morel Campos che era un grande compositore di danzas portoricane e che era portoricano mentre io sono dominicano.
Lui andava a casa dei miei nonni, questo molto prima che io nascessi.
Perciò si ascoltava e si suonava molta musica sua nella nostra famiglia.
A seguire l’influenza cubana è stata molto importante, Lecuona, Saumel e Cervantes, e anche la contradanza.
Tutta questa musica si suonava molto a casa mia.
Può raccontarci della sua carriera musicale all’inizio e dopo il suo trasferimento a New York?
Dai cinque ai nove anni ho suonato ad orecchio, dopo ho iniziato a suonare il piano e mi sono iscritto al conservatorio nazionale di musica dove ho proseguito gli studi per 13 anni e mi sono diplomato.
A 14 anni ho scoperto il jazz grazie ad un mio zio che faceva un programma radio di due ore tutti i lunedì dedicato al jazz.
Fu lì che ascoltai per la prima volta il grande Art Tatum che suonava “Tea for Two” con un solo piano e fu così che mi innamorai di uno stile nuovo: il jazz.
Fino a quel momento avevo suonato solo musica classica, da lì in avanti avrei iniziato ad approfondire anche la musica popolare e le mie radici latine.
A 16 anni sono entrato a far parte della Orquesta Sinfónica Nacional del mio paese come membro più giovane; i miei maestri del conservatorio, che erano membri della Sinfonica, mi raccomandarono per un provino davanti al direttore che mi ascoltò suonare e mi fece entrare nell’Orchestra.
Successivamente imparai a suonare le percussioni sinfoniche ed entrai a far parte della sezione di percussioni dell’orchestra sinfonica dove rimasi fino alla mia partenza per New York.
Quello fu il mio collegamento con New York, perchè quando si inaugurò il Teatro Nacional di Santo Domingo vennero alcuni musicisti da New York a rinforzare l’orchestra Sinfonica e mi ascoltarono mentre suonavo jazz.
Mi dissero: “Com’è che suoni jazz?” ed io: “mi piace molto suonare questa musica” e loro: “però dovresti andare a New York!”.
Uno di loro mi invitò a New York per guardare e per conoscere l’ambiente jazz.
Dormivo a casa sua e la notte andavo a vedere i club di jazz di New York; fu così che mi innamorai di New York e maturai la decisione di andarci a vivere.
Suonai con alcuni musicisti alcune jam sessions e descargas ma principalmente di jazz e non latine.
Poi ritornai a Santo Domingo e il mio amico continuava a scrivermi invitandomi di nuovo a New York e dicendomi “quando vieni, quando vieni?”.
Finalmente nel 1979 feci il grande salto verso New York e fu lì che il mio modo di suonare jazz cambiò e divenne più latino; non volevo perdere le mie radici caraibiche e per questo incorporai i ritmi e le radici latine nel mio modo di suonare il jazz.
Fu così che iniziò a crearsi il mio stile.
Ci tengo a dire che quando arrivai a New York non fu per lavorare ma per studiare: continuai i miei studi alla Juilliard School e al Mannes College che erano grandi accademie classiche e dove studiai molta musica classica.
Inoltre prendevo lezioni private di jazz da altri maestri.
In queste due accademie importanti ebbi l’opportunità di studiare piano, composizione, orchestrazione e direzione d’orchestra.
Tutto questo a New York!
C’è un nostro amico cubano che ci aveva raccontato di una sua amicizia con Emiliano Salvador, può confermare se ha avuto delle collaborazioni con lui?
Beh, in realtà io non conoscevo Emiliano Salvador, però lui mi conosceva per la mia musica così come io lo conoscevo per la sua, per i dischi che avevamo registrato.
Certamente Emiliano era molto rispettato a New York da tutti i musicisti latini perchè a New York i suoi dischi erano reperibili.
E la vita che è sempre piena di sorprese ha voluto che il mio bassista di oggi, Charles Flores, fosse anche il suo bassista e fece molti tour a livello mondiale con lui.
Ma non ci sono mai state delle collaborazioni dirette?
Dirette, no.
Quello che c’è stato è che quando andai a Cuba conobbi la famiglia e i figli di Emiliano, che era già morto.
In quel periodo stavano girando un film sulla sua vita e mi chiesero una dichiarazione; io naturalmente dissi quel che sentivo per la sua musica e quanto lo ammirassi come musicista.
Come nasce la sua tecnica percussiva che ha nel suonare il piano e che esercizi bisogna fare per poterla imparare?
Come ti ho detto prima io ho una formazione come percussionista classico perchè ho appreso tutte le tecniche dei redoblantes, dei timpani e della gran cassa e di tutta la sezione delle percussioni e non solo il piano e la celesta.
Io suono anche il vibrafono e la marimba e il Tom Tom, tutta la sezione intera.
Questo mi tornò utile successivamente quando a New York iniziai a suonare con i grandi batteristi come Steve Gadd, Dave Weckl, Marvin “Smitty” Smith, Horacio “El Negro” Hernandez, Dafnis Prieto, Cliff Almond, insomma molti batteristi hanno suonato con il mio trio e siccome io conosco lo strumento, potevo parlare lo stesso linguaggio con loro.
