mah, sarà vero????
http://www.lastampa.com/Torino/cmsSezioni/cronaca/200709articoli/4328girata.aspLa guida Lonely Planet avverte: gay non baciatevi in campagna
GIOVANNA FAVRO
TORINO
Donne, attente. Il piemontese è vitellone. State in guardia, turiste. Se viaggiate sole a Torino e nelle altre città della regione, potreste attirare l’attenzione dell’«italian man», che non perdona. A rovesciare lo stereotipo del piemontese timido, anzi persino un po’ goffo quando si lancia ad essere galante e a far la corte, è la guida del Piemonte pubblicata dalla Lonely Planet in inglese, ad uso e consumo dei turisti. Vi si legge una miniera di informazioni utili per scoprire le nostre bellezze, ma il paragrafo «solo travellers» può far arrabbiare il maschio piemontese medio.
Gli autori, gli inglesi Nicola Williams e Duncan Garwood, lo descivono come un pappagallo petulante: evidentemente lo reputano un fastidioso e insistente corteggiatore che abborda le donne per strada, e a volte diventa pure pericoloso. Sentite cosa scrivono: nel nostro «Piedmont», «women will probably draw the attention of italian men», le donne attrarranno probabilmente l’attenzione degli uomini. In questo caso, si può scacciare l’«unwanted Romeo», l’indesiderato rompiscatole, «by ignoring him», ignorandolo, o «walking away», filando via, e spiegando d’essere già in coppia, «telling him you have a marito (husband) or fidanzato (boyfriend)». Se il fastidio non cessa, e le cose si mettono male, «approach the nearest police». Consigliano di andare dalla polizia, e questo, per quanto duro a morire sia lo stereotipo dell’italiano vitellone, appare francamente eccessivo. Il bello è che la guida è stata realizzata, nella prima edizione, con un contributo della Regione, che ne ha promosso la diffusione durante le Olimpiadi.
Va detto che le Lonely Planet sono sempre prudenti nei consigli alle viaggiatrici sole: qualcosa di simile è nelle guide di molti altri Paesi, e in quella della Sicilia si invita addirittura a portar la fede e millantare gravidanze. In quella del Piemonte, comunque, un’altra chicca si trova al capitolo «viaggiatori gay». Vi si legge che «l’omosessualità è ben tollerata a Torino», mentre «nelle zone rurali, pubbliche manifestazioni d’affetto di omosessuali possono attrarre reazioni negative». Non si precisa se il rischio è il lancio dal dirupo, o l’attrarre gestacci.
Alla Edt, l’editrice torinese che cura la versione italiana, fanno notare che in italiano questi passaggi su pappagalli e viaggiatori omosex non ci sono (si consigliano «regole di buonsenso, a Torino come in qualunque altra città»). Quanto all’inglese, «Le nostre sono guide d’autore: viaggiatori, rigorosamente stranieri rispetto al luogo, raccontano le loro esperienze mantenendo il proprio punto di vista, a volte diverso da chi abita nei luoghi descritti. Il punto di vista soggettivo e la proposta di sensibilità diverse sono proprio la nostra caratteristica».
Come reagiscano i piemontesi «delle zone rurali» al bacio gay, comunque, non è cosa certa per Giovanni Minerba, fondatore del festival di cinema omosessuale. «Nessuno finirebbe giù da una rupe, ma se nelle nostre strade non si vedono gay che si baciano, è perché si autocensurano: temono di sentirsi dare dei maiali, e, se lo pensano, un motivo c’è. E’ vero, però, che vale lo stesso in tutta Italia, e che Torino è sempre stata più libera di altre città, come dimostra l’esistenza stessa del nostro festival». Per lui, «Tocca comunque anche ai gay esercitare la libertà. Baciarsi non è reato: se i ragazzi non superano l’autocensura, vivendo tranquillamente i propri sentimenti, la situazione non cambierà mai».
Bruno Gambarotta scoppia invece a ridere leggendo il passaggio sui vitelloni. «E’ lunare! Da sempre i piemontesi sono accusati del contrario. Una volta, nelle sale da ballo, il direttore doveva addirittura dire al microfono “donna a scegliere”, per incoraggiare la timidezza maschile. Vi immaginate uno di Lanzo fare il cascamorto fino a costringere la poveretta a chiamare la polizia? In fondo, quello della guida è un giudizio lusinghiero, che capovolge lo stereotipo sull’incapacità di far la corte. Ricordate la vecchia battuta? “Tota, a bala?” “No”. E lui: “Ciulè, gnanca a parlene?”»