E tutta questa tecnica mi è servita per comunicare con loro, per dare un suono speciale al mio trio e per poter applicare questa tecnica delle percussioni al piano, perchè il piano è anche uno strumento percussivo.
E il piano nella grande letteratura classica, ad es. Stravinskij, Berio ecc. ha sempre avuto una grande influenza percussiva.
Il piano moderno nella musica classica necessita di questo tocco percussivo, come in Petruška di Stravinsky o Bernstein.
Come ha conosciuto Tomatito e come è nata la passione per il flamenco? Inoltre può dirci qual è stata l’influenza del tango argentino nel suo lavoro Spain II?
Intanto Tomatito era amico di un gruppo di nuovo flamenco che si chiamava Ketama e che era molto popolare in Spagna.
Loro erano molto appassionati di musica latina e volevano fare un disco con molta influenza di salsa e songo.
Questo disco si chiama “Pa gente con alma”, dove suono anche io.
Io li ho aiutati a produrre questo disco al 50%: ci sono molti ritmi latini ed è come un distacco da quello che stavo facendo io fino a quel momento.
Quando stavamo registrando a Madrid, Tomatito era nel nostro studio di registrazione e gli piacque moltissimo il sound latino con flamenco che stavamo registrando; fu così che diventammo amici.
Cinque anni dopo, durante il festival di jazz di Barcellona, gli organizzatori, che sapevano della mia passione per il flamenco, mi chiesero se volevo fare qualcosa in collaborazione sul flamenco.
Gli chiesi: “e con chi?”.
E loro: “sarebbe bello farla con Tomatito“!
Gli risposi che lo conoscevo e che eravamo buoni amici.
Al che mi dissero: “e lui sarebbe disponibile?”.
La mia risposta fu che non lo sapevo, ma che se lui avesse detto di si io sarei stato d’accordo.
Fu così che nacque la nostra collaborazione al festival di jazz di Barcellona ed ebbe un successo a livello mondiale.
Il problema è che il nostro repertorio era molto limitato, c’erano solo tre pezzi pronti così pensammo di fare un concerto in cui suonavamo la chitarra ed il piano da soli per poi incontrarci nel finale e suonare insieme i tre pezzi.
Il pubblico impazzì e i promotori presenti cominciarono a chiederci di suonare insieme; abbiamo fatto due anni di concerti per il mondo ancora prima di registrare il primo Spain.
Fu un successo clamoroso e dopo quattro anni in tour per il mondo, tra Caraibi, Stati Uniti, Europa e Giappone, decidemmo di fermarci un po’.
Dopo tre anni ci riunimmo e nacque Spain II: l’occasione fu quella di un Festival europeo molto importante, il North Sea Jazz Festival in Olanda.
Fu lì che ci rincontrammo.
Suonammo tre volte, la prima io da solo, poi Tomatito sempre solo e alla fine tutti e due insieme dove suonammo Spain.
La cosa ci piacque tanto, la musica ci sembrava fresca, forse anche per il fatto che era da tempo che non suonavamo insieme.
Così decidemmo che era giunto il momento per realizzare la seconda parte di Spain.
In camerino iniziammo a parlarne, Tomatito mi disse che andava spesso a Buenos Aires, che gli piaceva il tango e che era un fanatico di Piazzolla.
Gli risposi che anche io lo ero!
Fu l’inizio del disco.
Pensammo di fare un tributo a Piazzolla e così nacque la radice del disco, la parte centrale; il resto lo creammo in seguito.
Con Spain II facemmo 42 concerti per il mondo con grande successo.
Suonammo due volte anche in Italia, a Roma, nell’auditorium Parco della Musica.
Girammo tutto il mondo e fu una cosa meravigliosa.
Adesso stiamo pensando alla prossima tappa e forse il prossimo anno realizzeremo un altro album di Spain, il terzo.
Quali sono i suoi pianisti contemporanei preferiti e con chi vorrebbe suonare insieme?
Ti posso dire che ho avuto la fortuna di suonare già con alcuni di loro, ad esempio con Herbie Hancock in un Festival in Giappone e alla fine facemmo una gran descarga, una jam session con la Orchestra de la Luz.
Iniziammo a suonare “So What” di Miles Davis ed io chiamai anche Herbie Hancock e Wayne Shorter che stavano suonando insieme.
Facemmo un gran finale davvero molto speciale suonando per circa mezz’ora “So What” a tempo di salsa!
Fu una follia!
Con loro sono molto amico.
Devo fare una tourneè per tutta l’Europa, gli Stati Uniti ed i Caraibi con Chucho Valdes che è un grande amico. Questa collaborazione è nata per caso quando mi invitò al Festival di Jazz che dirige all’Habana e alla fine del mio concerto mi chiamò per suonare al piano una descarga improvvisata che piacque a tutti quanti e così la portammo in giro per tutto il mondo.
Se andate su youtube potete vedere le immagini.
Abbiamo fatto un incontro fra pianisti dei caraibi con Gonzalo Rubalcaba a Santo Domingo ed è stato fantastico.
Sai che a New York esisteva una serie di concerti chiamata “Latin Piano in concert” che si svolgevano al Lehman College dove si esibivano cinque pianisti latini per volta accompagnati da una band di salsa. Una tradizione importante che non si svolge più.
Lì avevo fatto delle descargas con Eddie Palmieri, Charlie Palmieri, Hilton Ruiz, Chucho Valdes e con tanti altri artisti.
Ognuno suonava alcuni brani del proprio repertorio e alla fine tutti insieme.
Era una vera follia!
Quali sono i progetti futuri che vorrebbe realizzare?
Ho un progetto che non è latino ma di musica classica.
Devo scrivere il mio secondo concerto per pianoforte e orchestra che sarà registrato all’Auditorium di Tenerife (Isole Canarie) il prossimo 13/14 Marzo.(ndr: la data si riferisce al 2009)
Sto scrivendo i pezzi tra un tour e l’altro.
Il primo concerto l’ho scritto nel 1999 e l’ho già suonato almeno 50 volte in tutto il mondo (Danimarca, Spagna, Inghilterra, Stati Uniti, Caraibi), però mi manca ancora l’Italia e spero che presto qualcuno mi inviti a suonare con un’orchestra sinfonica italiana. Michel Camilo saluta LaSalsaVive
Ringraziamo la Sig.ra Maria Savino dell’Ufficio stampa eventiduemila entertainment gruppo ede – Torino, la Sig.ra Sara Soria di Adam e il manager di Michel Camilo, Sig. Toni Lama per averci dato la possibilità di intervistare Michel Camilo.
Domande a cura della redazione de Lasalsavive, Tommy Salsero.Ringraziamo inoltre l’amico Fabrizio Zoro e la Radio Svizzera Italiana. Traduzione di Max Chevere, foto di Cafè Caribe, Daikil e Max Chevere
Qual è la situazione dei nuovi immigranti latini attualmente negli Stati Uniti?
Credo che la situazione sia molto migliorata rispetto al passato.
I nuovi immigrati latini hanno una maggiore coscienza che per far valere i propri diritti è necessario essere attivi.
La prima cosa che devono capire è che non sono più in America Latina, che prima di tutto sono ispanici di origine latina e solo dopo Colombiani, Portoricani, o quel che sia.
Questo è l’unico modo per poter arrivare a creare un’agenda mutua dove potersi organizzare in maniera tale da realizzare qualcosa di positivo.
Questo è molto difficile per noi latini perchè siamo abituati a competere uno contro l’altro, per questo motivo la musica è un mezzo molto importante, perchè la musica appassiona tutti e al tempo stesso ha un valore socio-politico nell’unire tanti latini in uno stesso ambiente e questo è molto positivo.
Che ruolo svolge nel comune di New York?
Io sono un funzionario del comune di New York ed in questo periodo non ho lavorato per fare la tourneè. Io sono stato uno dei primi a realizzare corsi per chiedere la cittadinanza americana e a organizzare i latini a New York. Gli Stati Uniti sono un paese formato da immigrati, prima arrivarono gli inglesi, gli islandesi, gli italiani, gli ebrei, e tutti si organizzarono per ottenere i propri diritti. Noi invece siamo arrivati e ci siamo nascosti nell’ombra, senza partecipare all’amministrazione dellà nostra società e questo ha rappresentato una nostra mancanza di responsabilità.
Perchè Willie Colon abbandona la musica e cosa farà in futuro?
Intanto continuerò a suonare fino alla fine del 2007.
Ho diversi progetti: voglio scrivere dei libri, voglio comporre musica, voglio andare a pescare e voglio riposare un poco, anche perchè sono più di 40 anni che vado avanti e mi piacerebbe lasciare il posto a qualche nuovo artista.
Il mio futuro non è da guerriero piuttosto da statista.
Ha detto che vorrebbe scrivere dei libri, su cosa?
Sulla vita dei latino americani negli Stati Uniti
Chi è stato il primo musicista a utilizzare il trombone nella salsa e chi l’ha ispirata maggiormente?
Il musicista che mi ha influenzato maggiormente è stato Barry Rogers che era un ebreo e suonò con Eddie Palmieri, mentre il primo gruppo a utilizzare solo tromboni fu quello di Mon Rivera e Barry suonava con questo gruppo.
Che importanza hanno avuto i musicisti portoricani nella creazione della salsa?
I musicisti portoricani hanno avuto molto a che vedere con la nascita del jazz.
Verso la fine del 1800 era illegale che i musicisti bianchi suonassero con quelli di colore, e dato che gli unici musicisti che sapevano leggere sufficientemente la musica erano quelli portoricani, e visto che erano anche mulatti (trigueñitos), potevano suonare insieme ai musicisti di colore.
Il direttore musicale di uno dei primi prototipi di gruppi misti di jazz fu Rafael Hernandez, che è stato uno dei compositori latini più importanti.
Ma quello che pochi sanno è che Rafael Hernandez suonava il trombone ed era uno dei direttori musicali più conosciuti nell’ambiente jazz.
I miei nonni arrivarono a New York negli anni 20 e la nostra generazione aveva la fortuna di poter usufruire di infrastrutture come giornali e radio, di conseguenza vivendo a contatto con il jazz, con i musicisti jazz di colore, con il rock ‘n’ roll, con i portoricani, i dominicani, i cubani tutti insieme.
Insomma era il posto adatto perchè nascesse questa fusione musicale chiamata salsa.
C’è musica nel futuro di Willie Colon?
Si, stiamo terminando un disco adesso e abbiamo quasi 14 canzoni pronte.
Dovrebbe essere il mio ultimo disco, almeno credo e dovrebbe essere pronto per Settembre.
E più avanti?
Io non dico nulla.L’uomo propone e Dio dispone.
Potrei vendere biro in un angolo della strada, chi lo sa?
Questa è l’intervista che gli organizzatori del Festival hanno fatto a Willie Colon prima del concerto e della quale potete vedere il filmato a seguire.
Benvenuto al festival Latino Americando di Milano.
Il suo concerto chiuderà la manifestazione.
Come vanno le cose maestro?
Stiamo viaggiando per l’Europa, questa è l’ultima data di questo tour europeo.
Devo dire che la risposta del pubblico è stata sorprendente, tutti i concerti hanno avuto un grande seguito e siamo davvero molto contenti.
Lei è stato uno dei pionieri della salsa, negli anni settanta Tito Puente disse che l’unica salsa era quella di pomodoro, lei invece cosa pensa della salsa e come è stato accolto in quegli anni?
La salsa ha rappresentato un momento di riconciliazione e di unione per tutti i gruppi sociali in america latina: gli indios con gli europei e con gli africani.
La salsa è nata a New York come una fusione fra le varie radici musicali: cubana,colombiana,portoricana,dominicana, ecc.
I veterani pensavano suonava male, che non si poteva fare, che non era giusto mischiare tanti generi diversi e siccome noi stavamo mischiando la chiamammo salsa.
Come sta andando la sua carriera adesso.
La prossima settimana andremo in Venezuela, inoltre stiamo lavorando ad un nuovo disco che sarà l’ultimo.
Il prossimo anno mi ritirerò dalla scena musicale in quanto credo sia giunto il momento ma sto lavorando ad altri progetti.
Si ringrazia l’organizzazione del Festival Latino Americando per la disponibilità dimostrata
Uno spezzone dell’intervista a Willie Colon
Calle Luna, Calle Sol, tratto dal concerto di Willie Colon
Articolo tratto da “El Manisero- Revista de la Musica Latina” numero 0 – ottobre 1993
Ventisei anni fa, nel 1967, Ralph Mercado attaccava da solo, per le strade di New York, i manifesti che annunciavano i concerti di alcune orchestre latine che, più tardi, si convertirono in “Estrellas de Fania”.
Nel suo lavoro di propaganda lo aiutava una galiziana, Dolores Santos, la stessa che lo scorso 22 luglio ci fece da anfitriona, nella sua casa di Cullera (Valencia), per un incontro di 5 ore con il manager mondiale della Salsa.
Attualmente Ralph Mercado è il capo di una Holding di imprese mondiali che si dedicano alla Salsa e a tutti i suoi ingredienti: concerti, edizioni discografiche, festival internazionali, videoclips, films, promozioni, ecc. E’ socio di Jerry Masucci per “Las Estrellas de Fania”; è proprietario di RMM records & video Corp., un’organizzazione con studi propri e Joint Venture in America Latina, Europa e Giappone; i suoi marchi discografici: RMM Records, Soho latino, Tropijazz e Sonero Records si trovano in tutto il mondo e gli artisti del suo catalogo superano la cinquantina tra i quali i famosi Celia Cruz, Tito Puente, Oscar D’Leon, Cheo Feliciano e i nuovissimi come Giovanni Hidalgo, Tony Vega, La India, ecc.
Tutto questo spettro industriale, commerciale e musicale fa sì che Ralph Mercado sia, in questo momento, il padrone e signore del mondo della Salsa o, come dice il titolo, “el todopoderoso”, l’onnipotente. Dalla nostra lunga conversazione estrapoliamo per i lettori alcune notizie interessanti.
Cenni storici
D: Si inizia a conoscerti alla fine degli anni ’60 con la creazione delle “Estrellas de Fania”, come furono gli inizi?
R: Fu molto semplice. Da sempre c’erano le “estrellas”, negli anni ’60 c’era la “Alegre All star”, la “People all Star” e allora nacque l’idea, assieme a Jerry Masucci, di creare la Fania All Star con la gente nuova. Il primo disco fu realizzato nel 1968, però il successo della Salsa nacque con gli artisti che erano presenti allo storico concerto del Cheetah nel 1971, da lì nacque il meglio e continuiamo a godere con quelle canzoni. L’invenzione non fu niente male.
D: E Johnny Pacheco che faceva all’epoca?
R: Johnny era socio di Jerry ed era il direttore musicale della Fania. Anche se molte persone non lo sanno, Johnny è una persona molto importante nel movimento della Salsa. Lui scriveva molti pezzi, è un eccellente compositore. Io credo che senza di lui la Fania non sarebbe esistita. Jerry era il negoziatore, adesso conosce un pò la musica , però Pacheco era il musicista, quello che permise tutto ciò.
D: Ne sono successe di cose da allora, no?
R: Immaginati! Vedi una delle cose migliori che ho fatto nella mia carriera è quella di essermi infilato nell’affare dei video, perchè con i dischi non puoi creare molte cose ma con i video si. Io ho visto molti shows nella mia vita che non sono stati mai documentati, gente che oggi non c’è più come La Lupe, Hector Lavoe, facemmo degli shows favolosi e non abbiamo niente che li ricordi. Adesso filmiamo tutto quello che facciamo e cerchiamo di documentarlo. E’ STORIA!
D: La morte di Lavoe dovette essere molto sentita, no?
R: A New York fu una cosa incredibile, migliaia di persone lo piansero. Io ebbi a che fare con lui per otto anni, nella sua epoca d’oro, fu sempre molto problematico però era quello più amato dalla gente.
D: Hector soffrì molto ed ebbe molti problemi con le droghe.
R: Si. Circa da quattro anni si era ritirato. Lui ebbe sempre molti problemi personali però il peggio avvenne nel giugno del 1989, stavamo preparando uno spettacolo nel mio studio con un promoter di Portorico, mettemmo insieme non so quanti gruppi, però lo show fu sospeso perchè il promoter non pagò, io licenziai tutti e Hector si presentò al Coliseum, lui voleva cantare al suo pubblico e lì non c’era nessuno, era vuoto. Questo lo depresse molto e il giorno dopo si buttò giù dal nono piano di un hotel di Portorico. E’ un peccato che un tipo con tanto talento vivesse la vita come la visse lui.
D: Hector faceva Perez di cognome, chi gli mise Lavoe?
R: Si, lui si chiamava Hector Perez, però quando aveva 13 o 14 anni un amico mio, Arturo Franquis, gli mise “la voz” e tu già sai come parliamo noi latini, no? Allora la voz si convertì in Lavoe.
La sorpresa Giapponese
D: Tu lanciasti al successo l’ “Orquestra de la luz”, come cominciò la storia della salsa giapponese?
R: La storia vera è la seguente: il signor Richie Milier, che lavorava per me, venne un giorno nell’anno ’88-’89 e mi porta il video di una banda giapponese, io già avevo ascoltato qualcosa però avevo già tanti problemi e non c’era bisogno di un problema con dei giapponesi che suonano Salsa. Non gli prestai attenzione però lui continuava a martellarmi con i giapponesi ebbene li misi in un festival, però non nello show principale. Li misi di giovedì al Palladium, loro si pagarono il viaggio a New York e il resto, io gli detti mille dollari, per pagargli qualcosa e allora quella notte li feci suonare e io non potevo immaginare una cosa così, cominciarono a suonare un pezzo di Celia Cruz, e un altro e… alla fine, le 3000 e rotte persone che c’erano impazzivano e si divertivano, non avevo visto mai un pubblico così.
D: In quel momento decidesti di tenerteli?
R: Potevo far si che il gruppo lavorasse per me in tutto il mondo però non mi interessava, troppo rischioso, non si sa mai se un gruppo vende più di tre dischi. Allora feci l’affare con la BMG, loro firmarono con BMG, però io avevo l’esclusiva di tutti i paesi latini nel mondo. Avevo la licenza per tre anni.
D: Adesso non appartengono più alla tua orbita, che è successo?
R: Quelli erano fenomeni e continuarono per la loro strada. Sono dei musicisti incredibili, molto preparati, li posso comparare a qualsiasi musicista latino, però nella vendita di dischi scesero molto. Io credo che il primo impatto fu il più forte, la novità, però ciascun nuovo disco che facevamo scendeva nelle vendite un pò di più. Ho deciso di cercare altri fenomeni.
La rinnovazione salsera
D: Però c’è carenza nell’ambiente.
R: Oddio, c’è un movimento molto giovane nella Salsa che ancora non si conosce. Io sono molto entusiasta con il nuovo ragazzo che abbiamo, Marc Anthony, che ha appena vinto il suo primo disco d’oro con l’LP “Otra nota” registrato con il mio marchio Soho Latino. E anche La India è una cosa fresca per noi come pure Tony Vega, Gilberto Santa Rosa, un ragazzo cubano chiamato Ray Ruiz e un altro peruviano che si chiama Antonio Cartagena. Poi ci sono dei gruppi colombiani che stanno facendo molto scalpore, il Grupo Niche, Guayacàn, Joe Arroyo e un ragazzo che si chiama Checo Acosta. E tra tutti io personalmente metterei in risalto Giovanni Hidalgo che è in questo momento il più grande “tumbador” del mondo.
D: Che pensi della musica cubana attuale, quella che si fa sull’isola?
R: Quello che viene da Cuba è sempre interessante. Quello che si produce a Cuba me l’hanno proposto varie volte, però in verità io, data la situazione nella quale verso, non posso produrlo nonostante sia manager di Celia Cruz e suo rappresentante da molti anni… però negli Stati Uniti non si ascolta molto la musica cubana attuale, io credo che si ascolti di più in Europa.
D: Secondo tutte le previsioni, Cuba si avvicina ad un’apertura. Credi che questo influirà sulla movida salsera internazionale?
R: Si io credo che sarà una cosa molto interessante il giorno nel quale si aprirà si avranno molti cambiamenti nella musica in generale. La musica di Cuba influisce sempre perchè la Salsa è musica cubana con un pò di influenza portoricana e newyorkese. Però ogni paese ha il suo stile, e i musicisti hanno un proprio punto di vista, ci sono tipi ai quali piacciono le cose tipiche e ad altri quelle moderne, l’armonia dei ritmi, le percussioni, le cose adesso sono molto differenti.
Salsa Monga
D: Nell’orizzonte della rinnovazione salsera uno dei fenomeni più discussi è stato quello della Salsa erotica. Come vedi tu questa questione?
R: Questa cosa fu introdotta da Louie Ramirez con Ray de la Paz nell’anno ’80 quando fecero un gruppo che si chiamava “Noche caliente” e registrarono dei pezzi di boleros e baladas. Nel 1986 arrivarono Lalo Rodriguez, Eddie Santiago e tutto il movimento… noi lo chiamavamo Salsa monga (ride).
D: Perchè monga?
R: Bene, perchè era più lenta e alla fine non succede nulla!
D: Però questa salsa è andata forte in tutto il mondo.
R: Certo che si. Vedi, la salsa romantica aiutò molto il mercato perchè le donne cominciarono a comprare dischi, cosa che prima facevano solo gli uomini, questo è molto importante e bisogna tenerne conto. Fece sì anche che la gioventù si avvicinasse alla nostra musica.
D: Comunque dopo “Devorame otra vez” non continuò il fenomeno.
R: Noi in quest’affare vendiamo dischi e il successo di Lalo Rodriguez con “Devorame otra vez” fu enorme e veloce, quello che accadde dopo fu che l’artista non potè difendere il suo successo. Quel pezzo fu il primo che vendette in Spagna più di centomila copie, poi lo prese Azucar Moreno e ne approfittò. Fu un successo impressionante però la gente vuole una musica più aggressiva, con più feeling.
D: Qual è la situazione attuale del mercato della Salsa?
R: Io credo che New York e Portorico siano il baluardo della Salsa tanto per le vendite che per i concerti e gli artisti, anche se altre città come Miami e Chicago si muovono in questa direzione, il pezzo forte restano New York e Portorico. Adesso anche la Colombia è un mercato molto vantaggioso, il Messico si sta aprendo e noi, per la prima volta, iniziamo a fare dischi in Brasile.
D: Che succede in Brasile con la salsa?
R: Portai Celia 6 anni fa a San Paolo. Facemmo un concerto, carino, però niente di commerciale. Adesso quello che voglio è registrare dei dischi in portoghese, uno di Celia con Chico Buarque e un altro di Oscar D’Leon con una donna della quale non ricordo il nome. L’idea è di fare pezzi brasiliani a tempo di salsa. Mal che vada lo registriamo in spagnolo, però cerchiamo un altro swing.
D: Bene Ralph, per finire, ci piacerebbe sapere qual è il tuo artista preferito o il disco che porteresti con te in un’isola deserta.
R: (risate nervose) Me lo rendi difficile, fratello. Vedi, io ho trascorso molti anni con Celia e non so cosa possa accadere il giorno che non la porti con me. Però, nonostante tutto, c’è un musicista che per me è fondamentale, mi riferisco al maestro Machito, ti parlo di quello che rappresentò Machito nella mia giovinezza, quando suonava nel Palladium, la Casa del Mambo, che stava in Broadway con la 53esima. Io sono sempre stato un fan di Machito, quando ero ragazzo, avevo 13 o 14 anni, avevo tre dollari e l’entrata costava 1,95 e 40 centesimi la birra. Avevo mezzo baffo e mi preparavo tutta la settimana per andare il venerdì ad ascoltare e divertirmi con Machito.
In questo clima così bello di Bologna, mi ricordo di quando iniziai a suonare, da piccolo, con mio padre che era il primo trombettista della banda statale, e con mia madre che era cantante, entrambi scomparsi.
Tutto inizio nel collegio San Juan Bosco perché il mio padrino era Italiano, José Angel Mottola, colui che compose la musica dell’inno dello Stato Anzoátegui (ndr: la regione di Barcelona, sua città natale, sita nell’area orientale del Paese).
Cominciai suonando la tromba, però siccome non c’era nessuno che volesse suonare la tuba (ndr: perché è molto scomoda da spostare!) strumento che per via del suo swing è essenziale nella direzione di una banda, mio padre me la affidò.
Fu così perciò che Ray Pérez iniziò la sua carriera musicale, sebbene in seguito, dopo il collegio, entrai nella scuola statale, e per un po’ non studiai la musica.
Dopo alcuni anni ripresi a studiare iscrivendomi al conservatorio di Maracaibo con il maestro Elias Nuñez Peseira e il professor Paz, un pianista che suonò con Luis Alfonso Laraya.
In precedenza, suonai nel trio Los Singers, in cui cantava Luciano Tagliolini, un Italiano giunto in Venezuela all’età di 5 anni, e suonavamo allo Show de Renny alternandoci con Mina, Luciano Sangiorgi, che mi ricordo fu nell’hotel Tamanaco nell’anno in cui la Miss Venezuela fu Susanna Agoin.
Tutto questo succedeva negli anni ’60; nello stesso hotel Tamanaco dove siete stati anche voi. E ora sospendiamo un attimo perché non vi voglio raccontare tutto subito!
Intervista parte 2
La nascita dei Los Dementes
Io comincio a suonare salsa a Maracaibo nel ’64 con l’orchestra del maestro Elias Nuñez, il mio insegnante di piano, integrandone l’organico con i tromboni, e facendo le mie apparizioni in tv sul Canal 13 con Raúl Bales Quintero; al principio volevo chiamarla Los Dementes (ndr: I Pazzi) , ma il direttore dell’orchestra Bolivar era contrario poiché lo riteneva offensivo per dei musicisti, e addirittura in occasione del nostro primo concerto mandò una pattuglia della polizia ed un’ambulanza pronte e prelevarci se ci fossimo presentati con quel nome: fu così che esordimmo come Ray Pérez Y Su Charanga, nome con cui ci esibimmo insieme a Ray Barretto durante la sua prima tournée a Maracaibo, conquistandoci il titolo di orchestra rivelazione dell’anno.
Questo fu “l’esordio di Ray Pérez”; poco dopo mi trasferii a Caracas portandomi dietro i miei musicisti “maracuchos” (ndr: residenti di Maracaibo), i quali però, non adattandosi alla città, tornarono subito a casa: mi misi perciò a cercare dei nuovi musicisti e – lavorando al Mon Petit – conobbi Nené Quintero (ndr: conguero) il quale mi presentò Alfredo Padilla (ndr: timbalero), Juan Diaz dell’orchestra Los Megatones De Lucho (ndr: trombonista), Kiko, mentre Perucho Torcat lo conoscevo già.
Andammo a fare delle prove a Radio Difusora de Venezuela – dove lavorava anche il dj Phidias Danilo Escalona, colui che coniò il termine “Salsa” per questa musica ballabile – e iniziammo a comporre i brani del primo disco “Alerta Mundo, Llegaron Los Dementes”.
Questo disco lo portai “sotto il braccio” per molto tempo, perché proponendolo a molte case discografiche nessuna lo apprezzava, finché incontrammo la Prodansa – che già navigava in cattive acque – il cui responsabile propose di pagarci solo le royalties sull’effettivo venduto; il disco uscì un giorno prima delle ferie pasquali, ne diedi copia a Dj Phidias che lo iniziò a proporre nel suo programma di mezzogiorno “A La Hora De La Salsa Y El Bembé”, diedi altre copie ai negozianti, e dopo tre giorni era già un successo…
Rómpelo: “Yo traigo un coco/Para romper…”
Il successo di Rómpelo sancì il successo dell’orchestra Los Dementes e i musicisti – che fino ad allora non erano stati ancora da me retribuiti – mi chiesero un compenso come “gruppo”, ma io imposi una redistribuzione percentuale differenziata delle royalties in considerazione del mio ruolo guida come direttore e voce leader, e dei diversi ruoli dei singoli musicisti; fu così che ci accordammo e da lì fu il boom de Los Dementes, negli anni ’60.
Tommy, il fratello di Max, mi ha parlato di un mio brano, e quando ne ho intonato il coro “Oiga caballero yo de esta rumba me espiro”, lui dalla cucina mi ha risposto in controcanto “Porqué mi mujer no está metida en el güiro”, che fu anch’esso un successo, cui ne seguì un altro, La Perrita De Floro, e Mi Salsa Llegó.
In questo periodo de Los Dementes, formai Los Calvos per la discografica RCA Victor, e come cantante scelsi Carlos Yanez alias El Negrito Calaven, con cui facemmo due album con molti brani di successo, e son certo che anche qui in Italia come in Francia e Germania li apprezziate.
Il racconto che vi sto facendo dovrebbe esser molto più lungo ma, riassumendo, a un certo punto ebbi necessità di una pausa, così lasciai il nome de Los Dementes ai miei musicisti e me ne andai a New York a studiare da Nick Rodríguez, il quale però mi disse che non necessitavo studiare, bensì comporre.
I pianisti, vedendomi suonare nel mio modo, mi dicevano che non avevo tecnica; ma io non ho lo stile “classico” come quello che mostra per esempio il Tommy con la postura delle sue mani: io semplicemente suono, col mio stile.
Quindi alla RCA iniziai ad arrangiare brani, comporre melodie, lavorando con Rudy Calzado e Chombo Silva che era un sassofonista cubano molto in gamba; in New Jersey lavoravo col bassista Nino Sierra, che non concepiva il fatto che non leggessi la musica durante una esecuzione, la scrivevo ma per gli altri, non per me, al ché una volta lui mi disse “Mulatto, non fare il buffone! Come fai a non leggere la musica se la sai scrivere?” Ed io: “Ti assicuro che lo dico sul serio! So leggere, ma non per eseguire”, però non mi credeva.
Passò del tempo, continuando a lavorare assieme, e un giorno mi chiamarono per arrangiare la musica di una cantante portoricana; allo studio incontrai Nino Sierra, che non voleva ancora credere che io fossi stato chiamato per quegli arrangiamenti, ma di fatto si rese conto che era proprio così, quindi mi chiamò a lato e mi disse: “Ray, il buffone sono io!”.
Intervista di Tommy Salsero, traduzione di Max Chevere, foto di Cafè Caribe
Quali sono stati i musicisti ed i pianisti che l’hanno influenzata maggiormente all’inizio della sua carriera musicale?
Mio fratello Charlie Palmieri e’ stato colui che mi ha influenzato maggiormente, inoltre alcuni pianisti che suonavano a New York, fra questi René Hernandez che era il pianista di Machito, un altro che e’ morto, Tommy Garcia, Gilberto Lopez che suonava con Tito Puente e successivamente negli anni sessanta alcuni pianisti cubani che arrivarono dall’isola.
Ha conosciuto il pianista Pedro Justiz Peruchin?
Non l’ho mai conosciuto perche’ aveva registrato sempre a Cuba ed io non sono mai stato nell’isola, pero’ era un incredibile pianista fra i preferiti di mio fratello Charlie.
Quali sono stati i pianisti jazz che l’hanno influenzata maggiormente dal punto di vista dell’armonia. Nel suo modo di suonare mi sembra vicino a quello di Mc Coy Tyner.
Si, Mc Coy Tyner per il legame con John Coltrane ma ci furono anche altri pianisti come Art Tatum, Bill Evans,tutti questi musicisti furono dei geni.
Inoltre Thelonious Monk, Bud Powell, e piu’ recentemente Herbie Hancock, Chick Corea, tutti grandi pianisti no?
E ascoltandoli sono arrivato al mio stile attuale.
Puo’ parlarci del periodo in cui suono’ con la Harlem River Drive (l’orchestra che suonava latin soul funk)?
Si, questa era l’orchestra di Aretha Franklin. Ronnie Cuber il saxofonista partecipò a questo progetto speciale per la compagnia Roulette che era la compagnia principale della divisione Tico Records, per la quale io registravo.
E dopo uscì questo LP che fu molto interessante, ovvero Harlem River Drive.
Oltre al piano acustico lei suonava anche il Fender Rhodes( il piano elettrico), ed anche l’organo.
L’organo lo introdusse mio fratello Charlie ed io lo accompagnavo con il piano elettrico.
Quindi l’uso dell’organo elettrico nei suoi dischi fu introdotto grazie a suo fratello?
In realta’ era il suono di quel periodo, si usavano molto l’organo ed il piano elettrico Fender Rhodes che utilizzai per diverso tempo, altrimenti usavo il piano acustico.
Oggi si pensa alla salsa solo come un ballo, almeno in europa e nei paesi occidentali.
In realta’ dietro ci sono una storia ed cultura molto profonde e la salsa non e’ solo un ballo.
Ad esempio a New York si mischiarono radici provenienti da vari paesi dell’america latina. Cos’è la salsa per Eddie Palmieri?
Bene, adesso è molto diversa da come si suonava un tempo, però ci sono ancora orchestre provenienti da Portorico che continuano a seguire la tradizione, così come a New York c’è un’orchestra la Spanish Harlem Orchestra che è molto fedele ai modelli ritmici della salsa dura, però molte cose sono cambiate con l’arrivo del Reggaeton. Quando c’è un ballo nuovo, una musica nuova legata ai giovani, diventa molto difficile da contrastare…
Si puo’ dire che sta succedendo la stessa cosa che accadde negli anni 60 con il boogaloo?
Esatto! Quando c’e’ un ballo legato ad un ritmo nuovo e’ sempre un successo.
Pero’ la salsa non muore mai.
Il vero problema e’ che non ci sono compagnie discografiche per registrare la nostra musica da ballo.
Ci sono alcuni artisti che stanno registrando, ma essi non stanno registrando pura salsa, bensì una combinazione di latin pop come per la compagnia Sony.
Inoltre non stanno suonando la musica delle orchestre nelle grandi radio commerciali, e’ possibile ascoltare la nostra musica solo nelle piccole radio delle comunità latine…
Questo e’ un grande problema…
Si, questo non ci ha aiutato ed e’ stato molto dannoso per la salsa.
Questo è un problema che tocca tutta la musica.
Le grandi compagnie investono solo nella musica commerciale…negli anni 70 c’era una grande sperimentazione e si mischiavano diverse armonie, dal jazz al soul e oggi non mi pare di vedere la stessa voglia di andare oltre che c’era in quegli anni.
Bisogna dire che i generi attuali che piacciono ai giovani sono il rap, l’hip pop ed il reggaeton.
Ci sono alcuni artisti a Portorico che stanno registrando con i musicisti che suonano rap e reggaeton, come Daddy Yankee con Andy Montanez, però secondo me non stanno dando buoni risultati.
Hanno tolto l’anima del tambor…
Si,si e’ molto triste…
E’ suonata più al computer che con le persone
Però è molto triste, molto triste.
Quando potremo vedere Eddie Palmieri suonare salsa nel nostro paese?
Bene,vediamo quando registreremo il prossimo cd, perche’ adesso stiamo facendo la promozione del cd di latin jazz (ndr Listen Here), anche perche’ per un periodo di tempo ho preferito suonare latin jazz e adesso penso sia giunto il momento di preparare un nuovo album ballabile di salsa…
Si ringrazia l’organizzazione dell’Ancona Jazz Festival nella persona del Sig.Massimo Tarabelli senza il quale questa intervista non avrebbe potuto essere realizzata